Il prossimo 24 agosto il tribunale di Oslo emetterà il verdetto definitivo. E così Anders Behring Breivik, l’estremista di destra norvegese che il 22 luglio del 2011 uccise 77 persone tra la capitale e la piccola isola di Utoya, conoscerà la sua pena. Il procuratore lo vuole in un reparto psichiatrico, ma il suo difensore sostiene che il 33enne «salvatore del cristianesimo» (come lui si è definito) sia sano di mente e perfettamente in grado di intendere e di volere. La condanna, comunque, in un primo momento non supererà i 21 anni. O al massimo i 30, qualora venisse accusato di crimini contro l’umanità. Nel codice penale norvegese, infatti, non è previsto l’ergastolo. Perché, nel Paese scandinavo, la reclusione serve a rieducare e non a punire i detenuti. Proprio per questo motivo, il direttore del carcere di massima sicurezza di Ila, dove oggi Breivik è recluso, è alla ricerca di personale addestrato in grado di fare compagnia al terrorista nella cella di isolamento. E in teoria, nel 2033 Anders potrebbe essere libero di aggirarsi nuovamente per le strade di Oslo. A meno che non venga ritenuto ancora socialmente pericoloso.
Per lui, accusato di aver fatto esplodere una bomba nel quartier generale del governo a Oslo e aperto il fuoco contro i giovani del partito laburista norvegese riuniti nella isoletta di Utoya, le autorità stanno costruendo un’ala ad hoc nella prigione di Ila, la struttura che ospita i criminali più pericolosi del Paese. Se Breivik fosse stato americano, il suo destino molto probabilmente sarebbe solo uno: la pena di morte. Non in Norvegia: qui, anche se hai ucciso 77 persone e ferito 300, le autorità carcerarie pensano al tuo benessere. Per questo, il tredicesimo braccio della prigione che venne usata dai nazisti come campo di concentramento (Grini Fangeleir) sarà a uso esclusivo di Anders e verrà a costare complessivamente 300 mila euro.
La nuova ala servirà soprattutto a isolare Breivik ed evitare che il terrorista cristiano protestante, antimarxista e anti-islamista, faccia proseliti con le sue idee. Ma la lunghezza della pena, che con molta probabilità arriverà a toccare il massimo dei 21 anni previsti dal codice penale del Paese, pone un problema che la giurisdizione norvegese non si era mai trovata ad affrontare. La legge carceraria definisce crudele e inumano lasciare una persona così a lungo in isolamento. Così il direttore della prigione, Knut Bjarkeid, si è messo alla ricerca di un team che possa «fare compagnia» al terrorista. «Qualcuno che giochi a hockey o faccia una partita a scacchi con lui», ha detto al Telegraph. Il direttore ha assicurato che verranno prese tutte le misure di sicurezza per evitare l’evasione e che gli verrà proibito di avere contatti con gli altri detenuti per escludere il pericolo che possa prendere qualcuno in ostaggio. Questo, ribadisce Bjarkeid, «rende impossibile che lui abbia contatti normali con gli altri». Quello che si cerca, insomma, è un «personale di compagnia» in grado di instaurare relazioni umane con Anders. Per una paga di circa 25 euro all’ora.
Una novità assoluta, che porta ancora una volta il sistema penitenziario norvegerese sotto la lente di osservazione dei media internazionali. Dopo la strage di Utoya e Oslo (un fulmine a ciel sereno in un Paese che conta solo 0.6 omicidi volontari ogni 100 mila persone), i giornali italiani, abituati alle celle sovraffollate di San Vittore e Rebibbia, avevano già definito il carcere Halden, dove Breivik era stato recluso in seguito all’arresto, come struttura «a cinque stelle». Nelle celle della casa circondariale, descritta dal Time come «la più umana al mondo», ci sono tv a schermo piatto, un frigorifero, lettore dvd, connessione a Internet, finestre verticali che permettono una maggiore illuminazione e mobili moderni. Ogni dieci-dodici celle ci sono una cucina e un sala da pranzo. La struttura, immersa in trenta ettari di foresta, comprende anche una stanza per la musica, un percorso per il jogging e una casetta con due stanze da letto dove i detenuti possono ospitare i familiari. I secondini non hanno pistole e mangiano e praticano sport in compagnia dei detenuti.
Simile ad Halden è anche la struttura carceraria dell’isola di Bastoy, a 75 chilometri a Sud di Oslo, prima prigione “ecologica” al mondo senza sbarre né grate. Qui i detenuti vivono in cottage di legno e lavorano nell’orto del carcere. Nel tempo libero, possono andare a cavallo, pescare, giocare a tennis e addirittura sciare in una struttura costruita al coperto per loro. Ognuno ha la chiave della propria stanza e anche la possibilità di accedere alla sauna. Se volessero, i detenuti potrebbero evadere quando vogliono con l’aiuto di una barca o a nuoto. La pena per chi tenta la fuga, però, è il trasferimento in un penitenziario di massima sicurezza, dove la vita è certamente più dura.
