Milano si ribella, occupata una torre dei Ligresti: “È per l’arte”

Milano si ribella, occupata una torre dei Ligresti: “È per l’arte”

«Si potrebbe anche pensare di volare». Lo striscione di 30 metri che pende da uno dei piani alti della Torre Galfa, il grattacielo che svetta tra il Pirellone e il nuovo Palazzo della Regione Lombardia, fa alzare lo sguardo ai distratti passanti di Stazione Centrale, a Milano. Che forse per la prima volta, complici i raggi del tramonto che ne attraversano la mole di vetro e cemento, osservano i suoi piani spogli. E perplessi, continuano a camminare chinando il capo.

I milanesi lo chiamano «il Pirellino» e pochi sanno che è abbandonato da 15 anni, ed è rimasto tale anche dopo il 2006, quando èstato acquistato dalla Fondiaria Sai di Ligresti. Da qualche giorno non lo è più, quando circa 150 attivisti appartenenti al collettivo Lavoratori dell’arte lo hanno «restituito alla città», ribattezzandolo con un nuovo nome: Macao. Hanno sfondato i cancelli e divelto i catenacci, liberando l’atrio e sistemandosi al primo piano dell’immensa struttura. Dopo l’occupazione, è venuta la “festa della liberazione”, cui hanno partecipato un migliaio di persone. E dopo la festa, la prima assemblea plenaria, il momento «costitutivo e fondante di tutto ciò che avverrà nell’immediato futuro», esordisce la prima voce dell’improvvisata costituente, «di tutto ciò che vorremo fare di questo spazio».

Sono circa 400 persone ammassate nel loft del primo piano, assediate dalla polvere, dai calcinacci e dalle gocce di pioggia che entrano di traverso attraverso le finestre. Vengono da tutta Milano, dai collettivi, dai centri sociali, dalle università. Ma non basta questo a descriverle. Sono qualcosa di più e di oltre le varie sigle dei collettivi che si è abituati a citare fra gli indignados e gli antagonisti della città meneghina. Ci sono professionisti della moda e del design, videomaker, architetti, grafici, fotografi. Ci sono giornalisti e tecnici del suono. Quasi tutti giovani, quasi tutti precari. «Qui non c’è nessuna sigla che vuole mettere il cappello all’iniziativa», spiega Francesco Purpura, detto Franz, 33 anni e una vita nell’attivismo e nei movimenti di Milano, candidato indipendente di Rifondazione per le amministrative del 2006.

L’emozione domina le parole. Fa tremare le voci di ciascuno, rivela che non ci troviamo di fronte ad oratori, capi popolo, tribuni. Chi prende la parola è spesso incredulo, stupito di trovarsi in un luogo del genere, nel centro della città, fra i palazzi del potere. Ad occupare un grattacielo come la Torre Galfa che «rappresenta uno dei fallimenti più simbolici della speculazione edilizia, nel cuore stesso dell’esplosione cantieristica che è Porta Garibaldi», continuano dall’assemblea. «E adesso che abbiamo liberato questo vuoto, dobbiamo riempirlo di progetti».

«Era ora!», esordisce un industrial designer barbuto con il cappello da rapper. «Sentivo il bisogno di uno spazio diverso per chi lavora nel campo del design. Voglio potermi esprimere, progettare qualcosa di accessibile a tutti: mi sono rotto di disegnare poltrone che non posso neanche permettermi».

Per questo i Lavoratori dell’arte hanno lanciato un bando per Macao. Una sorta di raccoglitore in cui ciascuno potrà scrivere il proprio progetto per trasformare la Torre Galfa in un «grande esperimento di costruzione dal basso dove produrre arte e cultura, un luogo in cui gli artisti e i cittadini possono riunirsi per inventare un nuovo sistema di regole per una gestione condivisa e partecipata». Sono già una cinquantina le bozze presentate e altre se ne discutono via via che il microfono dà voce ai tanti dell’assemblea.

C’è chi vorrebbe aprire una scuola di lingue, chi una biblioteca, chi un teatro permanente per le compagnie che non trovano spazi. Chi ancora accendere neon luminosi di piano in piano, man mano Macao prende vita: «Per far vedere alla città che lo spazio cresce con noi e con le nostre idee, fino al cielo».

Farsi vedere, riconoscere, accettare. Creare un luogo di cultura alternativa «ai salotti, i cache e agli eventi elitari». Eventualmente resistere ad uno sgombero. Sono queste le priorità delle prime ore dell’occupazione. Così si creano dei tavoli tematici, delle commissioni figlie dell’assemblea generale in cui si discuteranno e si porteranno avanti i vari progetti legati a Macao. Con dei fogli volanti si raccolgono mail e adesioni: «Gruppo autocostruzione» per rendere agibili e ristrutturare i 30 paini della Torre Galfa; «Comunicazione e media» per l’ufficio stampa; «Sicurezza e logistica», «Programmazione artistica», «Raccolta fondi e organizzazione economica». C’è anche un libretto nero che Franz sventola ghignando: «Imparerete a conoscerlo», dice. «È qui che segniamo chi passerà la notte ad presidiare l’occupazione: freddo, sporcizia e mal di schiena».

Il collettivo dei Lavoratori dell’arte di Milano insegue questa occupazione da circa un anno. Da quando cominciarono a riunirsi all’Arci Bellezza e connettere il movimento con le varie occupazioni che nel frattempo scuotevano la cultura italiana: il Teatro Valle di Roma, l’Ex Asilo Filangieri di Napoli, il Teatro Coppola di Catania e il Garibaldi di Palermo, oggi tutti presenti alla prima assemblea del Macao. «Ma siamo figli di una discussione più ampia», svela Angelo, che ha seguito l’intero percorso dei Lavoratori di Milano. «Abbracciamo i comitati per l’acqua, seguiamo da vicino i lavori della European Common Goods e gli studi del professor Ugo Mattei sulla legislazione dei beni comuni, la Commissione Rodotà che da anni si occupa di riformare la disciplina codicistica dei beni pubblici, mai modificata dal 1942».

«La torre Galfa e il Macao non sono però paragonabili agli altri luoghi occupati», rivela Fabrizio Fontana, uno dei portavoce del Teatro Valle. «Questo non è un edificio già pensato per la produzione artistica. Qui la cultura dovrà trasformare l’architettura stessa e ripensare da capo ogni cosa. Potrebbe essere un fallimento o un’esplosione mai vista nella città di Milano».

Intanto all’interno della torre, si pensa a resistere il più a lungo possibile, cercando una voce unica per comunicare con le istituzioni: «L’assessore Stefano Boeri ci ha fatto visita: non condivide i modi, ma si è detto sostanzialmente d’accordo con il progetto». I Lavoratori dell’arte non contano solo sull’appoggio – almeno ideale – della giunta Pisapia. Sperano anche che le beghe giudiziari in cui sono invischiati i titolari del grattacielo, l’ Immobiliare Lombarda del gruppo Ligresti, non rivendichi a breve la proprietà. «I guai di Ligresti sono un toccasana», confessa uno degli occupanti, «il giudice non si è ancora espresso a favore o meno di un commissariamento del palazzo. E fino a che non ci sono decisioni, non ci sono proprietari. E diminuisce il rischio di sgomberi».

“Quando la Torre Galfa era viva“ – un bel servizio su Domus

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