Antonio Samaras, leader di Nuova Democrazia – partito di centro-destra uscito primo dalle elezioni greche – ha già rinunciato all’incarico a formare una coalizione di governo. Constata l’indisponibilità delle altre forze, ad eccezione dei socialisti del Pasok, a entrare in un governo che prosegua le riforme richieste dall’Europa, Samaras ha rimesso l’incarico nelle mani del presidente della Repubblica. Ora toccherà al leader del raggruppamento di sinistra Syriza vagliare la possibilità di creare una maggioranza in parlamento.
Già subito dopo lo scrutinio era palese che non esiste una maggioranza pro-troika in Grecia. L’ufficialità è arrivata alle 9:39 di Atene, dopo che già da ore sui mercati si assisteva al brusco calo dell’euro rispetto al dollaro e a rilevanti perdite sui titoli nei mercati asiatici. Pochi minuti dopo, il trading sulle piazze europee ha iniziato a riflettere questa dinamica con Atene che stava perdendo l’8 per cento e i titoli bancari del Paese in calo di oltre il 16 per cento.
È panico in Europa, dopo una lunghissima notte di spoglio elettorale e una giornata altrettanto lunga e complicata. La preoccupazione è legittima: fugate le ultime speranze che Laos (2,9%) ed Ecologisti (2,93%) superassero la fatidica soglia del 3%, entrando in Parlamento per fornire una terza fondamentale stampella al duo Pasok-Nuova Democrazia, la fotografia che esce dalle elezioni greche è quella di un parlamento appeso, in cui il tentativo di formare una maggioranza stabile sembra essere destinato a rivelarsi una fatica di Sisifo. Sono 149 su 300 i seggi ottenuti da Pasok e Nd, che hanno sino a oggi sostenuto Papademos e l’implementazione del memorandum firmato con i creditori internazionali. I due partiti, insieme, raccolgono il 32,06% dei voti: solo tre anni fa la loro somma superava ampiamente il 70%. In particolare, è drammatico il crollo del Pasok, che perde più di 30 punti percentuali dalle elezioni del 2009, ottenendo il 13% dei voti e 43 deputati. Il partito di Venizelos diventa, in questo modo, la terza forza greca, superato alla sua sinistra dai 55 parlamentari di Syriza, frutto di un 16,77% raccolto con un programma fortemente contrario al memorandum firmato con la troika. E mentre il Pasok si lecca le ferite («Abbiamo fatto arrabbiare la gente ma abbiamo salvato la nazione», ha dichiarato questa mattina Venizelos, ma forse nemmeno lui crede alle proprie parole), Syriza, apparentato in Europa al Partito della Sinistra Europea (assieme al Front de Gauche, Die Linke e Rifondazione Comunista), diventa, con quasi il 20%, il primo partito di Atene e dell’Attica, regione dove vive il 40% della popolazione greca.
Dei trentadue partiti partecipanti alle elezioni, solamente sette entrano in Parlamento e, per quattro di questi, si tratta di una prima assoluta per via elettorale. «La situazione è come quella dell’Italia nel 1992: il Paese è in ginocchio e i grandi partiti crollano mentre il quadro politico fatica a ricomporsi. Purtroppo l’incertezza rimane altissima: non esiste una maggioranza a favore della troika, ma nemmeno una chiara maggioranza alternativa», dice a Linkiesta Georgios Pontikos, sindacalista del Pame. La Costituzione greca prevede che sia assegnato un mandato esplorativo al leader del partito uscito vincitore dalle elezioni: si tratta di Antonis Samaras, che con Nd ha ottenuto il 18,8% dei voti e, grazie al premio di maggioranza relativa, 108 seggi (nel 2009, con il 33,47% dei voti, Nd aveva ottenuto solo 91 seggi). Pur avendo giorni per formare un governo, Samaras ha già rinunciato. Già ieri sera, alla pubblicazione delle prime proiezioni, Samaras aveva lanciato un appello per la formazione di un esecutivo di salvezza nazionale, con due obiettivi: rimanere nell’euro e modificare i termini del bailout. Ma con chi?
