Il caso della sparizione di Emanuela Orlandi e la riapertura della tomba del boss della banda della Magliana, Enrico De Pedis, hanno in comune una telefonata alla trasmissione Chi l’ha visto? del luglio 2005. La voce anonima diceva che per risolvere il caso Orlandi sarebbe stato necessario andare «a vedere chi è sepolto nella cripta della basilica di Sant’Apollinare» a Roma. Ma nessuno parla del seguito della telefonata, quando quella stessa voce aggiunge: «E chiedete al barista di via Montebello, che pure la figlia stava con lei…con l’altra Emanuela». Il bar di via Montebello, all’angolo con via Volturno, a Roma, appartiene ai genitori di Mirella Gregori, la ragazzina scomparsa all’età di 15 anni il 7 maggio 1983, 45 giorni prima della sparizione di Emanuela Orlandi. Ma perché nessuno parla dell’«altra Emanuela»? E mentre tutti, come in un giallo collettivo, stanno col fiato sospeso nell’attesa di sapere di chi siano le ossa trovate accanto al corpo di Enrico, Renatino, De Pedis, c’è un giovane aspirante giornalista toscano, Tommaso Nelli, che dal 2009 indaga sulle connessioni tra la sparizione di Emanuela Orlandi e quella di Mirella Gregori. Tutto è partito con la stesura della sua tesi di laurea in Giornalismo d’inchiesta alla “Sapienza” di Roma. Ma nonostante un 110 e i complimenti del suo relatore, Tommaso non ha mai smesso di rispolverare i documenti e ascoltare le testimonianze di chi potrebbe ricostruire quello che accadde a Roma a cavallo tra la primavera e l’estate del 1983. Con la speranza, chissà, di scrivere un giorno un libro su un caso che per lui è stato «un vero e proprio colpo di fulmine».
Allora, come procede l’inchiesta?
Dopo la laurea non mi sono mai fermato. Le indagini, per casi come questo, sembrano non avere un limite. È una specie di gioco a matriosche. Incontri una persona, che ti indica un’altra persona e così via. Certo, l’accesso agli atti giudiziari è complicato, perché dopo l’archiviazione del 1997, l’inchiesta è stata riaperta dalla magistratura il 3 marzo del 2006 e molti documenti sono coperti dal segreto istruttorio. Io cerco di non fermarmi mai solo agli atti, ma di parlare con più persone che hanno avuto a che fare sia con Emanuela Orlandi che con Mirella Gregori.
La pista che lega le due sparizioni sarebbe quella dello sfruttamento sessuale di ragazzi da parte di personaggi altolocati legati al Vaticano. Ma quali sono gli elementi che portano a dire che il sequestro di Mirella Gregori sia collegato a quello di Emanuela Orlandi?
Ci sono almeno tre elementi. Il primo è la figura di un funzionario della sicurezza Vaticana che faceva parte della scorta di Giovanni Paolo II. Quando ci fu la visita della famiglia Gregori al Papa il 15 dicembre del 1985 nella chiesa di San Giuseppe, sulla via Nomentana, la madre di Mirella riconobbe questo funzionario che aveva visto più volte parlare con la figlia e un’amica nel bar sotto casa. Ma dopo la sparizione di Mirella, poi non si vide più. A seguito dell’indicazione della mamma di Mirella Gregori, questo stesso uomo, poi, venne interrogato dai magistrati anche sul caso Orlandi. Ma il giorno prima dell’interrogatorio venne intercettata una telefonata in cui qualcuno dal Vaticano gli “suggeriva” di dire di non sapere niente del caso Orlandi. Questo funzionario, poi, ha fatto carriera nella vigilanza vaticana.
Altri elementi di connessione?
Nel luglio del 1983 i quotidiani nazionali pubblicarono gli identikit di due uomini che avevano fermato Emanuela mentre tornava dal mare con le sue amiche. Uno di questi la bloccò da un braccio e la indicò all’altro. Le amiche che erano con lei lo raccontarono agli inquirenti. Si scoprì che i due identikit corrispondevano a quelli di due personaggi che vennero visti all’inaugurazione di un bar di via Volturno, vicino a casa di Mirella Gregori, due giorni prima della sua sparizione. Personaggi che, non appartenendo alla clientela né al quartiere, vennero subito notati. Oltre a questo, c’è una analogia nelle modalità di sparizione. Entrambe le ragazze hanno seguito persone che conoscevano. Mirella il giorno della sparizione rispose al citofono e poi disse alla madre che avrebbe incontrato degli amici a porta Pia per poi andare a villa Torlonia. Emanuela Orlandi si trovava invece su corso Rinascimento per un’offerta di lavoro che aveva ricevuto da un rappresentante di cosmetici, offerta per la quale anticipò anche l’uscita da scuola. Ciascuna delle due ragazze, inoltre, era in contatto con delle amiche che però all’interno dell’inchiesta assumono posizioni contraddittorie o rimangono segnate.
