Perché Alemanno non vuole l’osservatorio antimafia?

Perché Alemanno non vuole l’osservatorio antimafia?

Forse non ritiene opportuno raccogliere l’invito o forse se ne è proprio dimenticato, nonostante la cronaca sia lì a rammentare l’urgenza di un intervento. Quasi ogni giorno. E di giorni da quando la proposta è stata presentata ne sono passati cinquecentoventisei, di mesi quasi diciotto. Dal 28 ottobre 2010 diciannove consiglieri di opposizione aspettano una risposta, ma Gianni Alemanno continua a tacere. «Solo il giorno della presentazione ha detto a una giornalista che si trattava di una proposta da valutare. Poi più nulla», ricorda Paolo Masini.

E’ stato proprio il consigliere del Partito democratico a prendere l’iniziativa, condivisa da altri diciotto consiglieri di minoranza (di Pd, Api, “Civica per Rutelli”, Gruppo misto, Udc e Action), per chiedere al sindaco di Roma, di istituire, attraverso una apposita delibera dell’assemblea capitolina, il delegato alla lotta alle mafie e alla criminalità organizzata e l’Osservatorio permanente contro le mafie.

Vera e propria emergenza, il radicamento delle mafie in Lazio e nella capitale, confermato da forze dell’ordine, commissioni parlamentari, Direzione Antimafia e altri osservatori. Dalle ecomafie al numero dei clan insediati in Lazio, nel testo della proposta di delibera si elencano cifre e dati aggiornati al 2008. Il rapporto dell’Osservatorio tecnico scientifico per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio di quell’anno registra «lo stabile insediamento di famiglie criminali della camorra e della ‘ndrangheta in alcuni quartieri della Capitale», evidenziando «l’interazione esistente tra personaggi di spicco già appartenenti alla banda della Magliana e famiglie della ‘ndrangheta e della camorra».

I procedimenti avviati tra luglio 2006 e giugno 2007 dalla Direzione Antimafia Capitolina sono 143, «numero inferiore solo a quelli dell’Antimafia di Milano e delle Direzioni Distrettuali Antimafia di Calabria, Campania e Sicilia». Sempre nel periodo 2006 – 2007, la Direzione Nazionale Antimafia registrava in Lazio «l’operare di 61 cosche e denunciava il tentativo di infiltrazioni nella pubblica amministrazione», scrivono i diciannove consiglieri.

I quali sottolineano che a Roma esistono attività e infrastrutture che possono attrarre gli interessi della criminalità organizzata, che «è necessario moltiplicare gli sforzi perché proprio nei periodi di crisi le mafie ingigantiscono i loro guadagni», e rivendicano il ruolo che i Comuni «possono svolgere nella lotta alla criminalità organizzata, del racket e dell’usura». A cominciare dall’assegnazione dei beni confiscati ai clan malavitosi ad associazioni e «realtà meritevoli che li possano utilizzare per fini sociali al servizio della comunità». Di qui l’idea di istituire la figura del delegato alla lotta alle mafie e l’Osservatorio permanente contro le mafie, che, nelle indicazioni di Masini e dei colleghi avrà due funzioni: supportare l’attività del delegato per far conoscere e denunciare infiltrazioni mafiose, racket e usura e gestire, in collaborazione con l’Agenzia nazionale, l’assegnazione e il monitoraggio dei beni confiscati alle mafie.

Fin qui la proposta presentata, come detto, il 28 ottobre 2010. Oggi, Roma sembra sempre più stretta nella morsa della criminalità organizzata.

«La situazione attuale denunciata dai più alti livelli dalle forze dell’ordine e dagli organismi di lotta alla criminalità sono il frutto di una totale sottovalutazione del problema che per più di due anni Alemanno ha di fatto negato. Le vicende di Magliocca e di Morelli nonché le vicende del “Café de Paris” e i rapporti con il clan Lampada sottolineato dai gip di Milano non aiutano ad uscire da una certa “ambiguità” – dice Masini – Sono decine le associazioni, anche di livello nazionale, che hanno fatto richiesta di assegnazione dei beni confiscati. In un momento di arretramento sociale, morale e culturale, quello del riutilizzo a scopi sociali dei beni confiscati è elemento centrale per il riscatto civico della parte migliore di Roma». Indice puntato contro il sindaco, che, in effetti, più di una volta, di fronte a dichiarazioni preoccupate e segnali preoccupanti, ha minimizzato il rischio di una escalation criminale nella capitale.