A destra di Samaras ci sono due partiti, i Greci Indipendenti e i neo-nazisti di Golden Dawn: se è impensabile che il destino della nazione, e in qualche misura dell’Europa, si possa basare su questi ultimi, gli occhi di molti commentatori erano puntati sulle scelte post-elettorali dei primi. I Greci Indipendenti, infatti, sono stati fondati da Panos Kammenos, espulso da Nd per essere stato uno dei protagonisti della fronda in occasione del voto di fiducia sul governo Papademos. «Con qualche ministero e qualche piccola revisione del memorandum – si ripete in molti media internazionali – Kammenos tornerà all’ovile». Eppure è notizia di poche ore fa che proprio Kammenos avrebbe persino rifiutato di incontrare Samaras nel contesto delle consultazioni. I piccoli partiti sono terrorizzati dalla possibilità di finire come il Laos, partito di estrema destra spazzato via alle elezioni proprio per aver appoggiato, per un breve periodo, la coalizione Pasok-Nd. A sinistra, Samaras, sulla carta, poteva guardare al Pasok, nessun altro partito è disposto a collaborare con i socialisti, nemmeno il partito più moderato ed europeista della sinistra greca, quella Sinistra Democratica, formata da transfughi del Pasok che con il suo 6,10% sarebbe potuto diventare l’ago della bilancia.
Kouvellis, leader di Sd, ha dichiarato categoricamente di non voler collaborare con i partiti pro-austerità e di «volere il disimpegno dal memorandum, in una stabile orientazione europea». Dopo la rinuncia di Samaras, la Costituzione impone che il mandato esplorativo passi nelle mani del leader del secondo partito, Alexis Tsipras, trentottenne leader di Syriza e vero trionfatore delle elezioni. Dopo la consultazione con Samaras, Tsipras aveva descritto le proposte di Nd come «una tragedia per il Paese», rifiutando di formare un governo di coalizione e affermando di voler perseguire il proprio obiettivo di «collaborare con le sinistre per abolire il memorandum». A sinistra, però, Tsirpas si trova un quadro frammentato: il Kke, storico partito comunista che ha ottenuto 26 parlamentari con l’8,48% dei consensi, ha sancito a urne appena chiuse di non essere disposto ad alcuna collaborazione con gli altri partiti della sinistra. «Il nostro obiettivo – ha dichiarato a Linkiesta il responsabile degli Affari Internazionali, Kostas Papadakis – è quello di rovesciare il potere borghese, e questo può essere fatto solamente disimpegnandosi dalla Nato e uscendo dall’Unione Europea. Non parteciperemo ad alcun governo che mantenga questi accordi».
I numeri, insomma, non sembrano essere nemmeno dalla parte di Syriza. In caso di fallimento anche del secondo partito, il presidente greco è tenuto a dare alla terza forza del Paese il mandato elettorale: si tratterebbe del Pasok. La leadership del partito, si sa, non ama Samaras, che viene accusato di aver cavalcato l’onda populista promettendo impossibili modifiche del memorandum internazionale e sembra aver richiesto, in cambio della propria collaborazione, la testa del leader di Nd e l’elezione a presidente di una terza persona, «largamente accettata», come Stavros Dimas, politico ed economista di Nd ben visto dalla troika. Al termine delle consultazioni con Samaras, Venizelos ha infatti dichiarato di aver offerto la disponibilità per un’alleanza con tutti i partiti pro-europeisti, con l’obiettivo di rimanere nell’euro e di rimandare al 2015 la scadenza del programma di salvataggio.
Questa ipotesi, però, è morta per l’impossibilità di accordarsi con un terzo partito e la refrattarietà, da parte degli altri partiti, all’alleanza con il Pasok. «È come andare a fare le nozze con il morto»: una coalizione a tre, infatti, implicherebbe una condivisone di responsabilità, presenti, future, ma soprattutto passate, che nessuno dei partiti minori sembra voler prendere. Non è affatto escluso, inoltre, che, se e quando sarà il suo turno, Venizelos decida di puntare chiaramente a nuove elezioni, enfatizzando l’instabilità e marcando i toni alla ricerca di consenso per un nuovo governo («Dobbiamo evitare tagli alle pensioni, ai salari, e nuove tasse», ha detto Venizelos, in pieno clima da campagna elettorale, poco dopo l’incontro con Samaras).
