Qualcosa non ha funzionato sullo scambio ferroviario e sul sistema informatizzato. È stato questo, secondo l’ipotesi della procura di Roma, ad aver causato la collisione (o lo “sfioramento” come si leggeva ieri sera sul sito di Fs) tra i due Frecciarossa in entrata alla stazione Termini, uno proveniente da Milano e l’altro da Salerno. In particolare, quello in arrivo dal Nord avrebbe “barcollato” vistosamente, secondo i racconti dei passeggeri dell’altro treno che osservavano la scena mentre si preparavano a scendere.
La polizia ferroviaria della Capitale in queste ore sta ispezionando tutto l’«armamento ferroviario», come i carrelli, i convogli, i binari e le rotaie. Anche se ancora non si esclude alcuna ipotesi, quella di un errore umano sembra essere tra le più improbabili. E quindi si indaga sull’infrastruttura.
Così, mentre le associazioni dei consumatori già sono partite all’attacco e hanno preparato i formulari ad hoc per far richiedere il risarcimento danni ai passeggeri dei due treni (dieci i contusi in totale), il pm romano Silvia Sereni ha aperto un fascicolo per disastro colposo.
«Pensavo di morire, sono stata colta dal panico», ha raccontato una visibilmente scossa Alessia Marcuzzi, che si trovava, con il suo entourage, su una delle carrozze del Freccia proveniente da Milano. Poi è stata vista correre tra i binari col suo tacco 12. Tra le foto scattate e inviate via Twitter hanno destato attenzione quelle di Dalia Gaberscik, la figlia di Giorgio Gaber, sullo stesso convoglio della Marcuzzi, che mostra uno dei carrelli decisamente fuori rotta, anzi adagiato tra i binari. È lì, in quella zona, secondo gli inquirenti, che si anniderebbe il problema, quello che è stato definito un “guasto tecnico” ma che sembra sempre più un cedimento della struttura.
Ed è proprio sull’infrastruttura che ha puntato il dito l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria (Ansf), nell’ultimo rapporto presentato qualche mese fa. «Esistono carenze manutentive del materiale rotabile e dell’infrastruttura e la necessità di una migliore organizzazione delle strutture del Gestore (leggi Rfi, ndr) dell’infrastruttura dedicate al presidio della sicurezza. Sullo sfondo, il neonato controllo di Rfi, per quanto riguarda la sicurezza, da parte dell’Agenzia. Tanto che il rilascio dell’Autorizzazione di sicurezza avviato con la direttiva 1/2010 non è ancora avvenuto: «Il processo è delicato ed articolato», c’è scritto nella relazione. In questa direttiva vengono tra l’altro riportati i principali requisiti che Rfi deve rispettare. L’autorizzazione non è stata ancora rilasciata anche perché «c’è una sottovalutazione da parte di Rfi della necessità di adeguamento».
E ancora: «Rfi nel precedente regime normativo (prima cioè del controllo da parte di Ansf, ndr) vantava un assetto organizzativo strutturato, sua pure all’interno di un contesto autoreferenziale».
Cioè si controllava da sola. Eppure l’Agenzia lo scrive nero su bianco: c’è necessità di miglioramenti sulla manutenzione della rete, oltre che sulle manovre e sui mezzi d’opera. Ecco le parole precise: «fra le aree di potenziali criticità: la manutenzione sia dell’infrastruttura che del materiale e l’organizzazione del gestore dell’Infrastruttura per quanto concerne i processi che riguardano la sicurezza».
Più chiaro di così. E con l’arrivo dei privati, e una rete maggiormente congestionata, non potranno che esserci ulteriori fonti di preoccupazione: «La conflittualità che abbiamo rilevato in questi anni tra i vari operatori non aiuta di certo – ci dicono – spetta a Rfi farsi garante della sicurezza». A Rfi, o all’Autorithy che dovrebbe nascere nei prossimi mesi per garantire la terzialità dell’infrastruttura rispetto agli operatori.
Clicca qui per leggere la relazione annuale Ansf sulla sicurezza ferroviaria