Il 24 maggio 2011, ad esempio, il sostituto procuratore Antimafia Diana De Martino parla di Roma come di un «mercato ideale» per la criminalità organizzata e Alemanno ribatte: «Dichiarazioni enfatizzate e titoli diffamatori». Non mostrando particolari timori neanche di fronte alla confisca dello storico “Café de Paris” di via Veneto, che secondo gli investigatori sarebbe stato nella disponibilità di affiliati alla cosca di ‘ndrangheta degli Alvaro, da anni radicata a Roma.

A Roma si spara, di notte e in pieno giorno, in centro e nelle periferie. A settembre 2011, il prefetto Giuseppe Pecoraro spiega alla Commissione parlamentare Antimafia che a sparare sono soprattutto «gruppi emergenti, una nuova generazione di criminali violenti, meno riflessivi, più inclini all’esercizio della forza che alla mediazione» per «occupare spazi lasciati liberi dalla disarticolazione dei gruppi criminali più importanti».

Il 22 novembre successivo, in una sparatoria per le vie di Ostia, muoiono Francesco Antonini e Giovanni Galleoni, due boss di quartiere in passato legati alla vecchia banda della Magliana. È il dodicesimo agguato criminale nel territorio della capitale e Alemanno lamenta «la risposta inadeguata dello Stato». Poi aggiunge: «È necessario che il nuovo ministro degli Interni e il capo della Polizia prendano misure drastiche senza più nessun rinvio. La Capitale deve essere difesa da un assalto di criminalità organizzata senza precedenti dagli anni ’70».

Nessun cenno alla proposta dei diciannove consiglieri, che, nel frattempo, ha cominciato a far breccia nella maggioranza. Il 26 maggio 2011 il consigliere del Pdl Andrea De Priamo, presidente della Commissione Ambiente di Roma Capitale, ha scritto in una nota: «Ritengo che vada serenamente presa in esame anche la proposta di delibera presentata dal collega del Pd, Paolo Masini, che prevede tra le altre cose l’istituzione di un delegato di alto profilo e di un osservatorio centrale per l’assegnazione dei beni confiscati», sottolineando: «Al di là delle strumentalizzazioni politiche o delle differenti valutazioni riguardanti i dati e le statistiche, è importante che l’Amministrazione capitolina sia compatta nello schierarsi senza se e senza ma contro la criminalità organizzata, realizzando politiche virtuose e partecipate».

Sulla stessa lunghezza d’onda pare sintonizzato, finalmente, Alemanno il 10 gennaio scorso, quando, intervenendo alla trasmissione “Agorà” di Rai Tre, probabilmente alla luce del bilancio tutt’altro che rassicurante – 33 omicidi – dell’anno appena chiuso, parla del «rischio che arrivi in città la criminalità organizzata di stampo mafioso», spiegando: «Non c’è più spazio per una visione di destra o di sinistra, c’è spazio soltanto per un rifiuto totale, un fronte comune contro questo rischio, che è un’altra questione rispetto al degrado urbano, gli immigrati, i nomadi, su cui ci eravamo divisi nel 2001. Ci vuole grande unità e fermezza da parte di tutti». Sulla possibilità di istituire il delegato alla lotta alla criminalità organizzata e l’Osservatorio contro le mafie, però, nemmeno una parola.

I firmatari:
Paolo Masini – Pd
Umberto Marroni – capogruppo Pd
Francesco Rutelli – Api
Gianluca Quadrana – capogruppo Lista civica per Rutelli
Maria Gemma Azuni – capogruppo Gruppo misto
Andrea Alzetta – Action
Monica Cirinnà – Pd
Mirko Coratti – Pd
Athos De Luca – Pd
Alfredo Ferrari – Pd
Daniele Ozzimo – Pd
Fabrizio Panecaldo – Pd
Antongiulio Pelonzi – Pd
Maurizio Policastro – Pd
Francesco Smedile – Udc
Antonio Stampete – Pd
Massimiliano Valeriani – Pd
Salvatore Vigna – Capogruppo Api
Gianfranco Zambelli – Pd