Ma cosa succederebbe nel frattempo sui mercati? E davvero il Pasok, dopo aver perduto quasi tutto il credito con i propri concittadini, è disposto a veder eroso anche quello con i creditori internazionali, aumentando l’instabilità del Paese in una fase così delicata? Senza contare che il commento della troika non si è fatto attendere. L’Imf (Fondo Monetario Internazionale), infatti, ha diramato una dichiarazione molto chiara: «Se il nuovo governo non implementerà le misure di austerità stabilite dall’accordo firmato, gli aiuti saranno sospesi già a partire da luglio». In cambio degli aiuti, il Fondo richiede che il nuovo governo presenti un programma dettagliato di tagli per 11,5 miliardi di euro, da sottoporre alla troika e approvare entro il 30 giugno prossimo.
Insomma, quella delle nuove elezioni non è affatto un’ipotesi peregrina: se i mandati esplorativi dovessero rivelarsi infruttuosi, come già accaduto con Nuova Democrazia, il Presidente greco sarebbe tenuto a cercare un accordo in extremis, ed eventualmente incaricare il Presidente del Consiglio di Stato, o della Corte Suprema, o della Corte dei Conti a formare un governo per gli affari correnti, con il consenso più ampio possibile, allo scopo di indire nuove elezioni. C’è già una data, e sarebbe il 10 o, più verosimilmente, 17 giugno prossimo.
Nel frattempo, la probabilità di uscita della Grecia dall’euro è, secondo gli analisti di Citigroup, del 50/75% nei prossimi 12/18 mesi. Diram Marajan, uno dei massimi esperti di corporate finance del paese, commenta così: «E’ una follia. Continuano a pensare che con queste fantomatiche coalizioni possono salvare il paese da un destino che ormai è segnato. Il panorama politico è un macello e una grossa fetta della popolazione si sta impoverendo con conseguenti tensioni sociali. È inevitabile: le misure di austerity volute da Bruxelles hanno portato a 5 anni di forte riduzione del Pil, che ora è diventata piena depressione. Nessuna nazione può accettare coercizioni di questo tipo senza rivoltarsi. È insostenibile economicamente e politicamente. Anche Spagna, Italia, Irlanda e Portogallo stanno soffrendo. Con la diminuzione del tenore di vita e la continua interferenza di Bruxelles, finiranno per ribellarsi verso l’Europa, un po’ come fecero paesi come la Polonia nei confronti dell’Unione Sovietica». Quando gli si chiede delle prospettive future, la risposta di Diram è chiara: «L’unica soluzione è uscire dall’euro, e il più velocemente possibile. Nel breve periodo sarà letteralmente drammatico, ma sul lungo periodo sarà vantaggioso per noi e, una volta dimostrato che uscire è possibile, altri paesi periferici seguiranno il nostro esempio. L’alternativa è continuare in questo lento declino, tenuto in piedi da una sorta di schema Ponzi, e dover fare tra qualche anno la stessa scelta, a un prezzo ancora più alto e dopo altre riforme, imposte dall’estero e ancora più dure».
Un neo eletto di Nd ha dichiarato a Linkiesta che «la troika non ci impone nessuna riforma, loro vogliono solamente indietro i loro soldi». Già, ma dopo due pacchetti di salvataggio in due anni, la Troika detiene il 73% dei 266 miliardi di euro di debito greco. Non sarà facile restituire tale cifra. Esisteva un dubbio da chiarire, con queste elezioni: i greci preferiscono abbandonare l’euro o vogliono rimanere sul carro, al costo di implementare le riforme richieste? Questo dubbio non è stato risolto, né una soluzione appare dietro l’angolo. Non è facile scegliere di che veleno morire.