Cosa vuol dire “segnate”?
Una compagna della scuola di musica che Emanuela frequentava, ad esempio, cadde in depressione dopo la sparizione. Diceva di ricevere telefonate e di essere perseguitata da soggetti che le intimavano di restare in silenzio. Tanto che per un periodo si trasferì addirittura in Trentino per stare lontana da Roma. Ma anche lì era seguita da un giovane biondino, che un giorno le disse: “Vieni via con me, lascia i tuoi genitori…”. Tornata a Roma, la ragazza raccontò di aver visto una persona che la fotografava per strada. E anche la madre ricevette una telefonata in cui un uomo le diceva di aver visto sua figlia e di volerla sposare.
Ma cosa c’entra il Vaticano in tutto questo? Perché due ragazzine di 15 anni spariscono così nel nulla?
Questa è la domanda dalle cento pistole. Sia Emanuela che Mirella erano figlie di famiglie semplici non facoltose. E infatti non c’è mai stata richiesta di riscatto. Emanuela era cittadina vaticana. Mirella, invece, no. Ma c’è una famosa foto in cui la Gregori è stata ritratta accanto a papa Wojtyla, quando con la scuola aveva partecipato a una udienza papale. E forse questa foto, del 15 dicembre 1982, può spiegare qualcosa. Venne infatti esposta a lungo nella bacheca dell’Osservatore Romano, dentro le mura della Santa sede. Me lo confermò anche Arturo Mari, fotografo di sei papi, che però quando fece quello scatto ignorava che quella fosse la Gregori. Sul caso Orlandi, invece, fu proprio papa Wojtyla ad accendere i riflettori mediatici sulla vicenda, con l’appello dell’Angelus di domenica 3 luglio 1983. E i comunicati stampa della Santa Sede, già in quella data, parlavano di “sequestro di persona”. Ma come faceva il Vaticano a parlare di sequestro di persona se le prime telefonate rivendicative del possibile rapimento arrivarono soltanto nei giorni successivi alle parole del Pontefice? In più, lo stesso Stato del Vaticano più volte ha respinto le rogatorie della magistratura per interrogare gli alti funzionari vaticani. E poi nel 2008 ci furono le dichiarazioni di Sabrina Minardi, amante di Enrico De Pedis, boss della banda della Magliana, che disse che Emanuela Orlandi sarebbe stata prelevata da De Pedis su ordine di monsignor Marcinkus, all’epoca presidente dello Ior.
Però l’autorizzazione ad aprire la tomba di De Pedis segna un passo avanti del Vaticano in questa storia. O no?
Sì, il vicariato aveva dato l’autorizzazione alla apertura della tomba già il 4 luglio 2010. Ma la magistratura italiana ha aspettato due anni per farlo. É un passo in avanti perché permette di eliminare una supposizione. La procura, certo con un po’ di ritardo, ha voluto porre fine a una pagina obbrobriosa e placare un po’ anche tutto il clamore pubblico ricorrente, cominciato con la telefonata a Chi l’ha visto? nel 2005 e proseguito in questi anni. Quello che sarebbe da chiedere al Vaticano, però, è perché un criminale come De Pedis sia stato sepolto nella basilica di Sant’Apollinare. Basta pensare che nella sentenza del magistrato Otello Lupacchini, quella che ha permesso di sgominare la banda della Magliana, il nome di De Pedis compare più di 400 volte. Certo, mi verrà detto che non è mai stato condannato, ma al momento della sentenza, nel 1994, De Pedis era già morto, essendo stato ucciso nel 1990. L’unica cosa certa è che non era «un grande benefattore dei poveri» che meritava una sepoltura privilegiata. La motivazione ufficiale parla di favori resi da De Pedis alla parrocchia. E anche la telefonata del 2005 a Chi l’ha visto? fa riferimento al «favore che ‘Renatino’ fece al cardinal Poletti». Ma di che tipo di favore si tratta? Il diritto canonico, poi, prevede che in suolo sacro possano essere sepolti solo vescovi o cardinali. La decisione di dare questo privilegio venne presa da don Piero Vergani (allora rettore della basilica) e autorizzata dal cardinale Ugo Poletti, una specie di alter ego di Wojtyla sul suolo italiano, due mesi e mezzo dopo l’uccisione di Renatino. A questo punto, la domanda da porre è: “Perché De Pedis ha avuto questo privilegio?”
Domanda che avrai posto ai rappresentanti del Vaticano che hai incontrato nel corso della tua inchiesta.
Sì, ho posto questa domanda all’attuale rettore della basilica di Sant’Apolinnare, Pedro Huidobro, che mi ha risposto: “Dei propri peccati è meglio non parlare”.
Ma davvero la verità sul caso Orlandi si trova nella tomba di De Pedis, come diceva la telefonata a Chi l’ha visto?
