L’austerity non funziona senza spesa per le infrastrutture

L’austerity non funziona senza spesa per le infrastrutture

Sta mutando il clima. Al Fiscal Compact di Merkel Sarkozy si sta contrapponendo il Compact Growth di Hollande. Nelle prossime settimane – in seguito alle elezioni in Francia, in Germania (due Lander), e in Italia (amministrative) – questa contrapposizione potrebbe emergere con forza. Per come vanno le cose ci si dovrà “schierare”. Il punto è che lo schierarsi non ha – a mio giudizio – un chiaro fondamento nell’analisi economica, ma piuttosto nelle retoriche e negli interessi (il che è del tutto legittimo).

Intanto le definizioni. Il Fiscal Compact è l’idea che i deficit pubblici debbano essere nulli anche in assenza di ripresa economica. I deficit pubblici nulli, infatti, non alimentano il debito che perciò smette di crescere. Smettendo il debito di crescere, ecco che prima o poi torna la fiducia e l’economia alla fine si riprende.

Come è che si manifesta la “fiducia”? Se il debito pubblico cresce, gli agenti economici pensano che in futuro pagheranno più imposte per tenerlo sotto controllo, perciò riducono i propri consumi oggi per tener conto delle maggiori imposte di domani. Se il debito pubblico, invece, non cresce, gli agenti economici pensano che in futuro pagheranno meno imposte per tenerlo sotto controllo, e perciò aumentano i propri consumi oggi per tener conto delle minori imposte di domani. (La fiducia, a sua volta, emerge in base a due comportamenti: si assume che gli agenti tendono a spalmare – a rendere costanti – nel tempo i consumi, e si assume che facciano dei conti minuziosi sulle imposte di domani).

Sembra piuttosto astruso, ma nel Documento di Economia e Finanza (DEF-2012) si hanno due simulazioni, a pagina 6. La prima non tiene conto del salto della fiducia, il secondo si. Nel primo caso, ossia in assenza di fiducia, le manovre di correzione dei conti pubblici italiani del 2011 peggiorano l’andamento tendenziale (l’andamento che si avrebbe non facendo nulla) dei consumi (in termini reali) nel 2012, 2013, 2014 del -0,9%, -1,4%, -1,2%. In presenza di fiducia i numeri sono, invece, nel 2012, 2013, 2014 del -1,1%, -0,7%, -0,1%. Una differenza importante, ma non proprio un balzo quantico.

È perciò possibile che nel prossimo futuro – in seguito alle succitate novità politiche – possa prevalere l’idea opposta, ossia che è meglio avere dei deficit pubblici sobri, il Compact Growth. L’idea è che la compressione della domanda in deficit di origine pubblica – in assenza di un livello adeguato di consumi e investimenti del settore privato – possa spingere l’economia nella trappola della mancanza di crescita. Non si sa con chiarezza se un debito pubblico cospicuo sia o meno un freno alla crescita. Potrebbe, infatti, essere vero il contrario, ossia che è la modesta crescita ad alimentare il debito. E questo potrebbe essere il cavallo di battaglia di quelli che vogliono ridiscutere il Fiscal Compact.

La gran spesa pubblica in deficit per sé non porta automaticamente ad una grande crescita, altrimenti la Grecia sarebbe – e da tempo – molto ricca (la battuta è di Krugman). La spesa pubblica in deficit funziona sotto certe condizioni. Per sapere quali, chiediamo lumi a due economisti keynesiani (De Long e Summers, Fiscal Policy in a Depressed Economy, marzo 2012, pagina 9). Secondo loro, l’espansione dell’economia (purché sia depressa, ossia con una sotto occupazione degli impianti e della manodopera) attraverso un maggior deficit pubblico senza per questo avere un aumento del debito pubblico (in percentuale del PIL) è possibile. Ciò avviene se il deficit pubblico alimenta la domanda aggregata per una somma maggiore della spesa iniziale in deficit (ossia, se il moltiplicatore della spesa è significativo), a condizione che il costo del debito sia inferiore al tasso di crescita dell’economia. Si assume, infine, nel ragionamento che la politica monetaria sia fuori gioco, ossia che i tassi stiano per qualche tempo intorno allo zero.

In Italia il costo del debito è pari,sulla media delle scadenze delle obbligazioni dai tre mesi ai trenta anni, al 4% circa. Poniamo che resti invariato a fronte della ripresa della spesa pubblica in deficit. La crescita economica (reale e nominale) che riduca il peso (percentuale) del debito pubblico che si dovrebbe avere deve perciò essere superiore al 4%. La crescita economica si compone di un tasso di inflazione (precisamente il deflatore del PIL) che è pari al 2% (il valore corrente) e di una crescita reale che deve essere pari al 3% (la crescita negli ultimi anni è stata pari alla metà). Il 5% è perciò un numero molto alto per l’Italia. Negli Stati Uniti, invece, il costo del debito è decisamente inferiore al nostro, e una crescita elevata di un’economia così elastica è sempre possibile, ragion per cui De Long e Summers sostengono che negli Stati Uniti si può avere una spesa pubblica in maggior deficit senza un aumento (in percentuale del PIL) del debito.

Non abbiamo delle teorie definitivamente convincenti come guida per l’azione. Nel caso del Fiscal Compact sono troppe le assunzioni per il ritorno della fiducia. Nel caso del Compact Growth i numeri non “girano” facilmente. Si può perciò argomentare – se si è avversi al rischio – che potrebbe essere saggio continuare perseguire il non convincente Fiscal Compact, perché così ci si rende immuni da un mutamento del sentimento dei mercati finanziari.

Se questi cambiano opinione sul debito di un paese anche solvente, e l’Italia lo è (l’avanzo primario, ossia la differenza fra le entrate e le uscite dello stato è positivo e pari fra pochi anni al 6% del PIL, DEF 2012 pagina 50. Un avanzo primario di questo tenore è in grado di pagare gli oneri del debito pubblico), possono chiedere dei rendimenti così alti da spingere sul sentiero dell’insolvenza. In questo caso, la domanda di titoli del debito pubblico si riduce anche in presenza di rendimenti maggiori. Per attirare la domanda i rendimenti debbono diventare ancora più elevati, perciò premendo sui conti del Tesoro. Per evitare che si precipiti nell’”avvitamento” si deve allora avere un intervento della Banca Centrale, del Fondo “salva stati”, e del Fondo Monetario.

Una via d’uscita – non di grande teatralità, ma di cui si incomincia a parlare – potrebbe essere quella che mantiene il Fiscal Compact, mentre si rilancia l’economia con le spese infrastrutturali diffuse in tutta Europa. Spese finanziate a livello europeo da enti appositi. In questo caso, il costo del debito sarebbe basso, simile a quello statunitense. Ignoriamo il valore del moltiplicatore del reddito generato dalla costruzione di una ferrovia che parta da Amburgo per passare da Lione per approdare ad Agrigento (senza però passare dalla Val di Susa). Nemmeno sappiamo se avrà un numero di passeggeri sufficiente per pagare nel corso del tempo i costi di costruzione.
 

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