Gli affari non girano più intorno a Mediolanum

Gli affari non girano più intorno a Mediolanum

Dai tempi della pubblicità della banca-costruita-intorno-a-te, molte cose sono cambiate per Mediolanum. Il bastone che il fondatore Ennio Doris impugnava per tracciare un cerchio sulla sabbia non è servito a difendere il business della banca dai profondi cambiamenti che il crac della Lehman Brothers ha innescato nel mondo della finanza.

Il prodotto su cui Doris aveva costruito il successo della sua creatura, le index linked e unit-linked – polizze con rendimento legato, rispettivamente, all’andamento di un indice di mercato o di un fondo di investimento –, ha perso di colpo attrattività, dopo che nella seconda metà degli ’90 era stato la killer application di Mediolanum: alti margini e basso assorbimento di capitale per la società; possibilità di partecipare ai rialzi dei mercati, capitale protetto e tassazione agevolata per i clienti. Un mix che ha fatto la fortuna di molte reti di distribuzione finanziaria, non solo di Mediolanum.

La macchina inceppata. Il crac della Lehman ha spinto però le autorità di vigilanza a mettere la museruola a questi prodotti, già da tempo criticati per i costi impliciti elevati e la scarsa trasparenza. Al dunque, unit e index linked non sono stati in grado di proteggere il capitale investito dai crac delle società che avevano emesso dei titoli scelti come sottostante delle polizza. Doris e la Fininvest dei Berlusconi, soci di controllo di Mediolanum, ne sono usciti a testa alta. Si sono fatti carico personalmente delle perdite subite da chi aveva sottoscritto polizze che avevano come sottostante obbligazioni Lehman: ritorno reputazionale altissimo a un costo tutto sommato modesto, 23 milioni di euro, con cui hanno indennizzato circa 10mila clienti.

La svolta. Ma un conto è salvare l’onore, un conto è il carburante per far girare la macchina: a causa di una regolamentazione più stringente e impegnativa, unit e index linked sono diventate poco interessanti per chi le vende. È toccato ancora a Doris provare a reinventare il business per traghettare rapidamente Mediolanum verso nuovi lidi. La nuova strategia commerciale è stata inaugurata con Freedom, un conto corrente bancario con una remunerazione garantita, fissata trimestralmente per le giacenze oltre 15mila euro, e legata alle polizze vita tradizionali. L’andamento di Freedom, e dei suoi derivati, va però a onde, come mostrano i dati sulla raccolta: per un certo periodo si attirano le masse gestite, cercando poi di spostarli sui più redditizi prodotti di gestione o assicurativi. Una volta esaurita la forza propulsiva del Freedom, si passa alla nuova versione, e il ciclo commerciale ricomincia. Se un tempo la società cresceva di suo, senza bisogno di “spinte”, oggi il vecchio modello di business non tira più, e inventarsi ogni volta un prodotto civetta ha un costo immediato (l’interesse garantito da pagare al cliente) e segnala la crescente pressione competitiva, anche se finora Mediolanum ha saputo far meglio della concorrenza.

Effetti collaterali. La svolta ha prodotto due effetti collaterali pesanti: margini più ridotti sui prodotti e un brusco incremento dei requisiti patrimoniali, connesso al maggior assorbimento di capitale dei nuovi prodotti. Sul mercato, la banca-costruita-intorno-a-te è ancora percepita come una gazzella. Ma il confronto fra i tassi di crescita di promotori finanziari (i “family banker”) e clienti nel decennio che va da metà anni ’90 fino al 2004 (10-12%) con gli anni più recenti (1-2%) fa intravvedere piuttosto a un leone stanco. Soprattutto un leone che si sta muovendo lungo una china scivolosa: una leva finanziaria troppo alta (circa il doppio rispetto alla media delle banche italiane), e un’esposizione rilevante sul mercato interbancario (circa 5 miliardi), che si va a sommare ai 2,9 miliardi di finanziamento triennale ottenuto dalla Bce. Questa liquidità, pagata all’1% o anche meno nel caso dei prestiti interbancari overnight, è stata utilizzata per comprare titoli governativi italiani, per lo più Btp a 2 anni, che rendono circa il 3 per cento. La strategia intrapresa, che nel gergo finanziario viene chiamata carrytrade, ha aiutato a migliorare i margini, ma non è priva di controindicazioni.

Una strategia rischiosa. Nei soli primi tre mesi del 2012 il gruppo ha acquistato 3,8 miliardi di titoli governativi, che portano a circa 11 miliardi l’esposizione in Btp più un altro miliardo in Bonos spagnoli. La mossa si è rivelata premiante nei primi tre mesi del 2012. Pochi giorni fa la Borsa ha festeggiato con un rialzo del 5% i conti del primo trimestre, chiuso con utili netti per 178,6 milioni (+160%), metà dei quali sono stati ottenuti lucrando sul recupero di valore dei titoli in portafoglio. È l’effetto una tantum di una strategia opportunistica ma estremamente rischiosa in un contesto macroeconomico fragile e volatile: così come sono venuti, questi utili possono volare via e trasformarsi in perdite, a seconda dello spread. E con 11 miliardi di Btp in portafoglio, l’impatto sul bilancio potrebbe essere molto doloroso.

(ultimo aggiornamento alle 22)

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