“Compro e vendo foreste, ma non chiamatemi speculatore”

“Compro e vendo foreste, ma non chiamatemi speculatore”

Scovare vecchie cartiere che hanno in corpo ettari di terreno con corredo di foreste, attraverso spin off e quotazioni in Borsa isolare il core business che riguarda le foreste e poi iniziare a colpi di miliardi la compravendita di piantagioni da proporre ai grandi investitori istituzionali e privati. Insomma il cosiddetto business delle foreste.

Lo scenario a un primo sguardo fa pensare a raider della finanza che speculano su uno dei polmoni più vitali che il pianeta ci ha regalato o diversamente a una forma di rendita paleocapitalistica o ancora, alla lunga mano della finanziarizzazione sull’economia mondiale. Ma Gian Paolo Potsios managing partner di Timberland Investment Resources Europe, una delle società del gruppo Timberland che opera in modo planetario nel settore delle piantagioni, sostiene che quelle immagini sono sbagliate e fuorvianti.

Non si tratta nè di speculazione nè di rendita, ne tanto meno di un’ottica di breve periodo. Anzi, uno dei cardini del colosso Timberland, quasi un postulato, ci racconta Potsios, è l’ecosostenibilità. «Se alla base del nostro operato non ci fosse l’ecosostenibilità non ci sarebbe neppure il business, questo ci è stato chiaro fin dall’inizio. Speculare a breve significherebbe distruggere in poco tempo il nostro core business». «Noi inoltre lavoriamo sul lungo periodo e dunque abbiamo una posizione radicalmente opposta alla speculazione che notoriamente vive di breve periodo. Per dirla con una battuta gli alberi non leggono il Sole 24 Ore, lo sviluppo delle foreste è a lungo termine e noi su questo elemento reale abbiamo costruito il nostro business. È per questo che per ogni albero che tagliamo ne facciamo crescere tre. Dobbiamo garantire la continuità biologica della crescita se vogliamo che la nostra strategia di investimento non muoia. Aggiungo una cosa importante: il ritorno dell’investimento in questo settore è determinato dalla crescita biologica degli alberi non dal valore della terra».

D’accordo dottor Potsios. Niente speculazione, niente titoli tossici. Allora, facciamo un passo indietro per capire la natura del vostro business. Che cos’è il gruppo Timberland?
Inizierei dalla società di cui sono responsabile. La Investment Resources Europe è una società di investimento (l’equivalente italiano di una SGR) con soci americani che opera esclusivamente nel settore del legname (forestry e forestry related assets). Al momento gestiamo un portafoglio di investimenti di quasi 1,3 miliardi di dollari e ci stiamo sviluppando in Europa. TIR parte dal presupposto che un investimento “forestale” sia dotato di caratteristiche particolari atte a consentire di calibrare il rischio in funzione del reddito atteso e della durata dell’investimento, di assicurare l’incremento di valore mediante la continua crescita biologica degli alberi, di agire quale valido correttivo di trend inflazionistici, di svilupparsi indipendentemente da corsi e tendenze di mercato come componente etica e “sostenibile”.

Investimenti di questo tipo sono da tempo assai diffusi negli Stati Uniti, prescelti tra l’altro da fondi pensioni, compagnie di assicurazioni e, spesso, dai fondi di dotazione delle maggiori università. In Europa sono gli investitori tedeschi, austriaci e quelli dei paesi scandinavi che si sono dimostrati sino ad oggi consapevoli delle loro notevoli potenzialità. Riteniamo che l’attuale congiuntura sia particolarmente favorevole ad investimenti del genere, tenuto anche conto che la stabilità del loro reddito può contrastare l’alta volatilità del mercato e consentire flessibilità fiscale e di cash flow .In questa ottica gli investimenti effettuati dal nostro Gruppo mirano a conseguire un sostenuto e diversificato flusso di cassa generato da investimenti “forestali” negli Stati Uniti, Brasile, Europa centrale e dell’est e in taluni paesi emergenti, non tralasciando di perseguire l’apprezzamento a medio termine delle attività acquisite.

