CANNES – Il Festival del Cinema di Cannes di quest’anno sarà probabilmente ricordato come il più piovoso della storia recente. Se nella scorsa edizione il sole non aveva mai smesso di splendere sulla Croisette, quest’anno acquazzoni e folate di vento stanno mettendo a dura prova la resistenza delle impavide starlette che si avventurano fra la Montée de Marche e il Casinò con i tacchi a spillo d’ordinanza.
Mentre il Festival arriva al giro di boa (domenica prossima la conclusione), fioccano i pronostici sul possibile vincitore della prossima Palma d’Oro. L’anno scorso “The Tree of Life”, capolavoro del genio ribelle Terrence Malick, si era aggiudicato l’ambito riconoscimento. Nei prossimi giorni arriveranno il maestro del cinema canadese, David Cronemberg (“Cosmopolis”) e l’attesa trasposizione del romanzo simbolo della beat generation (“On the road”, di Walter Salles), ma nel frattempo, fra i più papabili, ci sono due beniamini della kermesse, entrambi già premiati in anni recenti. L’austriaco Michael Haneke, esploratore dell’iperviolenza (“Funny Games”) premiato a Cannes per “Il Nastro Bianco” (2009), è sbarcato sulla Croisette con “Amour”, produzione franco-tedesca-austriaca con budget di 8 milioni di euro. Due stelle del cinema francese (Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva) per la storia intima e toccante di un’anziana coppia di insegnanti di musica di fronte all’imminenza della fine quando Anne, la moglie, è colpita da una malattia invalidante. Un legame d’inesauribile amore riempie un dramma da camera che si svolge quasi per intero nelle stanze dell’appartamento francese della coppia, mentre il richiamo del mondo esterno appare sempre più flebile e lontano.
A suo modo, lo stesso “Beyond the Hills”, del rumeno Cristian Mungiu è una storia d’amore giunta al capolinea. Ispirato a un fatto di cronaca che riempì le pagine dei quotidiani moldavi nel 2005, il film racconta la vicenda di una giovane donna morta in circostanze misteriose, dopo aver ricevuto un esorcismo in un convento di campagna, presieduto da un prete fanatico. Nella pellicola Alina giunge al monastero per ricongiungersi con Voichita, l’unica persona che l’abbia mai amata, cresciuta con lei nel locale orfanotrofio. Mentre la prima cerca vanamente di riaccendere l’antico legame, la seconda ha scelto ormai di dedicarsi esclusivamente a Dio e alla preghiera, escludendo qualsiasi umano legame fino al materializzarsi del dramma che le farà aprire bruscamente gli occhi.
Anche “The Hunt”, del danese Thomas Vinterberg racconta una vicenda di violenza psicologica e corporale, attraverso la messa in scena della personale discesa all’inferno di un maestro d’asilo accusato ingiustamente di aver commesso abusi sessuali sui bambini affidati alle sue cure. Fattosi conoscere al grande pubblico con un film su un caso di pedofilia interno a una famiglia patriarcale (“Festen – Festa in famiglia”, premio della giuria al 51º Festival di Cannes), il cineasta, sodale di Lars von Trier, torna sul tema con uno sguardo differente, quello dell’innocente marchiato a fuoco per un crimine non commesso.
Si cambia genere con “Lawless”, di John Hillcoat, noto per il post-apocalittico “The Road”, dal romanzo di Cormac McCarthy. Il film schiera un cast stellare fra cui spiccano Shia LaBoeuf, Jessica Chastain e Mia Wasikowska, per un’avventura di fuorilegge nell’epica era del proibizionismo. Ambientato in un inedito – per un gangstern movie dal gusto classico – scenario virginiano, “Lawless” sceglie la via dell’ironia in un Festival in cui prevalgono i drammi a tinte forti.
Dopo la lieve commedia koreana di Hong Sangsoo (“In Another Country”) con una Isabelle Huppert triplicata, è arrivato il turno di altri due veterani della Croisette. L’iraniano Abbas Kiarostami (Palma d’oro 1997 con “Il sapore della ciliegia”), dopo la Toscana del precedente “Copia conforme” (2010, con Juliette Binoche), esplora Tokio con “Like someone in Love”, titolo di una canzone di Ella Fitzgerald, che fa da sfondo al legame fra un professore di sociologia in pensione e una studentessa che si mantiene lavorando come escort.
In occhiali da sole e camicia rossa scarlatta, Alain Resnais, grande vecchio del cinema francese, scandalosamente digiuno di palme, ha invece presentato la sua personale rivisitazione del mito di Euridice, in un gioco intellettuale a metà strada fra cinema e teatro (“Vous n’avez encore rien vu”), dove sfilano i suoi attori feticcio (dalla moglie Sabine Azèma a Pierre Arditi). Che sia finalmente la volta buona?