In America nascono meno bianchi rispetto a neri, ispanici e asiatici

In America nascono meno bianchi rispetto a neri, ispanici e asiatici

Il sorpasso era nell’aria da tempo, ma adesso ha il timbro ufficiale del Bureau of Census: per la prima volta nella storia, negli Stati Uniti nascono più bambini ispanici, neri, asiatici che bianchi. Secondo l’ultimo censimento, quello del 2010, questi ultimi sono il 49,6% contro il 50,4% degli altri gruppi etnici: l’America si trova davanti una generazione che mette in discussione il concetto stesso di minoranza. 

La stessa notizia, (come fa notare il blogger del Post Cattiva Maestra), era stata già diffusa il 25 giugno del 2011. Ma allora i dati citati erano quelli del Brookings Institute. Quelli di stavolta sono una certificazione definitiva.

A modificare il volto della nazione sono stati diversi fattori: da un lato, ovviamente, l’arrivo di milioni di immigrati negli ultimi decenni (tradizionalmente giovani e con altissimi tassi di natalità); dall’altro, il progressivo invecchiamento dei bianchi, oltre alla scelta di quella fetta di americane più istruite di posticipare la maternità, spesso scegliendo di fare meno figli delle proprie madri e nonne.

Singolarmente, i bianchi restano comunque il gruppo più numeroso (63,4%, con l’eccezione di California, Texas, District of Columbia, New Mexico, Hawaii, dove sono meno del 50%), ma anche il più vecchio: l’età media è 42 anni, contro i quasi 28 degli ispanici e i 30-32 dei neri e degli asiatici.

Se è vero che il sorpasso vero e proprio, secondo le stime del Census, arriverà nel 2042 (quando i bianchi non saranno più la maggioranza non solo negli asili nido, ma nemmeno nelle università e sul posto di lavoro), i dati di oggi avranno comunque notevoli ripercussioni non solo sull’identità della nazione, ma soprattutto sulle sue scelte politiche ed economiche.

La prima conseguenza, secondo il New York Times, potrebbe essere un enorme divario generazionale, e il banco di prova – per l’appunto – sarà l’istruzione, uno degli ambiti in cui il divario fra bianchi e le altre minoranze è più marcato.

La parte di popolazione più ricca, nota il Times, potrebbe non aver voglia di finanziare l’università a dei giovani che non le somigliano.
Eppure a Washington sanno bene che aumentare il tasso di scolarizzazione di ispanici e afroamericani conviene per due motivi. Primo, è indispensabile per poter competere con il dragone cinese. Secondo, un’alta percentuale di giovani non istruiti significa una maggior spesa di welfare, e con milioni di baby boomers prossimi alla pensione, è meglio creare contribuenti piuttosto che assistiti.

Difficile dire se la nuova fotografia della popolazione americana aiuterà Barack Obama nella sua corsa alla rielezione. Certo, nel 2008 poté contare sul supporto quasi monolitico di afroamericani e altre minoranze, ma bisogna tenere a mente che i dati del Census si riferiscono agli americani sotto l’età di un anno. Parliamo di culle, insomma, non di voti. E alcuni gruppi, gli ispanici per esempio, hanno percentuali di voto irrisorie.

Il fatto che il volto dell’America sia cambiato potrebbe portare più persone ad identificarsi con un presidente frutto di un’unione mista, ma fra le centinaia di commenti sui siti del New York Times e del Washington Post, alcuni si chiedevano se davanti ad una società ancora più multietnica i bianchi non finiranno per arroccarsi ancora di più alle proprie posizioni di potere. La matematica non sarà un’opinione, ma la politica sì.

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