Le lobby fanno l’Europa e ora un film lo racconta

Le lobby fanno l’Europa e ora un film lo racconta

BRUXELLES – C’era il tutto esaurito a Bruxelles per l’attesissima prima del film “The Brussels Business”, un “docu-thriller” – nella definizione dei suoi registi – sull’universo nascosto del lobbying nella capitale europea. Accanto alla platea degli habitués, giovani cinefili dall’occhiale sovradimensionato e la felpa multicolore, si intravedeva qualche giacca e cravatta, lobbisti, portaborse e funzionari di vario grado, accorsi per curiosità. O perché, c’è da scommetterci, qualche capo li aveva mandati ad assicurarsi che il film non presentasse rischi di immagine.

In effetti, un film dedicato interamente ai lobbisti che popolano i corridoi delle istituzioni europee non l’aveva ancora girato nessuno. Forse per la convinzione che i lobbisti del Vecchio continente non abbiano lo stesso fascino del protagonista del celebre film americano Thank you for Smoking. O forse perché l’Unione europea – come hanno raccontato i registi stessi – è un soggetto che scoraggia immediatamente qualsiasi produttore. Bisognava attendere che il belga Matthieu Lietaert, dopo anni di ricerca sui meccanismi di lobbying europeo al prestigioso European University Institute di Firenze, decidesse che la sua tesi di dottorato non meritava di marcire sugli scaffali. E così, in collaborazione con il documentarista austriaco Friedrich Moser, ne ha fatto un film.

The Brussels Business è un tentativo interessante. Non è un film che tiene col fiato sospeso, nonostante delle soluzioni convincenti a livello di regia e colonna sonora: musica incalzante e inquadrature ad effetto, come quando il protagonista del film, un lobbista del settore finanziario, si aggira di notte per un inquietante quartiere europeo deserto e piovoso, a bordo di una macchinona nera e con il Blackberry a portata di mano.

Merita apprezzamento il grosso lavoro di documentazione, che traspare ad esempio dall’utilizzo delle immagini d’archivio, come le scene dai summit europei degli anni Ottanta, in cui si intravede sfilare davanti alle telecamere anche un Craxi impettito. Affascinanti i resoconti delle primissime riunioni – di cui una alla Scala di Milano – della potente European Roundtable of Industrialists (ERT), club della grande industria d’Europa, costituitosi agli albori degli anni ottanta e ben deciso a dettare le sue regole nella nascente costituzione del Mercato Unico. Riunioni – prenotate con due anni d’anticipi in località segrete – a cui prendevano parte personalità delle società più importanti d’Europa, fra cui si scorgono, nelle “foto di famiglia”, Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti.

A guidare lo spettatore nell’intricato mondo delle lobby sono due figure antitetiche. Due giovani approdati nella capitale europea negli anni Novanta, per imboccare poi direzioni opposte. Uno, Olivier Hoedeman, è passato da ambientalista ad attivista di un’associazione che vigila sull’operato delle lobby. L’altro, Pascal Kerneis, è managing director dello European Services Forum (ESF), il gruppo di pressione che rappresenta l’80% dell’industria dei servizi (ad esempio finanziari e assicurativi) in Europa. Un turnover che da solo vale la metà del Pil della Ue, afferma lui all’inizio del film, con un sorriso che a fatica nasconde un senso di superiorità.

Pascal, simpatico nel suo dinamismo ed entusiasmo per una professione che sembra amare in maniera genuina, è perfetto nel suo ruolo di lobbista che non conosce orari, passa con nonchalance da Bruxelles a Jakarta e rimane intrappolato in hotel a Seattle nel 1999, quando prende avvio il movimento no-global. «Ma che vogliono, io sto solo facendo il mio lavoro!» esclama con la stizza di chi è impossibilitato ad andare in ufficio per uno sciopero. Un adagio condiviso da molti colleghi . «Non sono altro che un facilitatore», si autodefinisce, mentre la telecamera lo segue fra champagne e tartine ai cocktail dei think tank più influenti di Bruxelles, come la cena annuale di Friends of Europe.

In conclusione, il film ha il merito di avviare una riflessione sulla scena del lobbying attorno alle istituzioni Ue. Complice la materia complessa, tuttavia, non arriva a spiegare appieno ad un pubblico “vergine” quali siano i meccanismi di base che sono il pane quotidiano dei rappresentanti di interesse europei. E, nonostante gli sforzi bipartisan, cede un po’ troppo alla tentazione di dipingere il lobbista come un “cattivo” dal potere incontrastabile senza tracciare bene il confine fra il lobbying legittimo e le pratiche illecite.

Un’inquadratura finale del cielo grigio sopra Bruxelles e un accenno agli ideali perduti dei “padri fondatori” della Ue offre infine un punto di vista sconsolato sul futuro, di valori traditi senza speranza. Nonostante l’accenno alla nascita recente dello European Transparency Register, il registro (volontario) dei rappresentanti di interesse a cui i membri di ERT, ai giorni nostri, sarebbero stati incoraggiati ad iscriversi.  

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