CHICAGO – Conto alla rovescia per la quotazione di Facebook, attesa per domani alle 15.30 ora italiana. L’apprensione è altissima e in questi ultimi giorni la società di Mike Zuckerberg è impegnata in un tour de force in giro per gli Stati Uniti nel tentativo di convincere gli investitori del proprio prodotto. Il colosso finanziario americano JpMorgan intanto ha issato una bandiera con la data dell’offerta pubblica iniziale (IPO) di Facebook proprio a fianco della bandiera americana e davanti ai quartieri generali di New York. Quello di Facebook sarà la più grande IPO della storia del Web ed è già stato annunciato che creerà più di mille milionari in un sol colpo oltre a rendere il 27enne amministratore delegato tra le persone più ricche del mondo. Il social network di Zuckerberg venderà le sue azioni ad un prezzo iniziale che sarà, salvo sorprese, pari a 38 dollari, e secondo le stime più accreditate la società sarà valutata intorno ai 104 miliardi di dollari, circa quattro volte quella di Google del 2004 (26 miliardi).
Nonostante l’isteria da speculazione, indotta dalla notorietà del social network che può contare su oltre 900 milioni di adepti, la recente contrazione di 12 punti percentuali del fatturato di Facebook rispetto all’ultimo trimestre del 2011 preoccupa alcuni. «Stiamo assistendo a un rallentamento della crescita dei profitti [di Facebook, nda], il che non può essere un segnale positivo», ha commentato Lou Kerner, fondatore del Social Internet Fund, in una recente intervista al Wall Street Journal. «Il problema di molti social network – racconta Steven Weber, docente dell’Università di Berkeley, in una conversazione con Linkiesta – E’ che molti non sono ancora riusciti a creare modelli di business competitivi e profittevoli». Prendiamo Facebook: il fatturato netto del 2011, un anno record per la compagnia di Palo Alto, è stato di un 1,01 miliardi di dollari. Se si divide questa cifra per il numero di utenti (901 milioni secondo le ultime stime di inizio 2012) risulta che il ricavo medio per ogni singolo utente è di appena 1,17 dollari – un risultato che per il sito che vanta il maggior numero di iscritti sul pianeta ha ben poco di sbalorditivo.
È necessario allora chiedersi perché il guadagno sul singolo utente rimanga così risicato. Vediamo nei dettagli. Le fonti principali di reddito di Facebook sono due. La prima è la pubblicità che nel 2011 ha rappresentato l’83 per cento delle entrate della società. Questi profitti, largamente basati sui banner posti a destra della pagina personale di Facebook e all’interno del così detto “newsfeed”, nel primo trimestre 2012 sono diminuiti del 6 per cento nonostante la significativa crescita del numero degli utenti. La seconda fonte di reddito è rappresentata da Zynga, la società che produce i giochi a disposizione degli utenti Facebook (FarmVille è forse il più conosciuto e utilizzato) in cui beni virtuali vengono scambiati attraverso una moneta virtuale di cui il social network detiene per diritto il 30 per cento. Alcuni dei giochi sono stati un grande successo, ma rimane la realtà che su base mensile questi vengono utilizzati da appena il 20 per cento degli utenti (240 milioni ogni mese secondo l’ultima stima di febbraio). Dati che hanno portato alcuni a chiedersi se un valore di mercato che ha dell’incredibile sia davvero giustificato o se ci si trovi davanti a una bolla indotta dall’eccitazione per un prodotto che in anni di recessione rappresenta una delle poche storie di successo su cui investire. Tra gli scettici d’eccellenza spicca Warren Buffet che non ha mai negato i dubbi sulla profittabilità dei social media e ha già detto che non investirà sull’IPO di Zuckerberg.
Facebook ha spiegato i risultati in flessione del primo trimestre additando in primis il trend stagionale che vede molti inserzionisti aprire i cordoni del budget pubblicitario soltanto con l’avvicinarsi delle festività. In secondo luogo Zuckerberg ha evidenziato le spese pre-IPO a cominciare dal miliardo di dollari spesi per assicurarsi il controllo della società di photo-sharing Instagram (trecento milioni in contanti e settecento in azioni Fb, secondo quanto riportato alla SEC, la Consob americana) con la clausola aggiuntiva che se l’affare non dovesse concludersi il social network dovrà verserà comunque duecento milioni di dollari alla startup di Stanford. A pesare sui costi c’è anche il recente acquisto di alcuni brevetti Microsoft per un valore di 550 milioni di dollari (una risposta preventiva all’attacco di Yahoo che il 12 marzo scorso ha fatto causa a Facebook con l’accusa di aver violato il copyright di dieci dei suoi brevetti) e per finire un recente round di assunzioni che ha portato il numero complessivo di dipendenti a 3.569. Tutti oneri che pesano sul bilancio della società di Palo Alto.
La stagione dei grandi acquisiti pre-IPO e la flessione dei ricavi del primo trimestre 2012 potrebbero quindi rappresentare il preambolo di una strategia aziendale simile al modello adottato dall’americana Amazon, che sotto l’attenta guida di Jeff Bezos nel 1997, appena prima del proprio IPO, pubblicò numeri “deludenti” che mostravano margini in calo a causa degli oneri collegati ai grandi investimenti appena effettuati. Il tutto per creare aspettative di mercato inizialmente più basse per poi batterle e favorire così un rialzo dei corsi azionari nel medio e lungo termine. Intanto la General Motors, a tre giorni dalla fatidica data della quotazione, ha annunciato che non pagherà più il social network per avere i banner con il suo marchio nelle pagine degli utenti. Motivo? L’investimento non rende: Facebook non è servito ad aumentare l’acquisto di nuove auto.
Qualunque sia la strategia «Facebook deve e vuole lanciare al più presto la sua offerta pubblica iniziale– continua Webeer-. Il mercato in generale, e specialmente quello dei social media, è surriscaldato e, prima che ci sia lo scoppio di un’altra bolla, Zuckerberg e tutti i venture capitalist che fino a questo momento hanno sostenuto la sua azienda vogliono approfittare del momento propizio senza rischiare il crollo dopo il boom».