Gli investitori possono anche consolarsi nel sapere che a Piazza Affari c’è un manager come Enrico Tommaso Cucchiani, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, impegnato a vivere «con sobrietà» e lasciare le sue sostanze in beneficenza. «Così cercherò di restituire parte del beneficio ricevuto», ha detto ieri agli azionisti che gli contestavano un compenso 66mila euro per una sola settimana di lavoro nel 2011 e l’aumento da 1,5 a 1,8 milioni di euro del compenso annuo fisso. E certamente sono da apprezzare Giovanni Bazoli ed Andrea Beltratti, presidenti rispettivamente del consiglio di sorveglianza e del consiglio di gestione della banca, abbiano deciso di tagliarsi di un terzo il loro compenso (circa 1,3 milioni a testa nel 2011). Ma le valutazioni degli investitori non possono riposare sui buoni propositi dei manager. Hanno bisogno di essere ancorate a dati concreti. D’altra parte, per quanto elevati, i compensi dei vertici di Intesa Sanpaolo impallidiscono nel confronto con altre società della Borsa Italiana.
Secondo uno studio pubblicato il 22 maggio da Frontis Governance, società di consulenza specializzata nelle raccomandazioni di voto agli investitori istituzionali, il manager più pagato del 2011 è di gran lunga Marco Tronchetti Provera: il presidente della Pirelli, fra compenso fisso e bonus triennale, ha incassato 22 milioni. Della cinquina di manager più pagati fra le 38 principali società di Piazza Affari fanno parte John Elkann (Exor), Franco Bernabè (Telecom Italia), Marco Sala (Lottomatica) e Andrea Guerra (Luxottica). Quest’ultimo è uno fra gli 80 soci de Linkiesta.
La media dei compensi dei capo azienda rispetto ai salari medi è di 89 volte, con una punta massima per Pirelli (907 volte la retribuzione media del gruppo), seguita da Luxottica (260 volte), Telecom (203 volte), Unicredit (131 volte) e Prysmian (130 volte). Se invece, per eliminare gli effetti dei valori estremi, si considera la mediana, i compensi dei chief executive officer ammontano a 49 volte il salario medio dei dipendenti, in linea con il 2010. I compensi fissi risultano mediamente di 35 volte superiori agli stipendi medi, «con picchi di 147 volte in Pirelli (per cui risulterebbe eccessivo non solo il variabile), 103 volte in Luxottica e 76 volte in Fiat», evidenziano gli analisti di Frontis Governance.
Il dato assoluto del compenso, per quanto sbalorditivo, va tuttavia confrontato con i risultati ottenuti per verificare se il prezzo vale la candela. Prendendo, per esempio, le 38 società dell’indice Ftse Mib, si scopre che il valore totale per gli azionisti – misurato come variazione dei corsi azionari più dividendi (Tsr, Total shareholder return – è risultato negativo del 19% mentre le remunerazioni medie dei più alti dirigenti delle società aumentate di oltre il 14 per cento. La riduzione dei compensi fissi (-11% in media) è stata più che compensata dal balzo degli incentivi (bonus monetari più opzioni), aumentati del 45 per cento. Ciò che colpisce è l’assenza di una correlazione fra risultati e compensi.
La tabella che segue elaborata da Frontis Governance mette in relazione la variazione delle remunerazioni del capoazienda (in con il valore totale creato per l’azionista. Per le 38 società analizzate in ben 26 società il valore per gli azionisti si è ridotto, mentre solo in 9 casi è stato creato valore. «In meno della metà dei casi (16 su 35) le remunerazioni dei ceo si sono mosse nella stessa direzione del valore totale creato per l’azionista, in due casi le remunerazioni sono rimaste costanti (Azimut e Parmalat, le cui politiche non prevedono il variabile) e nel solo caso di Campari a fronte di una creazione di valore le retribuzioni sono diminuite», rileva Fortis. In diversi casi, la remunerazione è aumentata mentre si è distrutto valore per l’azionista: Exor, Atlantia, Telecom, Unicredit, Mps, Prysmian, Bpm sono sono i casi più eclatanti, quelli dove maggiore è la differenza fra la variazione dei compensi (in milioni di euro) e variazione negativa (%) di valore per l’azionista. Exor, in particolare, a fronte di una remunerazione complessiva di oltre 6,3 milioni (più che quadruplicata)pagata al presidente-a.d. John Elkann ha distrutto valore per il 35,7 per cento. All’oppost, Pirelli ha creato valore, ma ha premiato in modo più che sproporzionato il suo presidente Tronchetti.
Campari in controtendenza. La famosa azienda del bitter è fra le poche che ha registrato una riduzione dei compensi del capoazienda (rettangolo verde verso sx) a fronte di una creazione di valore (rettangolo rosso verso dx).
Fra le 10 società che hanno pagato gli incentivi più alti – si considera quindi la sola parte variabile, escludendo il compenso fisso – sono solo tre i casi in cui i bonus trovano una giustificazione nel valore creato. In tutti gli altri casi, invece, c’è stato un premio a fronte della distruzione di valore: più evidente nel caso di Exor, Telecom, Unicredit e Prysmian, più sfumata nel caso di Atlantia, Enel e Luxottica.
Twitter: @lorenzodilena