Dopo la telefonata, si è creata una sollevazione popolare. Tramite le perizie foniche, i magistrati avrebbero accertato che colui che ha telefonato è Carlo Alberto De Tomasi, figlio di Giuseppe, “Sergione” De Tomasi, identificato con il “Mario” che per primo telefonò alla famiglia Orlandi nel 1983 dicendo di aver visto un uomo e due ragazze che vendevano cosmetici, e anche figura ritenuta vicina alla banda della Magliana e arrestato la scorsa estate per usura. In pratica, a 22 anni di distanza, padre e figlio avrebbero telefonato in merito alla stessa faccenda. I magistrati, dopo la telefonata del 2005, avevano fatto prelevare il Dna della famiglia Orlandi. A questo vanno aggiunte le testimonianze del 2008 di Sabrina Minardi su De Pedis e Marcinkus. La tomba è stata aperta per verificare se sul corpo di De Pedis ci fossero delle tracce del Dna di Emanuela Orlandi, se i due abbiano avuto contatto o no. Sulle altre ossa trovate, si sa che lì c’era un ossario. Quindi non c’è alcun elemento di novità. La leggenda metropolitana che nella tomba del boss poi ci sia il corpo della Orlandi, è proprio da X-Files, anzi da Law and Order. De Pedis è morto nel 1990, la Orlandi è scomparsa nel 1983. Ammesso che la Orlandi non sia stata subito uccisa, ma dove è stato tenuto il corpo per 6-7 anni?
Quella telefonata del 2005, per giunta, faceva riferimento anche all’«altra Emanuela».
Sì, nessuno dice che la telefonata poi continuava dicendo: “E chiedete al barista di via Montebello, che pure la figlia stava con lei…con l’altra Emanuela”. Il bar di via Montebello, all’angolo con via Volturno, a Roma, appartiene ancora oggi ai genitori di Mirella Gregori. Ma nella stessa redazione, il 6 maggio del 2011 arrivò anche un’altra telefonata. Questa volta, l’uomo dall’altra parte della cornetta disse: “Telefono a proposito dei sequestri di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi, che sono opera della stessa mano. Un’esca interna al Vaticano nel caso Gregori e un informatore sempre interno al Vaticano nel caso Orlandi”. Che relazioni ci possono essere fra la banda della Magliana e la scomparsa di Mirella Gregori? Perché non s’indaga anche su quella?
Qual è allora il ruolo della banda della Magliana nel caso Orlandi?
Il processo sulla banda della Magliana è stato chiuso con la sentenza Lupacchini il 13 agosto del 1994. Ma nelle carte della sentenza, il nome di Emanuela Orlandi non viene mai fatto. Il nome di Emanuela venne collegato alla banda solo nel 2008, quando Sabrina Minardi, amante di Roberto De Pedis, disse che era stato Renatino ad aver rapito e ucciso la ragazza con la complicità di monsignor Marcinkus. Certo, se c’è stato un ruolo della banda, è stato materiale, ma i mandanti vanno cercati altrove. Non era sequestrando ragazzine di 15 anni che la banda portava avanti i suoi affari. Se De Tomasi avesse effettuato quella telefonata alla famiglia Orlandi del 1983 – quando tra l’altro si sentiva una voce che dava suggerimenti sull’altezza di Emanuela – e la banda della Magliana, con De Pedis in primis, avesse rapito Emanuela, significa che l’hanno fatto per un mandante molto importante. Qualcuno dall’alto ha commissionato loro il sequestro. Su chi sia stato, questa sì che è una bella domanda.
Un giallo che ti appassiona molto, a quanto pare. Come è nato questo interesse?
È stato un colpo di fulmine. Dopo aver dato il primo esame della laurea specialistica in Giornalismo alla “Sapienza” di Roma, il pomeriggio andai in una libreria vicina alla stazione Termini perché volevo comprare un libro sulla banda della Magliana. Aggirandomi tra gli scaffali, vidi anche due libri sul caso Orlandi, di cui sapevo poco o nulla. E allora mi dissi: “Quello sulla banda della Magliana lo prendo un’altra volta”. Cominciai a leggere il libro e il caso mi appassionò. Così, quando era il momento di scegliere l’argomento della tesi di laurea, proposi proprio questo. Le indagini per la tesi durarono circa un anno. Mi ricordo che scrissi gli ultimi capitoli nella notte di Natale del 2009, quando ci fu l’aggressione al papa durante la messa. A gennaio, poi, mi sono laureato. Da allora, sono diventato pubblicista, ho cominciato a collaborare con piccole testate e continuo tutt’oggi a mandare il mio curriculum nelle redazioni dei giornali nella speranza di una assunzione. Ma non ho mai smesso di leggere documenti e incontrare persone connesse al caso Orlandi, dalle amiche della scuola di musica alle compagne di classe del liceo scientifico. E, alla fine, chissà, spero di riuscire a tirarne fuori un bel libro.