A proposito della congiuntura attuale, vedo che Timberland Investment Resources Europe inizia ad operare nel vecchio continente nel 2009, in piena crisi finanziaria, la crisi originata dai titoli tossici, Come mai vi è venuto in mente di entrare nel mercato in un momento così difficile?
La nostra scelta non è stata casuale. Ritenevamo che quello era il momento opportuno per scendere in campo in Europa. Certo, ha ragione, eravamo in controdendenza rispetto a quello che stava succedendo nella finanza ma alla fine la nostra strategia che si basa come le dicevo sul lungo periodo e su investimenti nell’economia reale ci ha dato ragione. Tenga conto del fatto che noi siamo scesi in campo in un momento in cui da parte degli investitori c’era ormai un rigetto totale dei titoli tossici e dei prodotti finanziari che circolavano all’epoca.

Quando nel 2005 parlavo con alcuni investitori importanti e proponevo loro di investire i loro capitali nel business delle foreste con tassi di rendimento del 10%, loro mi rispondevano che c’erano in giro prodotti finanziari ben più appetibili che rendevano tra il 13% e il 14%. Quando poi è scoppiata la crisi molti investitori sono tornati sui loro passi riscoprendo così gli investimenti nell’economia reale. In quel momento noi eravamo pronti a proporre il nostro business e ora i risultati si vedono. Nel lungo termine soltanto il petrolio registra un rendimento superiore al nostro settore. Euro Stoxx 50, Oro, S&P 500 rendono meno del cosiddetto business delle foreste. Ma per esattezza dobbiamo aggiungere che l’andamento dei rendimenti in quel settore è molto più instabile dei rendimenti che si traggono dagli investimenti nelle piantagioni. E poi, come dicevamo all’inizio della nostra conversazione, la vera novità del nostro business è proprio l’ecosostenibilità. La crescita degli alberi è un ciclo che continua all’infinito e che noi dobbiamo alimentare. E non si tratta di etica a se stante. Il nostr credo è chiaro: più alberi più business. Le faccio un esempio: una piantagione in Brasile non può non tenere conto dei villaggi e delle realtà locali che vivono in quell’area. Anzi devo cercare di coinvolgere la gente del luogo se voglio valorizzare il mio business.

Immagino che siate costretti ad avere a che fare con i governi e con gli Stati per acquistare intere foreste. E credo che i cambiamenti politici siano fonte di incertezza per i vostri investimenti.
Certamente. Il rischio sovrano è molto alto e noi cerchiamo di gestirlo nel miglior modo possibile. Per esempio, in paesi come la Cina o l’Africa il rischio è altissimo, in alcuni casi troppo alto. Se il Usa il rendimento è tra il 7 e il 10% e in Brasile è tra il 10 e il 13%, in Africa arriva anche al 15% ma noi sosteniamo che la percentuale maggiore di rendimento in Africa non giustifichi il rischio che si corre. Se fosse al 20% forse ne varrebbe la pena.

Se accetta di dismettere per un attimo i panni del managing partner di Timberland le faccio una domanda in veste di uomo della finanza: che cosa pensa della crisi economico-finanziaria in atto.
A mio parere stiamo scontando gli eccessi degli ultimi 10 anni. Un decennio che ha visto crescere in modo esasperato il debito personale e quello pubblico. La crisi nasce dal sistema bancario ma non mi sembra che il fenomeno sia nuovo. All’inizio del ‘900 ci fu una crisi altrettanto grave che poi portò alla separazione tra banche commerciali e banche d’investimento. Insomma, nulla di nuovo.

Le crisi però sono sempre più ravvicinate e la velocità di trasmissione è cresciuta…
Non è soltanto la velocità che è cambiata. Oggi il mercato detta anche le linee della politica: pare ad esempio che gli hedge fund abbiano deciso di scommettere sulla caduta dell’euro dopo il primo turno delle elezioni francesi. Molti investitori temevano infatti la vittoria di Hollande in Francia per le posizioni che il leader socialista ha preso sull’Europa. Io prevedo che dopo una fase di pulizia riprenderà il fenomeno dell’inflazione.  

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