Wind Jet sul baratro, la Sicilia spera in Alitalia

Wind Jet sul baratro, la Sicilia spera in Alitalia

«Incapace di proseguire l’attività con l’unica prospettiva di essere posta in liquidazione». Non lasciano spazio a interpretazioni le parole con cui Stefano Rantuccio, amministratore delegato della compagnia aerea low cost catanese Wind Jet, annuncia ai sindacati il licenziamento collettivo del personale. La missiva – giunta a sorpresa la sera del 24 aprile – dà conto della grave crisi economica in cui versa l’azienda e dell’apertura della procedura di mobilità per i suoi 504 dipendenti, 442 assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato e 62 a tempo determinato. A cui si sommano un dirigente e cinque collaboratori.

Un passo non rinviabile «necessaria conseguenza della programmata cessazione di ogni attività della società», si legge nella comunicazione. Ora l’unica via d’uscita per salvare almeno una parte dei lavoratori dell’azienda del patron del Calcio Catania Nino Pulvirenti sarebbe il via libera all’acquisizione di Wind Jet da parte di Alitalia. Il 13 aprile infatti l’azienda etnea ha firmato un “contratto di integrazione” con la compagnia di bandiera, operazione che deve essere autorizzata dall’Enac e dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato: c’è il rischio, già denunciato da alcune associazioni dei consumatori, che con l’acquisizione su alcune tratte Alitalia operi in regime di monopolio.

Nella comunicazione dell’amministratore delegato all’accordo con Alitalia si accenna solo alla fine e brevemente, ma sono le uniche righe in cui si fa riferimento a una possibilità di mantenere i posti di lavoro, anche se parzialmente. «Nonostante le profonde ed oggettive difficoltà – si legge – sussiste l’ipotesi di un possibile e parziale recupero del business di Wind Jet, salvando quindi parte della forza lavoro in essa occupata attraverso l’intervento di soggetti terzi del settore, come peraltro reso noto attraverso comunicazioni di stampa». I tempi per la ricezione delle autorizzazioni non sono noti e visto che l’azienda etnea non ha aspettato di conoscerne l’esito è lecito pensare che abbia considerato la possibilità di portare in Alitalia le tratte e gli aeromobili, ma non i dipendenti.

Resta da capire cosa ha portato la compagnia low cost catanese a un passo dal fallimento dopo anni di successi. «Nonostante le potenzialità di mercato e la volontà di affermare la compagnia sul territorio nazionale ed estero, testimoniato dall’aumento dei voli in incremento del 25 per cento dal 2007 al 2011 e dall’acquisizione di nuove tratte, la Wind Jet S.p.a si trova ad oggi ad affrontare una pesantissima situazione di crisi economica», si legge nella lettera. Crisi – scrive la compagnia nella missiva – conseguente a quella generale che ha determinato «il brusco calo dei viaggi aerei che ha causato, come noto, il fallimento di compagnie aree poi acquisite da gruppi più grandi».

Ed ecco che la storia sembra ripetersi con Alitalia e la low cost catanese, che ad oggi ha in attivo 22 destinazioni di cui 12 italiane e dieci europee e ha in forza una flotta di 12 airbus basati su Catania e Palermo. E che fino ad ora aveva negato di trovarsi in cattive acque. Anzi. Quando qualche mese fa i sindacati avevano lanciato un allarme per il ritardo dei pagamenti degli stipendi di febbraio, marzo e aprile e della tredicesima del 2011 – a tutt’oggi non versati – l’azienda aveva gettato acqua sul fuoco, annunciando per il 2012 il raddoppio del capitale sociale (da 20 a 40 milioni di euro) e perfino la quotazione in Borsa.

Oggi invece si mettono in fila numeri tutt’altro che rassicuranti, e cioè i tre bilanci d’esercizio della società 2009 – 2011: «A fronte di una perdita di euro 182.577 nel 2009, si è passati a più di 3 milioni nel 2010 e per l’anno 2011 si prevedono perdite superiori ai 10 milioni di euro», fanno sapere dalla Wind Jet.

A causare queste perdite sarebbero stati l’enorme aumento dei costi del carburante e dei servizi accessori, e incidenti ed eventi eccezionali e imprevedibili, come il birdstrike all’aeroporto di Parma nel 2009 costato 7 milioni di euro, o la grandinata quello stesso anno all’aeroporto di Palermo. Ma ad aver dato il colpo più duro alla società di Pulvirenti anche dal punto di vista dell’immagine sarebbe stato soprattutto il “fuori pista” del 24 settembre 2010, sempre a Punta Raisi: avrebbe provocato danni stimabili in 20 milioni di euro. Del resto, quell’incidente era già stato individuato come la motivazione di diversi licenziamenti attuati dalla compagnia etnea.

A questi motivi, rende noto l’azienda etnea, si aggiunge la richiesta da parte delle banche dell’immediato rientro delle esposizioni, determinando «una carenza di liquidità che pesa fortemente sulle spese correnti dell’attività aziendale». E annuncia anche che a copertura delle perdite, all’approvazione del bilancio 2011, dovrà ridurre il capitale sociale.

Intanto, mentre la Filt Cgil promette di fare il possibile per salvaguardare i posti di lavoro e la UilTrasporti Nazionale li invita a richiedere i crediti pregressi all’azienda, i dipendenti sono naturalmente preoccupati. I tempi per l’attivazione della procedura di mobilità saranno quelli previsti dalla normativa vigente e cioè 75 giorni. Nel frattempo la Filt Cgil ha richiesto l’esame congiunto con Wind Jet e annuncia che cercherà di avere risposte da Alitalia, «per capirne le intenzioni», dichiara il segretario provinciale della Filt Cgil Carmelo De Caudo. Per il sindacalista, nel caso l’integrazione andasse a buon fine, a correre più rischi sarebbero i dipendenti di terra. «Lavorando ad Alitalia e per esperienza – dice – so che gli assistenti di volo e i piloti hanno più possibilità di essere riassorbiti, a differenza degli amministrativi». Intanto il sindacato chiederà il ricorso alla cassa integrazione o ai contratti di solidarietà.

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