Ma che cosa sta succedendo? È una montatura di noi giornalisti oppure il Paese sembra procedere senza più controllo? Non è un venerdì come un altro quest’11 maggio. Scandito da notizie che raccontano un’Italia sempre più aggressiva, sempre più pronta a scattare per un nonnulla. Un’Italia sempre più esasperata, che talvolta sembra desolatamente abbandonata a se stessa.
Forse è solo l’effetto dei giornali, di questa nostra ricerca ossessiva del titolo sensazionale capace di catturare l’attenzione. Fatto sta che oggi non riusciamo nemmeno a meditare come si dovrebbe sul remake di un brutto film: il documento di rivendicazione di un attentato spedito a una redazione di un quotidiano. Non abbiamo il tempo. Quasi quasi sorvoliamo sul ritorno di un fenomeno che ha segnato profondamente la vita della nostra repubblica. Il terrorismo. Lunedì, a Genova, due persone a bordo di un ciclomotore ci hanno riportato indietro di dieci anni, a quel marzo del 2002, quando Marco Biagi venne freddato sotto casa, nella sua Bologna.
Non è morto, Roberto Adinolfi. Lo hanno gambizzato. Ma il brivido lungo la schiena di noi italiani è lo stesso. Eppure oggi, nel nostro tran tran, nella nostra fretta, il ritorno dell’inquietante rituale della rivendicazione quasi ci ha solo sfiorati. Anarchici, appartenenti al gruppo Olga. Terrorismo verde, lo ha definito su Linkiesta Peppino Caldarola.
In altri tempi, sarebbe stata la prima notizia per distacco. Ma oggi non si può. La concorrenza è agguerrita. Solo per restare al tema, a Legnano, nel Milanese, sono stati ritrovati quattro volantini delle Brigate Rosse. Eppure non è bastato. Perché c’è un altro fenomeno che sta colpendo l’Italia: la rivolta dei contribuenti, la guerriglia davanti alle sedi di Equitalia. Mai era successo prima d’ora: lo Stato, una diretta promanazione dello Stato, viene vissuto dai cittadini, da una parte dei cittadini, come un nemico. Come il nemico. Come colui il quale ti toglie tutto e ti riduce sul lastrico.
A Napoli, all’esterno dell’agenzia delle entrate, è andata in scena una vera e propria guerriglia, con lancio di sassi contro gli agenti. A Milano due ispettori sono stati aggrediti e malmenati da un imprenditore. Il direttore dell’Agenzia delle entrate Attilio Befera nei giorni scorsi ha mostrato il proprio senso di angoscia e la propria solitudine. Ha chiesto al Parlamento di modificare le leggi sulla riscossione. Altrimenti, da uomo di Stato, lui dovrà applicarle. Un servitore dello Stato che chiede allo Stato di cambiare le regole del gioco, altrimenti, di questo passo, non si sa dove si può andare a finire. Magari nella speranza che lo Stato prenda una posizione pubblica. Netta.
Siamo noi giornalisti che enfatizziamo? Può darsi, capita. Ci sono voluti dei giorni prima di scoprire che la spirale dei suicidi non è affatto un evento eccezionale; eccezionale è, invece, l’attenzione che viene concessa loro dai media. Capita che una discutibile forma di protesta, l’esibizione di manichini impiccati ai ponti del Lungotevere, oggi finisca in prima pagina. Dimenticando che va in scena da almeno quattro anni, partorita da Casapound.
Insomma, mettiamoci anche il nostro contributo. Ma ripercorrendo questo venerdì sembra che l’Italia non abbia un pilota, o comunque che chi è preposto alla guida proceda distrattamente. O si renda poco credibile. Si faccia ascoltare poco dalla classe. Forse abbiamo dimenticato troppo presto che stiamo combattendo per non retrocedere, per evitare il baratro. Lo stiamo dimenticando noi giornalisti, lo stanno dimenticando gli italiani, ma forse lo sta dimenticando anche chi dovrebbe traghettarci.
Abbiamo bisogno di una guida stabile, riconoscibile, che sappia comunicare, che trasmetta sensazioni che possano essere condivise. E invece sembra che questo non stia avvenendo. Il presidente del Consiglio si sta arroccando sempre più dietro la cattedra. Mettere una distanza troppo netta tra sé e noi cittadini non aiuta. Un capo del Governo deve riuscire a trasmettere sensazioni, deve essere acapce di infodere fiducia così come deve sapersi compenetrare nei sentimenti del suo popolo. E questo sembra coì lontano dalla figura del professore bocconiano.
Persino il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano questa settimana è incappato in uno scivolone. Dispiace dirlo, ma non possiamo consentircelo. Abbiamo problemi ben più seri dell’affacciarsi di Beppe Grillo. La sua performance elettorale (il voto è sacro e va rispettato, sempre) è il segnale. Il segnale che gli italiani hanno voluto dare nelle urne. E che sembra di rivedere nelle scene di guerriglia di Napoli.
Forse è il caso di tornare un po’ tutti a fare un passo indietro, a pensare fino a dieci prima di parlare. Siamo ancora sotto esame, l’Europa ci guarda. E tra un ammonimento e una smentita, ci richiama all’attenzione. E l’Italia ci sfugge. Chi tiene le redini non può consentirsi passi falsi. Mai come adesso abbiamo bisogno di una guida. Sicura e di cui fidarsi. Altrimenti… Altrimenti è meglio non pensarci.