La notte dovrebbe portare consiglio. E invece ieri notte, dopo una riunione convocata all’ultimo momento, la Consob ha preso una decisione pilatesca sul dossier Unipol-FonSai (leggi qui la nota ufficiale). L’esenzione dagli obblighi di Opa su Premafin e su Fondiaria Sai è stata concessa a condizione che venga revocata la manleva ai membri della famiglia Ligresti per eventuali azioni risarcitorie per le cariche ricoperte nel gruppo. L’autorità guidata da Giuseppe Vegas, inoltre, si è riservata di non ritenere applicabile l’esenzione «qualora gli attuali azionisti di riferimento di Premafin esercitino il diritto di recesso in dipendenza della fusione di Premafin in Fonsai».
Il risultato è paradossale. La coerenza dell’operazione rispetto alla normativa è rimessa non al rispetto di principi generali ma alla decisione dei membri della famiglia Ligresti sull’esercizio di un proprio diritto. Senza considerare il fatto che, anche senza recesso, i Ligresti potrebbero vendere i titoli rivenienti dalla fusione e realizzare così l’incasso. La modifica delle clausole, peraltro, potrebbe far cadere i vincoli di esclusiva a cui è legata Premafin fino al 31 luglio. Quanto alla Milano Assicurazioni, Consob ha ritenuto che «non sia possibile assumere, al momento, una decisione sull’eventuale Opa a cascata «in presenza di un quadro informativo incompleto». Secondo gli analisti, in realtà, i concambi previsti per la fusione già oggi permettono di calcolare che la Milano ha un valore superiore a un terzo di quello di FonSai. Questo farebbe scattare l’obbligo di Opa sulla Milano stessa per acquisto indiretto: uno scenario che finora i vertici di Unipol hanno detto chiaramente di non gradire. La patata bollente viene infine girata all’Isvap: l’eventuale fusione di Unipol Assicurazioni, FonSai e Milano non farà scattare l’offerta pubblica di acquisto «a condizione che l’Isvap, in sede di autorizzazione della fusione, la ritenga parte integrante del soddisfacimento delle richieste da essa formulate».
Azionisti di minoranza ignorati. La decisione della Consob poggia sulla nuova formulazione dell’articolo 49 del regolamento emittenti, cambiato meno di un anno fa, su cui manca un orientamento interpretativo consolidato. In teoria, la nuova versione dell’articolo 49 del Regolamento emittenti avrebbe dovuto fissare in modo più preciso i casi dell’esenzione da Opa «per operazioni dirette al salvataggio di società in crisi». Ma la legge non riesce mai a incasellare la realtà: e così è bastato combinare astutamente due codicilli per beffare gli azionisti di minoranza.
Lo schema del salvataggio di FonSai by Unipol sembra fatto apposta per testare la tenuta dell’articolo 49 del Regolamento emittenti rispetto a eventuali usi impropri. La finalità della norma sui salvataggi è permettere che un soggetto disponibile a investire in una società in crisi non sia scoraggiato dall’obbligo di lanciare una costosa offerta pubblica di acquisto. In questa logica, il diritto degli azionisti di minoranza a essere liquidati per il cambio del controllo – individuato per legge nel superamento della soglia del 30% – viene sacrificato sull’altare di un bene maggiore: la continuità aziendale. Tanto più importante se si tratta di un’impresa rilevante per la stabilità del sistema finanziario, come è il caso di una banca o di una compagnia di assicurazioni. Questa facilitazione per il salvataggio di società in crisi non fa però venire meno il principio generale della parità di trattamento fra gli azionisti. Giustamente, ha detto il presidente della Consob Giuseppe Vegas, «nei casi più critici, è necessario guardare alla sostanza e non solo alla forma delle questioni». E invece che cosa è accaduto, al di là della “batosta” sui Ligresti?
La forma del salvataggio. La proposta del gruppo bolognese controllato dalle Coop, che è stata congegnata da Mediobanca, è articolata in tre passaggi:
1) assumere il controllo di Premafin tramite un aumento di capitale riservato al prezzo di 0,195 euro per azione (versando 400 milioni avrebbe l’83,24%),
in questo modo Unipol diventa, via Premafin, azionista indiretto di FonSai (al 36% circa);
2) sottoscrivere la quota parte di Premafin dell’aumento di Fondiaria Sai da 1,1 miliardi, richiesto dall’Isvap;
3) fondere Premafin, Milano Assicurazioni e la propria controllata Unipol Assicurazioni in Fondiaria Sai, e alla fine avere il 61% della nuova entità.
