Questa è la mia testimonianza di ciò che ho visto e pensato lo scorso 12 giugno in occasione della prova, poi annullata, per Procuratore dello Stato. La rabbia che ho provato è enorme. Altrove, questa rabbia si potrà tradurre in esposti, o denunce. A me non viene altro che questa lettera personale (ma, d’altra parte, che fare?) Spero perdoniate la lunghezza e il tono a volte presuntuoso. Lunga è lunga, presuntuosa non vuole proprio esserlo.
Premessa:
In Italia chi fa causa allo Stato – scuola, università, ospedale, carabinieri, polizia, commissari di governo, prefettura, ministeri, enti nazionali etc – va davanti a un giudice – civile, penale, amministrativo, tributario – e cerca di ottenere tutto ciò che, sul piano del diritto sostanziale, avrebbe diritto di avere. Il privato è rappresentato da un avvocato assunto secondo i propri desideri e le proprie possibilità: il giovane avvocato, il grande studio, etc. Lo Stato è rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, la quale svolge appunto la funzione di rappresentanza dello Stato in giudizio e di consulenza per le singole amministrazioni.
Vi sono due figure che rappresentano lo Stato, entrambe inserite nell’Avvocatura: il Procuratore dello Stato e l’Avvocato dello Stato. La distinzione è meramente interna, gerarchica e di carriera. Per divenire Procuratore è sufficiente la laurea in giurisprudenza, per divenire Avvocato dello Stato o si è procuratori, avvocati, magistrati, professori universitari o dipendenti pubblici. In tutti e due i casi, vi è un concorso (anche se per una di quelle solite leggi italiane, dopo 8 anni da Procuratore si diventa automaticamente Avvocato dello Stato, pure se non si è superato l’esame da Avvocato dello Stato).
Così come è necessario che un magistrato riceva uno stipendio elevato (sì da ridurne la possibilità di corruzione e altro), così il singolo avvocato dello Stato riceve uno stipendio molto alto: che io sappia (ma posso sbagliare) si tratta di uno degli incarichi pubblici più pagati. Per dirvi, appena entrato in servizio, il Procuratore dello Stato riceve lo stipendio di un magistrato cui può aggiungere le propine (una parte dei soldi ottenuti nel singolo giudizio in caso di vittoria.
Nessun avvocato di Napoli a trent’anni vede quella cifra.
Questo spiega perché il concorso per divenire Procuratore dello Stato sia uno dei più ambiti.
Prestigio, soldi, possibilità di incidere sulla realtà, confronto quotidiano con la Pubblica Amministrazione. Il lavoro non è ambito solo perché ben pagato: a Napoli – dove paradossalmente lo Stato è molto presente (non esiste ditta che non abbia incentivi statali, non esiste famiglia che non abbia un dipendente pubblico, non esiste buca in strada che non abbia dato luogo ad un contenzioso per incidente etc) – l’Avvocato dello Stato ha la concreta possibilità di capire la realtà, di vederla, di toccarla quotidianamente. Anche per questo è bello.
Come il concorso in magistratura, anche il concorso per Procuratore dello Stato è finanziato con i soldi ricavati da parte del versamento che ogni cittadino è tenuto a pagare allorché avvia un giudizio. Lo scorso 12 giugno a Roma si è tenuto il concorso per 3 posti da Procuratore. Lo Stato, cioè, ha indetto un pubblico concorso per individuare tre persone cui affidare la propria rappresentanza in giudizio. L’unico requisito per partecipare a questa prova è avere meno di 35 anni e avere una laurea in giurisprudenza.
Vi sono state 3600 domande per 3 posti. Si sono presentati poco meno di 1000 candidati (per la precisione 980). Tra questi anche io.
Il concorso
Il concorso, evidentemente molto ambito e importante, prevede una prova scritta e una prova orale. La prova scritta prevede tre temi nelle tre materie più importanti per un avvocato: civile e proc civ; penale e proc. pen; amministrativo e proc. amm. Quest’anno onde evitare alla Commissione la correzione di tutti i temi dei candidati, si è pensato di fare una prova pre-selettiva. Chi avesse superato la prima prova (un tema in una delle tre materie), avrebbe avuto il diritto di svolgere le altre due prove scritte e, eventualmente, l’orale.
Il concorso è stato fissato per il 12 giugno. Il giorno prima tutti i candidati hanno dovuto portare i propri codici presso la sede del concorso – un albergo a Roma – onde consentirne la verifica e l’approvazione. Nel concorso a Procuratore dello Stato è ammessa la consultazione della semplice norma e non del commento della dottrina (scritto professori) o della giurisprudenza (fatto da giudici). Il candidato – tutti i candidati – può consultare unicamente il dato normativo e non altro.
Io ho portato tre codici di un mio amico che di recente aveva fatto il concorso in magistratura. Un codice, generalmente, costa più di 50 euro. La spesa è importante e rilevante.
