Il gas resta in mani sicure, il voto in Algeria è laico e molto rosa

Il gas resta in mani sicure, il voto in Algeria è laico e molto rosa

Una settimana dopo i risultati del voto legislativo, che ha incoronato lo storico Fronte di Liberazione Nazionale (Fln), con 221 seggi su 462 nella nuova Assemblea popolare nazionale (Apn), si può affermare che il vero vincitore di queste elezioni, è il Presidente “uscente” Abdelaziz Bouteflika, che attraverso il suo delfino, (due volte sue ex premier), nonché Segretario Generale del Fln, Abdelaziz Belkhadem, ha impartito una lezione a tutti gli attori politici interni e non solo, sul cosa può fare un regime, con profonde ramificazioni clientelari pluridecennali, ogni volta che ci sono elezioni decisive. 

L’unico vero problema per l’Establishment algerino ora, è la successione al Presidente Abdelaziz Bouteflika nel 2014. Di fatto la campagna elettorale per le presidenziali è virtualmente aperta. Forte del plebiscito del voto, il capo del Fnl, Belkhadem che prima delle elezioni ha respinto con successo l’attacco di un gruppo di oppositori interni al partito (insistevano sulla necessità di un suo rinnovamento) esce più forte di prima.

Belkhadem, non ha mai nascosto l’intenzione di candidarsi alla carica di presidente della repubblica. Aspirazione che i veterani del partito mal sopportano, contestandogli l’intenzione di portare l’Fln sulla linea islamista tralasciando i valori nazionalsocialisti del partito. E la ferocia dello scontro interno si è vista nell’intervista rilasciata lunedì 15 maggio da Abdelaziz Ziari, il presidente uscente dell’Apn, al quotidiano arabo Echourouk. «Nonostante ciò che viene detto sull’ ancoraggio del partito (Fln) nella società, bisogna dare a Cesare quello che è di Cesare: i 221 seggi conquistati dal Fln sono da mettere sul conto del presidente Abdelaziz Bouteflika», ha detto Ziari, precisando che Belkhadem «non ha alcun merito».

La storia del Fln dai tempi della guerra di indipendenza, è ricca di lotte e lacerazioni intestine, ed è evidente che da qui al 2014 sarà un crescendo. Perché, contrariamente a molti regimi arabi, il potere algerino non è in mano ad una sola persona, ma è il complesso risultato dei compromessi tra le varie correnti e anime che lo compongono. Tutte insieme, individuano “la persona” intorno alla quale si cristallizza il potere in quel momento. Ma il conto più amaro di questo voto, lo pagano sicuramente gli “ingenui” islamisti, che alla vigilia del voto pubblicamente sognavano di essere a capo di un governo di coalizione, con oltre 120 seggi. In privato, però, sentendo la débacle alle porte, i tre partiti del Movimento per la Società della Pace (Msp), Ennahdha (Rinascita) e al-Islah (Riforma) si sono riuniti senza successo, sotto l’ombrello dell’Alleanza dell’Algeria Verde.

L’intento è stato orchestrato con maestria dal regime, che mesi prima del voto, per mano del ministero dell’Interno, aveva approvato 22 nuove formazioni politiche, tra cui alcune islamiste, proprio per disperderne il voto. Purtroppo per loro, anche gli osservatori internazionali, che hanno più o meno benedetto il risultato delle urne, li privano di un argomento forte per contestarne l’esito. Questo tracollo è un messaggio molto chiaro dalla società algerina: gli islamisti che il regime è riuscito a cooptare nel sistema ormai non rappresentano più la soluzione, avendo perso la loro verginità politica, dopo essere stati risucchiati nei meandri del potere. 

Ancora una volta la società algerina che si è recata alle urne (ma anche quella che lo ha disertato) ha scelto ancora lo status quo e la stabilità. Ma nonostante le denunce dei brogli, l’astensionismo e i malumori degli sconfitti, bisogna soffermarsi su un dato straordinario uscito da queste urne. Dopo un mezzo secolo di dominio maschile, 145 seggi sui 462 dell’Apn saranno occupate da donne, passando cosi a coprire il 31.39% dei seggi, rispetto al 7% del Parlamento uscente. Questo in virtù a una legge del novembre 2011 sulla rappresentanza femminile, quote rosa, che potrebbe essere vista come il segnale di un lento cambiamento senza attriti e senza violenza per il post 2014, ma è sopratutto il risultato di anni di militanza femminile, molto agguerrito nel paese.

Le donne in Algeria rappresentano il 53% della popolazione, il 45% dei magistrati, sono quadro in molte grande società pubbliche e private, e senza di loro il sistema educativo e sanitario collasserebbero all’istante. Questo per l’Algeria e per gli algerini è un dato acquisito – nonostante la scandalosa legge soprannominata “il codice della famiglia”, che le relega al ruolo di eterne minorenni sotto tutela. Le femministe di lungo corso, hanno già fatto appello alle neo-deputate affinché superino le loro appartenenze ideologiche, per formare un fronte comune nell’interesse delle donne.

Sul piano internazionale il risultato delle urne deve aver sicuramente fatto tirare un sospiro di sollievo a chi temeva, un Algeria in mano islamista, con Tunisia, Libia e Egitto già in bilico. Ma più che altro, il controllo ancora saldo in mano al “Potere”, “Le pouvoir”, come lo chiamano ad Algeri, significa che le sorti del suo gas e del suo petrolio rimarranno saldamente ancora nelle mani del vecchio regime, che con la manna dei soldi del petrolio (72 miliardi di dollari solo nel 2011), può continuare a pilotare il destino del paese nordafricano, con l’accondiscendenza della comunità internazionale, spesso più preoccupata per la sua indipendenza energetica interna, che per la democrazia fuori dai suoi confini. Con la Libia, tutta da ricostruire, e i colpi di testa della Russia, le forniture algerine (che non si sono mai interrotte neanche durante il decennio nero) sono un bene da preservare. 

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