Sotto le pensioni niente: ecco il governo Monti

Sotto le pensioni niente: ecco il governo Monti

La domanda è molto semplice e molto seria: quanto dobbiamo essere pazienti con il governo Monti? La nostra risposta è: poco. In effetti, la nostra pazienza è già finita. Ed è finita per una semplice ragione: la finestra di opportunità riformista che si è aperta lo scorso novembre si sta chiudendo, e probabilmente è già chiusa. L’unica cosa seria che il governo ha da mostrare per questi mesi è la riforma delle pensioni. Che va bene, ma è ben lontana dall’essere decisiva o dal mettere al riparo i conti pubblici per il futuro.

E proprio la riforma delle pensioni è stato l’unico caso in cui il governo ha seguito il consiglio di Yoda. They did. No try. Niente defatiganti trattative con l’ABC sindacale o con l’ABC partitocratico. La riforma è stata fatta e il parlamento è stato posto di fronte alla responsabilità di votarla o di far cadere il governo. Poi basta. Il decreto liberalizzazioni è pieno di buchi. La riforma del diritto del lavoro è stata ridotta a ben poca cosa. La parte più rilevante sembra essere un aumento del costo del lavoro atipico, in parte dovuto a un aumento dell’imposizione e in parte dovuto a nuovi adempimenti amministrativi. L’orizzonte futuro non appare particolarmente promettente. Le elezioni verranno tenute, presumibilmente, nell’aprile del 2013. Questo significa che sostanzialmente l’attività parlamentare si arresterà nel febbraio 2013. Restano quindi circa 10 mesi di lavoro, con in mezzo l’estate, senza nessuna chiara prospettiva su come superare le resistenze conservatrici che hanno bloccato l’azione del governo nell’ultimo paio di mesi.

Cosa è stato fatto: il “programma della Bce”

Per fornire una valutazione sull’operato del governo fino a questo punto è utile partire dal testo della lettera della BCE. Come è noto la BCE, lo scorso agosto, comunicò al governo italiano la necessità di ”un’azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori.” L’invito avveniva contestualmente a una forte iniezione di liquidità sui mercati che permettava di bloccare temporaneamente l’aumento dei tassi di interesse sul debito della repubblica italiana. Qui è utile precisare che la lettera della BCE, che nel dibattito italiano è stata spesso presentata come una violenta intrusione nella dialettica politica di uno stato sovrano, era in realtà poco più di una serie di consigli tecnocratici minimali tesi a evitare il disastro. Per cambiare veramente il paese ci vorrebbe molto di più, un programma politico serio che cambi gli equilibri politico-sociali del paese, ma questo (giustamente) non può essere offerto dalla BCE. Questo punto è ancora ben lontano dal’essere assimilato nel dibattito italiano, che continua a vedere le indicazioni della lettera BCE come un massimo politicamente irraggiungibile, una serie di misure inutilmente draconiane, anziché come il minimo necessario.

Cosa successe dopo la lettera BCE è noto. Il governo, che fino a quel momento aveva dato pessima prova, arrivò a vette di comicità quasi sublimi, di quella comicità che fa piangere anziché ridere. Chi ricorda il dibattito sull’eliminazione del periodo di servizio militare per i contributi alla pensione, o l’ennesima lista di province da eliminare per poi giungere al solito nulla di fatto? La manifesta pochezza e inettitudine di fronte a una situazione via via più drammatica alla fine poterono più dell’attaccamento alla poltrona, e portarono alle dimissioni del governo Berlusconi-Bossi-Tremonti.

Con la nomina del governo Monti era lecito attendersi che le prescrizioni contenute nella lettera della BCE venissero finalmente messe in atto. Anche perché la BCE nella lettera spiegava abbastanza chiaramente che ”vista la gravità dell’attuale situazione sui mercati finanziari, consideriamo cruciale che tutte le azioni elencate nelle suddette sezioni 1 e 2 siano prese il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di settembre 2011.” Il governo Monti, nominato a metà novembre 2011, partiva dunque già con quasi due mesi di ritardo, mesi durante i quali infatti lo spread era andato alle stelle. Cosa ha fatto da allora? Andiamo a vedere punto per punto le misure contenute nelle sezioni 1 e 2 della lettera e come il nuovo governo ha risposto. Nel seguito, i pezzi in corsivo sono tratti direttamente dalla lettera della BCE.

La sezione 1 conteneva l’indicazione di tre misure atte alla ripresa del processo di crescita.

a) E’ necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.