Qualcuno ha definito queste carceri come «campi vacanze per criminali», criticando i metodi detentivi come eccessivemente leggeri. Ma la Norvegia si difende esibendo i suoi dati sul sistema penitenziario. Solo il 20 per cento dei criminali usciti dal carcere torna a delinquere, a fronte del 50% in Gran Bretagna e di quasi il 70% in Italia. E in questo circolo virtuoso, i detenuti dietro le sbarre sono anche pochi (3.300 su una popolazione di 4,6 milioni), per cui possono essere garantite loro migliori condizioni di detenzione. In confronto, in Italia la popolazione carceraria è composta da più di 67 mila detenuti (di cui più di 24 mila stranieri) su 60 milioni di abitanti. Il record per la percentuale di popolazione dietro le sbarre spetta comunque agli Stati Uniti, dove più 2,3 milioni di persone sono in carcere, che significa 753 detenuti ogni 100 mila abitanti (circa sette volte il dato italiano).
Eppure la Costituzione norvegese, adottata nel 1814, si ispira proprio alla dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti del 1776 e alla costituzione a stelle e strisce. Tra gli articoli più controversi del testo, c’è il secondo, che definisce la religione evangelica luterana come «la religione ufficiale dello Stato». A capo della comunità ci sono il re e lo Storting (il parlamento), che è anche l’organo legislativo superiore della comunità religiosa. Si tratta di una dottrina, cui aderisce più del 70% dei norvegesi, che accentua la “coscienza del peccato”, in modo che il credente possa comportarsi meglio sia sul piano morale che nella condotta personale. In quest’ottica, anche il lavoro diventa la giusta punizione per i peccati che macchiano l’uomo in maniera indelebile.
Eppure, in quadro religioso di questo tipo, in cui l’uomo vive in uno “stato di angoscia perenne” a causa al peccato originale, il sistema penitenziario non mira a punire ma a rieducare. Per questo, nel 1905 è stata abolita la pena di morte prima per i crimini ordinari e poi nel 1979 per il resto dei reati. La carcerazione, in base al codice di procedura penale, può variare da un minimo di 14 giorni a un massimo di 15 anni, ma mai per un periodo superiore ai 20 anni. Solo per i crimini più efferati, si arriva ai 21 anni di detenzione. La maggior parte dei criminali, però, non passa in carcere più di 14 anni. Dopo aver scontato un terzo della pena, per evitare il sovraffollamento delle carceri i detenuti finiscono solitamente in libertà condizionata, e possono tornare in libertà dopo aver scontato due terzi della pena prevista. Nel 2008, dopo la sottoscrizione dello Statuto di Roma, la pena massima prevista nel codice penale è salita a 30 anni nel caso di accuse per crimini contro l’umanità.
A ben vedere, però, una pena “indefinita” in realtà esiste. È quella che in norvegese si chiama “forvaring”. Significa che solo nei casi più gravi, se gli individui vengono giudicati ancora socialmente pericolosi dopo la fine della carcerazione, la pena viene prolungata per altri cinque anni. Al termine dei cinque anni, il pubblico ministero può richiedere la riapertura del caso e la ripetizione del processo, o il rinnovo della pena per altri cinque anni. Un rinnovo della pena che, in teoria, nei casi di pericolosità sociale del detenuto e del rischio che commetta altri crimini, può essere ripetuto in maniera indefinita, arrivando quindi a una formula paragonabile all’ergastolo. Dopo una legge correttiva del 2002, però, non si sono verificati casi di questo tipo. Ma quella di Breivik potrebbe essere l’eccezione. L’altra possibilità per il terrorista potrebbe essere quella del trattamento mentale forzato, se l’imputato viene reputato incapace di intendere e di volere. Anche in questo caso, la pena potrebbe essere prolungata. E il terrorista, se reputato socialmente pericoloso, potrebbe restare internato a vita.
Il sistema carcerario norvegese costa al governo di Oslo 2 miliardi circa di euro all’anno, investiti soprattutto nella rieducazione dei condannati. Lo scopo della pena diventa quindi “l’utilità sociale”, come lo stesso Cesare Beccaria aveva già sostenuto nel suo Dei delitti e delle pene del 1764. La pena, scriveva l’illuminista milanese, «viene vista come legittima ed efficace soltanto nelle sue conseguenze utili per l’uomo». Lo scopo, in questo modo, è quello di riuscire a creare persone migliori che possano reinserirsi in società. Per questo motivo, mentre nell’aula del tribunale di Oslo si teneva l’ultima udienza della fase dibattimentale del processo per la strage del 22 luglio e l’autore degli omicidi sosteneva di aver agito «per proteggere il Paese dall’invasione musulmana», a pochi chilometri di distanza un gruppo di operai lavorava per costruire una cella destinata a Breivik. Dove, per evitare che il detenuto si senta troppo solo, qualcuno giocherà a scacchi o a hockey con lui. Per i prossimi 21 anni. O forse, per il resto della sua vita.