Secondo gli ultimi sondaggi del Cis, il barometro statistico che sonda gli umori della società spagnola, il principale problema del Paese è la sua classe politica, che preoccupa più della disoccupazione. La maggioranza dei cittadini, inoltre, ritiene probabile un riscatto del settore bancario da parte del Fondo europeo salva Stati. Le due questioni sono vincolate l’una con l’altra. E sulla nazionalizzazione di Bankia, la quarta banca del Paese, gli spagnoli assistono con sgomento a un’operazione di un’opacità sconcertante.
Basta ricordare, del resto, quanto avvenuto in queste settimane. Il governo uscente di Zapatero aveva lasciato in eredità un deficit dichiarato al 6 per cento. Risultò poi che il deficit era molto maggiore, ma il nuovo governo di Mariano Rajoy proprio non ne voleva sapere di dare una cifra, mentre da Bruxelles, attoniti, cercavano di capire a quanto ammontasse il buco di bilancio, venuto fuori in extremis: l’8,5 per cento. A causa dell’inettitudine di Zapatero, secondo gli uni, per colpa delle regioni, in mano alla destra, secondo gli altri. Alla fine avevano ragione entrambi dato che il deficit, soltanto tre settimane fa, è risultato poi essere, per colpa di tutti, dell’8,9 per cento. A quel punto era facile immaginare gli effetti sulla credibilità dei titoli di Stato iberici, con lo spread che infatti è schizzato oltre i 500 punti. Ma era solo l’aperitivo, perché poche ore dopo veniva annunciata la clamorosa nazionalizzazione di Bankia, una banca nata dalla fusione di varie casse di risparmio, che un anno fa aveva debuttato in borsa tra squilli di tromba e che a marzo dichiarava agli azionisti un utile niente male. Tutto falso, la banca era in perdita, andava salvata con soldi pubblici, per non mettere in pericolo dieci milioni di conti correnti. E il governo ha cominciato di nuovo a dare i numeri. In una settimana siamo passati da un intervento di 4,5 miliardi di euro, agli 8, poi ai 13, infine ai 23. E poi si vedrà anche con le altre banche nate dalle ceneri delle casse di risparmio, i cui attivi tossici, legati in buona parte al settore immobiliare, sono tutti da valutare, sebbene delle stime iniziali parlino di un intervento complessivo necessario tra i 50 e gli 80 miliardi di euro.
Dopo una sequenza del genere ci si dovrebbe attendere una pubblica ammissione di colpa e la richiesta di aiuto a Bruxelles. Neanche per idea: il presidente Rajoy convoca infatti il leader dell’opposizione, il socialista Rubalcaba, e insieme mettono in scena la pantomima di un patto di Stato. Sì all’intervento pubblico nel settore bancario e lotta comune alla pressione dei mercati (sic!), ma soprattutto, al margine delle foto ufficiali, la premessa di quanto si è poi verificato in Parlamento: nessuna commissione d’inchiesta su Bankia, nessun responsabile per aver mentito con un clamoroso falso in bilancio, nessuna spiegazione pubblica. Giusto per salvare un po’ le apparenze sono arrivate le dimissioni del governatore del Banco de España, Miguel Ángel Ordoñez, reduce dall’era Zapatero, che comunque era a fine mandato. Coinvolto anch’egli nel patto del silenzio, mentre i gruppi parlamentari minori chiedono l’apertura di un’inchiesta che accerti eventuali responsabilità penali, ha rilasciato le dichiarazioni più naif di tutte: vorrei spiegare, ma il Governo non vuole.
L’interesse comune di tutti gli attori dell’operazione Bankia si poggia infatti su un peccato originale. Nel consigli di amministrazione delle Cajas de ahorros sedevano esponenti politici dei due principali partiti, socialisti e popolari, insieme ad amministratori dalla spesa pubblica facile, imprenditori affini, preti e qualche sindacalista connivente per cui comunque “sono sempre posti di lavoro”, anche se si costruisce un aeroporto inutile nel deserto. Con la riforma del 2010, voluta dal governo Zapatero e supervisionata da Ordoñez, le cajas si sarebbero in teoria sciolte in gruppi bancari con criteri efficienti, ma quel che hanno fatto in realtà era sommare problemi e consigli di amministrazione, cambiando, e neppure sempre, gli adesivi delle filiali. Una commissione d’inchiesta non potrebbe fare altro che giudicare tutti colpevoli e la strategia è quindi quella di aspettare che passi il temporale e che i cittadini elettori dimentichino.
Ma questa volta la memoria degli spagnoli potrebbe essere marcata a fuoco da una simile gestione, che ha appena ricevuto, tra l’altro, un secco schiaffo dall’Europa. Come se niente fosse il governo ha infatti annunciato l’iniezione di 19 miliardi, per coprire le perdite di Bankia, oltre ai 4,5 già stanziati per nazionalizzarla, senza però chiarire da dove prenderà questi soldi. Mario Draghi, come ha anticipato durante la notte il Financial Times, ha però immediatamente bloccato l’ennesimo tentativo di capolavoro contabile: buoni del Tesoro spagnoli come garanzia presso la Bce in cambio di liquidità. Non appena si è saputo del rifiuto di Draghi, lo spread ha superato i 540 punti. A questo punto restano due strade: emettere sul mercato altro debito pubblico, con il rischio di far schizzare i rendimenti oltre il 7%, o far intervenire il Fondo salva stati. La Commissione Europea ha già fatto sapere che sta studiando la possibilità di far agire il Fondo direttamente nei bilanci delle banche, saltando così il tramite dei governi nazionali. Ma se Bankia dovesse essere salvata direttamente dai soldi europei, di chi sarebbe allora? Questa volta gli spagnoli darebbero un sospiro di sollievo se i propri politici venissero scavalcati.