Dopo le coraggiose parole del ct Cesare Prandelli sulla normalità di un “coming out” nel mondo del calcio, oggi da quello stesso mondo sono arrivate le solite reazioni ipocrite. Dal negazionismo di chi dice, come Rivera, di non aver mai conosciuto dei gay calciatori, a chi, come Di Natale, invita a “non rompere questo tabù”, temendo le possibili reazioni dei tifosi. Che sarebbe come chiedere di vietare alle squadre di far giocare giocatori di colore perché i tifosi razzisti potrebbero reagire male.
Non sono d’accordo con Massimiliano Gallo, quando dice che Di Natale è semplicemente “realista”. Non mascheriamo l’ipocrisia camuffandola col “realismo”, per cortesia. La stampa sportiva in questi anni ha avuto una responsabilità enorme nell’impedire che il “tabù” evocato da Di Natale potesse essere infranto. Quante storie d’amore nate sui campi di pallone, e conosciute da tutti gli addetti ai lavori, sono state sottaciute al grande pubblico in nome del sacrosanto rispetto della privacy? O magari sono state evocate a mezze parole all’interno delle cronache sportive con un aggettivo o un sostantivo messo qua e là per farsi capire dai diretti interessati? Tizio che – chissà perché – non passa più la palla a Caio, con cui faceva coppia fissa in campo da anni. Caio con cui si è ormai rotto il feeling in campo che c’era sempre stato.
Proprio oggi leggevo il diario di Tiziano Ferro, nei giorni in cui racconta la fase del suo coming out, quando alcune riviste si precipitarono ad attribuirgli subito improbabili relazioni passate. E Tiziano scrive della “rabbia repressa di fronte ad anni di ricatti psicologici perpetrati da persone che giocavano con la mia insicurezza ed esercitavano su di me, impaurito, il potere del “tu sai che io so”. Tremendo, ora che ci penso” (da “L’amore è una cosa semplice” di Tiziano Ferro, ed. Kowalski p.68).
Ma la riusciamo ad immaginare la sofferenza che può provare un calciatore di serie A, costretto a nascondersi, a fingere improbabili relazioni, ed in certi casi anche matrimoni, pur di impedire che i pettegolezzi sul proprio conto possano raggiungere i tifosi? Dover vivere clandestinamente la propria vita, pagando a prezzo salato i servizi fotografici in cui si è ritratti in situazioni equivoche per impedirne la pubblicazione, essendo sottoposti a continui ricatti, psicologici e non.
E allora ben venga un coming out nel sacrario del calcio. Si sveli l’ipocrisia delle tante “Marise” che per anni hanno solcato i campi da pallone e si avvii un’azione decisa, da parte delle società calcistiche, ma anche dei giornali, quelli sportivi in particolare, per educare le tifoserie al rispetto di tutti e alla non discriminazione. Certo, costa più fatica del cosiddetto “realismo” e dell’ipocrisia, ma alla fine produce risultati migliori per tutti. E magari alla lunga darà il coraggio a tanti giovani sportivi omosessuali di vivere serenamente la propria vita fino in fondo, senza dover rinunciare ad una carriera sportiva pur di salvaguardare la propria dignità.
*coordinamento nazionale Equality Italia