Quanti morti ci vogliono ancora per fermare Assad?

Quanti morti ci vogliono ancora per fermare Assad?

«Entro le 6 del mattino del 12 Aprile vedremo un miglioramento delle condizioni sul terreno». Questo è quanto ha assicurato Kofi Annan da Teheran. Ma si fa fatica a credergli. Oramai è infatti chiaro a tutti quale capacità limitata abbia Assad di rispettare la parola data. Dallo scadere dell’ultimo cessate il fuoco (10 Aprile alle 6 del mattino ora di Damasco) sono già state uccise una cinquantina di persone. Cosa è necessario perché l’Onu si convinca che Assad non rispetterà mai alcun patto? Lì dove la Lega Araba ha fallito l’Onu rischia di fare anche peggio perché col passare del tempo aumenta la portata della carneficina ed aumenta in maniera esponenziale la responsabilità di chi non ha saputo evitare un massacro pressoché annunciato.

Per ora, il tiranno di Damasco continua a giocare al gatto ed al topo approfittando del fatto che un intervento militare contro il suo regime non è nei piani delle Nazioni Unite (non a breve termine almeno). Infrangendo apertamente il cessate il fuoco con il pretesto di voler maggiori rassicurazioni sulla reale volontà pacifica del nemico (per la prima volta le “bande di terroristi” sono diventate un nemico unico nel suo lessico) e di attendere l’arrivo degli osservatori internazionali, Assad continua a prendersi gioco della comunità internazionale e mantiene saldamente nelle sue mani le redini di un paese oramai devastato. Una strategia che sul fronte interno per ora lo premia in quanto lo fa sembrare paradossalmente vincitore. Ma le violenze ai danni della popolazione, malgrado i pour-parler e le iniziative di Annan, non cessano. In una settimana si contano oltre mille morti. Secondo Human Rights Watch nell’ultimo mese ci sono state oltre 100 esecuzioni sommarie (si pensi alla strage nella moschea di Bilal oppure l’eccidio di massa di 25 uomini durante un rastrellamento ad Homs). Dal primo lontano appello su Facebook a manifestare contro la «monocrazia, la corruzione e la tirannia» in cui nasceva lo slogan «rivoluzione siriana 2011» (si era nel lontano 4 Febbraio 2011) ad oggi ci sono stati oltre 10mila morti secondo l’Osservatorio Siriano dei diritti umani (Osdh).

Ora anche la pazienza dei suoi alleati sta terminando. La Russia nelle ultime settimane ha criticato con una veemenza insolita la violenza del suo esercito. La Cina, alleato di ferro, per bocca di Liu Weimin, portavoce del ministro degli esteri cinese, si è detta inquieta per le violenze perpetrate in Siria e ha esortato il governo siriano ad applicare senza mezzi termini i sei punti del piano di pace di Kofi Annan. Basteranno velati rimbrotti di fedeli alleati che hanno più volte bloccato risoluzioni ben più coercitive? Ci sembra proprio di no. E intanto si apre un nuovo fronte, quello turco. Erdogan ha aveva già alzato i toni nel corso della sua visita a Pechino dopo gli incidenti avvenuti alla frontiera turco-siriana che avevano provocato il ferimento di quattro cittadini siriani e due turchi lunedì scorso a Kilis, nel Sud-Est della Turchia.

Cnn Türk ha diffuso alcune immagini di spari di mitragliatrice verso il territorio turco in provenienza di un edificio alla frontiera sul quale sventolava una bandiera siriana. L’esercito siriano ha aperto il fuoco su profughi siriani che cercavano di attraversare la frontiera per rifugiarsi in Turchia. Sparare a cittadini inermi che cerano solo di mettersi in salvo non sembra proprio il comportamento di uno che intende fare la pace. Gettando poi uno sguardo lucido al di là delle ridondanti dichiarazioni politiche – i rimbrotti degli “amici” Cina e Russia, e lo stesso Erdogan scandalizzato che alza la voce – tutto sembra un’enorme sceneggiata orchestrata da Assad che sa bene come servirsi di nemici ed alleati per confondere le acque, guadagnare tempo e continuare indisturbato il massacro del suo popolo. Se pensiamo infatti ai sei punti del piano di Kofi Annan – ovvero la fine delle violenze, l’apertura d’un processo politico che coinvolga tutte le forze politiche, la tregua umanitaria di due ore al giorno, il rilascio delle persone arrestate, la libertà di circolazione per i giornalisti, ed il rispetto delle manifestazioni pacifiche della popolazione – ci si rende conto che Assad racconta oramai da mesi favole. E la comunità internazionale, incantata dal suo piffero magico e soporifero, diventa indirettamente complice di un genocidio senza precedenti. 

Twitter: @marco_cesario

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