Questi tre passaggi, secondo Unipol, andrebbero considerati come un tutt’uno: sono cioè le fasi inscindibili di un progetto che, nell’ottica di salvare Premafin e FonSai, punta alla creazione di un operatore nazionale di primario rilievo nel settore assicurativo.
La sostanza del salvataggio. La struttura del salvataggio poggia sull’assunto che l’operazione sia unitaria, cioè composta da elementi non separabili e necessari per raggiungere lo scopo. Il primo nodo da sciogliere è se davvero le tre operazioni possano essere considerate come un tutt’uno. A deporre contro tale teorema c’è un primo fatto: da almeno quattro anni che Premafin non si qualifica più come capogruppo assicurativa, non esercita funzioni di coordinamento e controllo di FonSai e non è un soggetto vigilato Isvap. Le sue sorti, insomma, sono cosa distinta da quelle della compagnia assicurativa: rappresentarle in modo unitario serve per giustificare una serie di anomalie. Vediamo quali.
Premafin, il naufrago ricoperto d’oro. L’accordo permette a Unipol di avere l’83,24% di Premafin a fronte di un aumento di capitale da 400 milioni. La sostanza del punto 1) è che per Unipol la Premafin di oggi vale 80,2 milioni. Questa cifra contrasta con il valore che la stessa Premafin si è auto-attribuita (141 milioni) nel bilancio 2011, peraltro ancora da approvare, ma contrasta soprattutto con il valore netto dell’attivo (Nav) della holding. Ai prezzi ufficiali di borsa del 17 maggio sarebbe negativo per 230 milioni. Ma se la società è da salvare, perché Unipol è così generosa con i vecchi azionisti? E non è singolare che questo avvenga dopo che per mesi i vertici di Mediobanca hanno sostenuto che nessuno fuorché Unipol fosse interessato?
FonSai, la naufraga depredata. La risposta è nei cassetti di Premafin: il pacchetto di controllo (36,7%) di FonSai. Per mettere le mani su questo pacchetto, senza il fastidio di doversi confrontare con offerte concorrenti, Unipol è pronta a pagare un prezzo elevato ai Ligresti e, indirettamente, alle banche creditrici di questi ultimi. Quanto elevato? Quasi tre volte e mezza il prezzo di mercato delle azioni FonSai. Valutare Premafin 80 milioni significa, infatti, pagare il pacchetto di controllo di FonSai a 3,418 euro per azione: per un totale di 460,5 milioni. Di cui 134,2 come prezzo di mercato e 326,3 milioni come premio per il controllo. Ecco la seconda anomalia. Per l’azionista Premafin il premio è del 243% (rispetto al prezzo ufficiale del 17 maggio di 0,996 euro per azione). Per gli altri è zero. La parte del premio per il controllo che sarebbe di competenza degli azionisti di minoranza (206 milioni) viene catturata tutta dall’azionista di maggioranza Premafin.
Esito grottesco. Diventa allora chiaro il motivo per cui si vuole che l’operazione sia considerata come unitaria: diversamente non starebbe in piedi la richiesta di esenzione. Per salvare Fondiaria, infatti, basterebbe partecipare all’aumento di capitale, comprandosi i diritti di opzione sul mercato. In questa ipotesi, anche in regime di esenzione d’Opa, chi volesse assumere il controllo dovrebbe comprare i diritti sul mercato, e tutti i soci beneficerebbero dell’aumento delle quotazioni. Investire in Premafin, invece, non è un passaggio indispensabile per ricapitalizzare FonSai. Serve semmai per consentire a Unipol di prendere il controllo della compagnia prima della ricapitalizzazione, senza esporsi alla concorrenza. Solo così, infatti, può essere pagato dazio ai Ligresti e, indirettamente, ai loro creditori bancari. Unicredit, Mediobanca, Banco Popolare, Crédit Agricole-Cariparma, Ge Capital vantano crediti per 323 milioni (368 milioni incluso l’equity swap), che saranno in parte saranno riscadenziati in parte trasformati in un prestito convertendo. In ogni caso saranno garantiti. La conclusione è stupefacente: l’azionista di minoranza viene subordinato non solo all’azionista di maggioranza ma anche ai creditori di quest’ultimo. Si crea un precedente clamoroso e pericoloso: consentire a un socio di controllo indebitato di scaricare le sue perdite sui soci di minoranza a tutela dei suoi personali creditori. Un esito grottesco che rischia di fare scuola e di svuotare la legge dell’Opa, assecondando per decisione amministrativa un’interpretazione furbesca di un regolamento. Stupefacente.
Twitter @lorenzodilena