A questa richiesta teoricamente si è risposto con il ”decreto liberalizzazione”. Di ”privatizzazioni su larga scala” non vi è alcuna traccia. Su quanto siano stati liberalizzati i servizi pubblici locali o i servizi professionali meglio evitare commenti.

b) C’é anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione.

Questo è l’unico punto su cui era intervenuto il precedente governo, che aveva inteso con l’art. 8 della legge 148/2011 (approvata a settembre) potenziare la contrattazione decentralizzata. I dubbi sull’efficacia della norma persistono, e in ogni caso occorrerà tempo per vedere quale sarà l’atteggiamento della giurisprudenza nell’interpretazione della legge.

c) Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi.

La riforma del mercato del lavoro appena attuata dovrebbe essere la risposta del governo. Credo vi sia consenso da parte degli osservatori minimamente imparziali che la riforma cambia molto poco la situazione attuale ed è assai improbabile che induca maggiore dinamismo nel mercato del lavoro.

La sezione 2 richiedeva di ”assumere misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche”. In specifico suggeriva tre misure.

a) Ulteriori misure di correzione del bilancio sono necessarie. Riteniamo essenziale per le autorità italiane di anticipare di almeno un anno il calendario di entrata in vigore delle misure adottate nel pacchetto del luglio 2011. L’obiettivo dovrebbe essere un deficit migliore di quanto previsto fin qui nel 2011, un fabbisogno netto dell’1% nel 2012 e un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa. E’ possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012. Inoltre, il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover e, se necessario, riducendo gli stipendi.

L’anticipo delle misure di correzione ha significato, essenzialmente, un anticipo degli aumenti di tasse già previsti da Tremonti (e da lui codardamente posticipati, una tecnica alla quale peraltro questo governo non è del tutto estraneo), come l’IMU. È abbastanza ovvio, dato il peggioramento del quadro congiunturale, che il pareggio di bilancio nel 2013 non verrà raggiunto. Ci sarà molto probabilmente (a meno di una recessione molto peggiore di quella attualmente prevista) un miglioramento dei saldi di finanza pubblica, ma affermare che ciò verrà ottenuto ”principalmente attraverso tagli di spesa” appare uno scherzo un po’ crudele. L’intervento sul sistema pensionistico rappresenta chiaramente il maggiore (e finora unico) successo del nuovo governo. Come detto all’inizio, è l’unico campo in cui il governo ha proceduto con decisione senza farsi impastoiare da tavoli, comitati, sottocomitati, consultazioni e via postponendo e annacquando. Di ”riduzione significativa dei costi del pubblico impiego” invece non c’è traccia.

b) Andrebbe introdotta una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali sulle spese discrezionali.

Qui, francamente, è meglio stendere un velo pietoso. Le riduzione ”automatiche” sono quasi impossibili da conseguire, dato che in un paese sovrano si può sempre fare una leggina all’ultimo momento per renderle meno automatiche, o per spostarle fuori bilancio mediante qualche trucco di finanza creativa. Su questo punto la BCE avrebbe fatto miglior figura tacendo.

c) Andrebbero messi sotto stretto controllo l’assunzione di indebitamento, anche commerciale, e le spese delle autorità regionali e locali, in linea con i principi della riforma in corso delle relazioni fiscali fra i vari livelli di governo.

Le ”relazioni fiscali tra i vari livelli di governo” continuano a essere l’immensa schifezza che erano prima, e la finta riforma federale calderoliana ha solo aggravato le cose. Peraltro la riforma è stata ormai seppellita dal solito flusso di interventi centralistici caotici e incoerenti sia sul lato delle entrate sia sul lato delle spese, che ha caratterizzato il governo Berlusconi-Bossi-Tremonti. Dal governo Monti non è arrivata alcuna novità, a parte l’anticipo delle nuove tasse locali (che, chi lo avrebbe mai detto, non sono state compensate da alcuna diminuzione delle tasse centrali).

La lettera si conclude con una terza sezione: un invito accorato alla riforma della pubblica amministrazione. Essendo questo un processo necessariamente più lungo, la BCE ha riconosciuto che non era possibile porre scadenze strette.

Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione). C’é l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali.

