Ancora terremoti. Le scosse sono cominciate alle nove, per continuare lungo tutta la mattinata. La prima, di 5,8 gradi della scala Richter, aveva epicentro a Medolla, in provincia di Modena, e ha provocato quindici morti, ma il numero sembra destinato a crescere. Tre operai sono rimasti travolti dal crollo di un capannone industriale a San Felice sul Panaro e altri due sono morti per le stesse ragioni a Mirandola. Ma anche a Cavezzo, e negli altri paesi della zona, i crolli di case e capannoni hanno provocato vittime. In tutto questo, si sommano le tendopoli degli sfollati per il sisma di domenica venti maggio. I numeri non sono ancora chiari, la terra continua a tremare, mette a rischio sia edifici secolari che vecchi di pochi decenni. Ma perché crollano?.Linkiesta ne ha parlato con Fernando Lugli, del Centro Richerche di Carpi, ed esperto del territorio emiliano.
Cosa sta succedendo in Emilia?
Anche i geologi fanno fatica a capirlo. Una serie di scosse continue, di difficile decrittazione. Addirittura si parla di sabbie liquefatte, un fenomeno che appare in situazioni di grande intensità. Per ora, le cose sono complicate. La pianura padana ha una lunga storia di terremoti, ma non di questa intensità. Questo sta interrogando tutti gli esperti.
E sulla superficie?
Sulla superficie il quadro è complesso, ma più chiaro. Le scosse stanno provocando crolli di edifici, che appartengono soprattutto a due categorie.
Quali?
La prima è quella degli edifici storici, specie se inseriti all’interno di strutture più complesse, mentre la seconda riguarda edifici industriali, soprattutto quelli costruiti prima di introdurre criteri vincolanti di antisismicità. Risalgono cioè agli anni ’70- ’80.
Ma i capannoni, che rientrano in questa seconda, sembrano edifici semplici.
Sono semplici, sì, ma anche fragili: c’è molto vuoto e poca struttura. E fino agli anni ’80 non erano studiati per resistere alle spinte orizzontali, che sono quelle tipiche di un terremoto. La loro geometria è semplice: il pilastro veniva incastrato in un plinto. In cima, aveva una forcella dove si inseriva e appoggiava la trave. Se le due parti si incrociano per dieci centimetri e non, per dire, quindici centimetri, cambia tutto. Diventa facile che si stacchino l’uno dall’altro, e se la trave cade, si trascina anche il tetto, provocando il crollo.
Come si dovrebbero costruire, invece?
È buona regola preferire un sistema in cui le forze sono distribuite in modo più ampio. Edifici molto semplici come i capannoni, invece, prevedono di concentrare le forze in pochi punti, che sono quelli di contatto delle strutture. Si dovrebbe riuscire a distribuire meglio il peso. Invece, per quanto riguarda gli edifici storici, i problemi sono diversi.
Di che tipo?
Anche se sono di struttura molto solida, hanno subito nel tempo una serie di trasformazioni – nuove porte, finestre, intercapedini – che hanno snaturato l’equilibrio della struttura, provocando delle debolezze nell’edificio che non erano originarie. Le chiese sono un caso esemplare: risentendo delle trasformazioni culturali nel tempo, hanno subito modifiche di ogni tipo, e per questo sono crollate, insieme ad altri edifici secolari. Al momento, sono gli edifici più fragili. Anche quelle di campagna, piccole cappelle costruite con mattoni disposti “a coltello”, cioè in verticale e non in orizzontale, e sono molto poco spessi. Insomma, intervengono anche fattori di economia nella costruzione.
Queste sono le due tipologie più a rischio. Come è, dal punto urbanistico, il panorama dell’area?
Variegato. Le costruzioni più recenti, che hanno seguito le norme antisismiche – sempre più stringenti – aggiornate di volta in volta al rischio dichiarato hanno resistito alle scosse senza problemi. Ma ci sono anche molti altri, che pure sono stati edificati prima, se solidi, non hanno avuto problemi di nessun tipo. Di solito perché sono bassi, a un piano o due al massimo, con poche aperture, costruiti con materiali resistenti. Questi non hanno seguito le norme anti-sismiche, che all’epoca non erano in vigore, eppure restano in piedi.
Molti però sono stati evacuati.
Sì, ma si consideri che la maggioranza degli edifici che sono stati dichiarati inagibili, in questi giorni, non ha subito danni dalle scosse, è rimasta indenne. Il loro problema è che sono molto vicini a edifici danneggiati e pericolanti, come torri, chiese e palazzi storici.
E casi di costruzioni fuori norma?
Ci sono anche quelle, purtroppo. Ad esempio mi è capitato in questi ultimi giorni di visionare una casa degli anni ’70, crollata. Lì si vedeva che il costruttore aveva “risparmiato”: si alternavano mattoni pieni, come dovrebbero essere a mattoni forati, più leggeri e meno resistenti (ma anche meno costosi). C’è da dire anche un’altra cosa.
Cioè?
Che, almeno qui, ci sono apparati di controllo molto buoni. Non mi sentirei di dire che sia un problema. Per tante ragioni: i sistemi di certificazioni sono efficienti, e poi la casa, in sé, non è solo un’abitazione, ma anche un mezzo di distinzione sociale. Viene costruita per resistere, c’è anche una certa cura.
Lo immagino, ma per i capannoni?
Anche lì mi sentirei di escludere che ci possa essere un problema. I capannoni sono quasi tutti prefabbricati, per cui ogni componente è testato, certificato, collaudato all’origine. Certo, ci possono essere delle incurie nel montaggio delle parti. Possono mancare delle parti, essere assemblate male. Però sono casi su cui indagheranno. Per ogni crollo, partono automaticamente.