“Il Garante della Privacy non va lasciato ai partiti, per questo mi candido”

“Il Garante della Privacy non va lasciato ai partiti, per questo mi candido”

Forse non tutti lo sanno, ma il 23 maggio Camera e Senato avrebbero dovuto nominare il Garante della Privacy, il collegio di quattro “saggi” che presiede alla tutela e al regolamento delle informazioni private. Forse non tutti lo sanno, ma almeno fino al 21 maggio, non figurava nessun candidato. E, forse non tutti sanno nemmeno questo, la decisione è slittata al 6 giugno perché alla fine un candidato (uno solo) è saltato fuori. È Luca Bolognini, avvocato e presidente dell’Istituto Italiano per la Privacy. Nel suo campo, anche se giovane, è già un’autorità. «La mia è stata una provocazione, un gesto di rottura – racconta a Linkiesta – perché la nomina del Garante della Privacy non venga fatta seguendo ordini di scuderia». Forse non tutti lo sanno, ma per legge i criteri da seguire per la nomina sarebbero quelli della «competenza e della indipendenza dei candidati». A giudicare dalla trasparenza delle nomine, sembra che siamo lontani.

«Quella del Garante della Privacy è un’Authority importante. Dura sette anni, più di una legislatura, e ha poteri molto estesi: ha capacità di intervento nei media, è molto forte anche nella tutela dei cittadini, può avere conseguenze anche in alcuni mercati». Ad esempio? «Il marketing, dove le regole sull’utilizzo dei dati possono bloccare o sbloccare interi settori economici». Non solo «ha anche conseguenze nel campo della sicurezza: ad esempio a protezione dei dati anche nelle operazioni di contrasto all’evasione fiscale».

E allora cos’è successo? «Aspettavo di conoscere il nome di qualche candidatura. Poi, il 21 maggio, a due giorni dalla nomina, non c’era ancora nessuno. Allora ho fatto il mio gesto di provocazione, e mi sono candidato io». Una mossa che vuole più trasparenza in queste operazioni. Il problema, però, è che tutta la procedura di nomina è fatta nel vuoto delle leggi. «Sì: sette anni fa i nomi sono stati scelti dalla conferenza dei capigruppo, cioè dai capigruppo. Una riunione senza verbale – quindi non trasparente – con indicazioni dei partiti». Ora, siccome «mala tempora currunt, va fatto qualcosa perché incarichi di peso come questi vengano fatti nella trasparenza».

Questo è il senso della candidatura di Bolognini: ottenere maggiore chiarezza, non essere eletto. Un modo per limitare il peso dei partiti proprio nel caso di authority il cui requisito è, appunto, l’indipendenza. Se i parlamentari decidono all’oscuro di tutti, è molto difficile garantirla. Ma che effetti ha avuto l’auto-candidatura di Bolognini? «Nell’ambiente dei giuristi, ha suscitato molto clamore». Ma anche nelle Camere: «cinque parlamentari (Andrea Sarubbi e Sandro Gozi del Pd Linda Lanzillotta dell’Api, Savino Pezzotta dell’Udc, Aldo Di Biagio di Fli) hanno firmato una lettera di presentazione ufficiale». Insomma, qualcosa si rompe. Si fa un’altra riunione dei capigruppo, e la decisione viene rimandata al 6 giugno.

«Qualcosa cambia: ad esempio, si chiede che chi intende candidarsi invii un curriculum. Questo è un passo avanti», spiega. «Le richieste saranno consegnate tutte al presidente della Camera, il quale le redistribuirà a tutti i parlamentari, che le potranno vagliare». Ma, come al solito, c’è l’inghippo: «È notizia di giovedì sera che il termine ultimo per la consegna dei curricula è il 4 giugno, non più il primo. Per leggerli e valutarli ci sarebbe soltanto lo spazio di un giorno». Troppo poco perché la cosa venga fatta in modo serio. Nella sostanza è un sistema per aggirare la procedura. «Non mi aspettavo certo di impedirlo: chi vuole nominare qualcuno, trova sempre un modo per farlo». La cosa migliore «sarebbe stato fare audizioni, come in Europa. I candidati avrebbero mezz’ora ognuno per esporre le proprie capacità e sopratutto per fare capire il loro pensiero, la loro direzione ideale per l’Authority». Niente di tutto questo, ma almeno «si è mosso qualcosa nella giusta direzione».

Una vicenda parallela a quella di Stefano Quintarelli, direttore dell’area Digital del Sole 24 Ore. La sua candidatura per l’AgCom partita dal basso, ha già visto la raccolta di firme di migliaia di persone in rete. Anche per l’AgCom le candidature scadono il quattro giugno. «Io non mi aspetto di vincere – conclude Bolognini – ma di avere più trasparenza». E per ora, ci è riuscito.  

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