MIRANDOLA (MO) – C’è una ferita profonda e insidiosa che il violento sisma del 20 maggio ha inferto all’economia italiana in una regione da sempre votata all’innovazione e alla laboriosità, ma pochi paiono curarsene o forse notarlo. Il distretto biomedicale di Mirandola, il più grande in Europa, inferiore per fatturato e numero di aziende soltanto agli omologhi poli industriali di Los Angeles e Minneapolis, è stato messo in ginocchio da un cataclisma risvegliatosi nelle viscere di una terra generosa e sanguigna a mezzo secolo esatto dalla sua nascita. Era il 1962 quando un farmacista più geniale di altri, Mario Veronesi, oggi ottantenne, in collaborazione con l’Università di Padova, inventò il rene artificiale, dando vita progressivamente a una piramide di aziende, comprese quattro sue start-up, destinate a trasformarsi in un vero unicum tecnologico e produttivo.
Incredibilmente ignorato dalla stragrande maggioranza dei media alla stregua dei danni subìti dal patrimonio artistico e culturale della principale città che ne ospita gli stabilimenti e i centri di ricerca e sviluppo (la Mirandola che fu dell’umanista Giovanni Pico, a differenza di Finale Emilia, San Felice sul Panaro, Bondeno e Sant’Agostino), la “Plastic Valley” langue in silenzio in attesa che si quantifichino i danni e ripartano al più presto le lavorazioni, insieme con la riparazione dei numerosissimi capannoni e dei sofisticati macchinari venuti giù forse con troppa facilità.
Parla Giuliana Gavioli, responsabile del settore biomedicale di Confidustria per l’Area Nord della provincia di Modena, quella che tende la mano all’Oltrepò mantovano: «Sindacati e organizzazioni datoriali hanno richiesto congiuntamente provvedimenti di cassa integrazione guadagni per ristrutturazioni o verifiche, dunque flessibile (all’80 per cento delle retribuzioni, ndr), per cinquemila persone, di cui tremila addetti al biomedicale e mille al settore ceramico, nell’area colpita dal terremoto di domenica: mediamente durerà tre-quattro mesi (almeno otto settimane, ndr). Il 70 per cento delle aziende del comparto ha patito danni medio-grandi alle strutture e agli impianti». I gruppi multinazionali presenti sul territorio, impegnati con la realizzazione di componenti monouso, apparecchiature per emodialisi, prodotti per la cardiochirurgia, la trasfusione-autotrasfusione, l’anestesia e la rianimazione, sono tutti assicurati con polizze “ombrello”, che coprono i loro stabilimenti nel mondo e risarciranno i danni conseguenti alla scossa tellurica di magnitudo 6 che ha sconvolto la Bassa Modenese e Ferrarese. Si tratta di Bellco, B. Braun, Covidien, Fresenius, Gambro Dasco e Sorin, con un numero di lavoratori compreso grosso modo fra 120 e ottocento-novecento unità, distribuite fra il mirandolese e i comuni limitrofi di Medolla e Cavezzo.
«Abbiamo chiesto a ciascuna azienda, come Confindustria, di stimarci i danni alle infrastrutture e all’impiantistica, al netto del fermo produzione: siamo attorno ai 350-400 milioni di euro», continua la Gavioli, che è anche manager della B. Braun. «Che cosa aspettarsi dalle istituzioni? A livello locale, stanno lavorando molto bene, ma è opportuno che anche il Governo si renda conto del tesoro che abbiamo in questo territorio al confine fra Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, della ricchezza di quest’area (nel periodo 1998-2007 il distretto ha riportato 70 dei 663 brevetti registrati in Italia, ndr). Lungi da me ogni polemica, ma non credo che lo stanziamento iniziale di 50 milioni di euro da parte dello Stato possa molto a fronte di un danno complessivo che potrebbe essere pari o superiore al doppio di quello fin qui stimato (il fatturato annuo si aggira attorno agli 800 milioni, ndr)».
«Il 24 maggio abbiamo avuto la visita del nostro vicepresidente globale, Silke Lerche, scesa apposta dalla Svezia per rendersi conto della situazione post-sisma: ebbene, ci ha fatto i complimenti per quanto siamo riusciti a sistemare in appena tre giorni», racconta il communications manager del gruppo Gambro Dasco, Biagio Oppi. «Giovedì abbiamo riattivato il “distribution center”, che fornisce Italia, Est Europa ed Adriatico, cosa che è stata importante anche per garantire la fornitura a cliniche e ospedali che diversamente avrebbero potuto soffrire carenze di materiale sanitario e biomedicale proprio a causa del terremoto, come avvenne (più o meno sotto silenzio, ndr) durante gli scioperi indotti lo scorso inverno dal movimento dei forconi in Sicilia. Non è un caso che Stefano Rimondi, presidente anche di Assobiomedica, abbia già sollecitato uno spostamento di certe gare d’appalto pubbliche per venire incontro alle imprese produttrici, ma pare proprio che non si possa fare».
E ancora: «Le piccole e medie aziende hanno grossi problemi a tutt’oggi e noi, né più, né meno delle altre multinazionali, “subiamo” la catena dei fornitori e dell’indotto, stimabile fra 80 e 120 imprese a seconda del metodo di calcolo. È pacifico che chi ha grosse difficoltà si sia spostato in altri prefabbricati, anche presi in affitto: attività come il labelling, la granulatura e i cataloghi hanno ripreso a sfornare prodotti prima di altri. Invece, abbiano sofferto dei fermi di lavorazione per i “monitor”, cioè le macchine per la dialisi, e le “linee sangue”. D’altra parte dobbiamo garantire l’incolumità dei nostri dipendenti: vi sono crepe su muri e travi che rendono inagibili certe aree della fabbrica, tuttavia applicando il ”metodo Toyota” abbiamo ridisegnato il lay-out produttivo; costruire i monitor in metà dello spazio comporta però, ovviamente, un raddoppio del tempo necessario. Da noi, ricerca e sviluppo e il reparto controllo qualità sono invece fortunatamente okay».
E il futuro di questa porzione ferita d’Emilia, che vive sulla “plastica della vita”? La politica locale lancia i propri allarmi e Roberto Ganzerli (Partito Democratico) e Antonio Platis (Popolo della Libertà) discutono rispettivamente di «rischio di un uso della calamità, da parte di qualcuno, come alibi per una frettolosa delocalizzazione» e del dovere per le istituzioni di «non lasciare il peso della ripresa interamente sulle spalle della gente del territorio». «La cosa che ci sarebbe più utile è una certa velocità nel rilascio delle autorizzazioni per ricostruire, perché tutti qui hanno fretta di ripartire» commenta ancora Oppi. Eppoi, sentimento bipartisan, così come da Giuliana Gavioli (B. Braun) e Biagio Oppi (Gambro Dasco), «andrà fatto qualcosa per le persone». «Non è facile avere e gestire dipendenti che continuano a dormire in auto» per via di sciame sismico che ancora non accenna a placarsi.