Il fatto che non ci siano scadenze strette però non significa che si possa rimandare. Al contrario, la BCE dice che il processo di riforma della PA deve iniziare ”immediatamente”. Finora l’indicazione è stata sostanzialmente disattesa, e nemmeno mi pare ci sia alcun piano concreto per introdurre misure incisive nel periodo che manca da qui alle prossime elezioni. Non fatevi ingannare dal linguaggio blando, quello che viene richiesto in questo punto è un’autentica rivoluzione. L’uso di indicatori di performance vuol dire, per esempio, che si cerca di capire quali aziende sanitarie spendono di più e quali spendono di meno, quali scuole offrono migliore e peggiore educazione, quali tribunali funzionano meglio. E il fine dell’esercizio non è (o non dovrebbe essere) soddisfare una qualche curiosità intellettuale o compilare qualche classifica o tabella di numeri inutili. Misurare la performance è il primo passo per l’introduzione di norme che permettono di cacciare i dirigenti delle aziende sanitarie mal funzionanti etc. etc. La rivolta sindacale contro i test Invalsi nella scuola fornisce solo una pallida misura del livello di resistenza cui simili provvedimenti andrebbero incontro. Su questo punto tanto cruciale quanto difficile il governo è clamorosamente inadempiente.

Che conseguenze trarne

La nascita del governo Monti è stata salutata con notevole ottimismo, sia all’interno del paese sia all’esterno. Fin dall’inizio è apparso chiaro che l’ottimismo era più giustificato dal confronto con l’immondo governo precedente che dalle caratteristiche intrinseche del governo stesso. Guardando alla composizione, divenne immediatamente chiaro che il governo includeva certamente alcuni tecnici di alto livello ma anche una discreta raccolta dei soliti personaggi da circo Barnum della politica italiana imposti dai partiti (come l’ex consulente di Brunetta, il sottosegretario Michel Martone).

Le aspettative erano chiaramente troppo alte. Molti hanno visto il nuovo governo come il nucleo di una nuova forza politica, in grado finalmente di avviare una svolta politico-economica e rimettere l’Italia su un sentiero di crescita. Si trattava palesemente di una illusione, e a onor del vero è giusto dire che Monti e i suoi ministri non hanno fatto nulla per alimentare tale illusione. Su questo occorre rassegnarsi. Una forza politica capace di rompere gli equilibri politico-economici attuali, colpendo le rendite che caratterizzano (e soffocano) tanta parte dell’economia nazionale sia nel pubblico impiego sia nel settore privato ci sarà solo quando una buona parte della popolazione italiana vorrà sostenerla. Al momento le cose non stanno così, e nessun governo tecnico può supplire a questa carenza fondamentale di volontà politica.

Era però lecito attendersi che il governo Monti agisse con decisione e senza ritardi per l’attuazione dei punti contenuti nella lettera BCE. Si tratta, lo ricordiamo, di provvedimenti minimi, necessari per evitare di ritrovarsi in pochi mesi di nuovo sull’orlo del baratro. L’arma che il governo aveva in mano era la pressione che i mercati finanziari stavano imponendo sul debito pubblico, e l’iniziale episodio della riforma pensionistica lasciava sperare che almeno sui famosi punti delle ”sezioni 1 e 2” si procedesse speditamente e con decisione. La disamina che abbiamo condotto mostra purtroppo che non c’è stato nulla del genere. Quel che è peggio, la linea di comunicazione propandistica del governo è nel frattempo radicalmente cambiata. Il Monti che sbeffeggiava soavemente Calderoli e ”gli eventuali lettori de La Padania” è diventato il Monti che rilascia dichiarazioni dal sapore tremontian-berlusconiano sui pericoli scongiurati, sull’inutilità di nuove manovre, sull’efficacia miracolosa di provvedimenti che sono in realtà solo di facciata. Michele ha ben scritto sui rischi del continuismo montiano. Qua aggiungiamo che un’analisi dell’azione del governo rispetto alle indicazioni della BCE rivela che l’unico intervento efficace, quello sulle pensioni, è anche quello che meno scardina l’attuale sistema di potere politico-economico. Interventi come la vendita della Rai, per esempio, che certo rientrerebbe tra le liberalizzazioni e privatizzazioni su larga scala invocate nel punto a) della sezione 1 della lettera BCE non sono stati nemmeno presi in considerazione. Il motivo è ovvio: gli interessi che si sarebbero andati a colpire sono assai più corposi di quelli dei lavoratori dipendenti in procinto di giungere all’età della pensione. Le intercettazioni di Belsito che appaiono in questi giorni sui giornali, in cui si parla tranquillamente di farsi mandare in Rai, alle Poste o all’ENI, sono solo l’ultima conferma dei motivi per cui la casta non vuole privatizzare alcunché.

Questo è il governo Monti, e questo è quello che ci possiamo aspettare da qui alle elezioni della primavera 2013. Se vogliamo qualcosa di diverso, sarà bene che iniziamo a pensare a come costruirlo. 

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