Il giorno successivo la consegna dei codici alle ore 8,30 i candidati hanno varcato i cancelli e, dopo un ridicolo controllo (ha il cellulare? cosa c’è nella borsa?) da parte di un esiguo numero di sorveglianti, hanno preso posto in una delle quattro sale predisposte. Ognuno dei candidati ha un suo banco, con sopra i suoi codici e i fogli: alcuni di questi avevano il timbro vivo e la firma della commissione, altri erano una ridicola fotocopia. Sul banco non vi erano le buste.
Come saprete, nei concorsi pubblici (anche di dottorato, notoriamente concorsi molto chiacchierati in Italia) la regola aurea prevede che chi corregge non sia in grado di risalire all’autore del testo che sta leggendo. Per fare ciò, si consegna al candidato una grande busta dove mettere il proprio elaborato e, insieme, una piccola busta dove mettere il proprio numero identificativo. La commissione apre la busta, legge la prova. Poi apre la bustina, legge il numero, dà il voto della prova al numero e solo alla fine si procede all’identificazione del numero con il candidato.
Al concorso per Procuratore dello Stato non è sembrato doveroso fornire queste buste.
Dopo che i candidati hanno preso posto, ore 10, la Commissione ha ritenuto di dover fare l’appello dei… 980 candidati. Si badi che prima di entrare nelle varie sale dove vi erano i banchi, ognuno di noi ha dovuto esibire carta d’identità: non vi era, quindi, una sola ragione per procedere all’appello che è durato 90 minuti ed è stato una vera e propria buffonata. Vi era un solo guardiano che girava per la sala in attesa di sentire “presente” da parte del singolo candidato. In altre parole, chiunque poteva dire presente, non vi è una sola prova che sia stato proprio io, Davide a dire che Davide era presente.
Dopo l’appello, la Commissione – avvocati dello Stato e un giudice – sorteggia la materia. Come detto, vi sono tre materie, quindi tre buste. Aperta la busta si comunica ai candidati la materia. Regola di buonsenso vuole che si aprano anche le altre buste, così da dimostrare che ogni busta contiene una materia. Così non è stato: la Commissione ha ritenuto di potersi discostare nuovamente dal regolamento e di dare lettura unicamente della materia contenuta nella busta sorteggiata.
Letta la materia, la commissione si ritira – a suo dire per 30 minuti – per scrivere… le tracce della materia sorteggiata. In quel momento, la Commissione invita a togliere cellulari, ad andare in bagno e altro. Quindi: conosciuta la materia ogni candidato aveva il tempo di chiamare, andare in bagno, parlare con chiunque . Questo nel concorso più ambito d’Italia e finanziato con soldi pubblici.
La commissione rientra dopo le 13. Oltre 90 minuti dopo. Il clima è nervoso.
Per me, questo di cui vi parlo è il primo concorso per un lavoro. Sinora ho fatto un concorso a 18 anni, e poi due di dottorato. Tutti più seri. Attorno a me ci sono: dottori in giurisprudenza, avvocati, uditori giudiziari, magistrati.
Una volta rientrata la Commissione, chi ha più esperienza manifesta le proprie perplessità: si tratta di una ventina di persone che pretendono di avere le buste prima di scrivere. 90 minuti per scrivere una traccia è un tempo irragionevole e si diffonde la preoccupazione che la Commissione abbia potuto fare anche qualcosa di più: vi è chi teme che i commissari abbiano scritto qualche tema per poi inserirlo in certe buste… A me sembra una follia ma una trentina di persone sono molto preoccupate.
Il presidente della Commissione (Salvatore Messineo, avvocato dello Stato di Roma, molto importante) risponde in modo arrogante: «Se il concorso non vi pare regolare, andate da un giudice». E si mette a ridere.
In quel momento un mio conoscente mi invita ad andare a capire cosa stesse succedendo. Io sono nella seconda sala, mentre la commissione è nella prima. Lì regna la confusione: 20-30 ragazzi si trovano sotto la Commissione a chiedere l’apertura delle altre due buste contenenti le materie non sorteggiate e a chiedere le buste per gli elaborati. La risposta è sempre identica: risate e risate. «Se non vi piace questo concorso, andatevene da un giudice». (In Italia la giustizia non è concessa al singolo privato: i procedimenti, carissimi, sono lunghissimi. Il presidente della Commissione sapeva bene che nessuno sarebbe andato davanti a nessun giudice).
Il caso, però, ha voluto dare una mano a chi domandava un concorso pulito, ossia regolare: mentre una trentina di persone protestava e veniva derisa, una ragazza si accorge che sul tavolo della candidata F. si trovava in bella vista un codice civile commentato con tanto di timbro della Commissione che il giorno prima avrebbe dovuto verificare i codici. Qui è cominciato il delirio.
Ogni candidato ha speso almeno 150 euro di codici, ha speso almeno 150 euro di albergo e chissà quanto di trasporto; ha dovuto chiedere soldi ai propri genitori; ha chiesto a se stesso sacrifici e dedizione per lo studio del concorso; ha pochissime ore di sonno alle spalle ed un livello di concentrazione prossimo allo zero(sono le 14!). Ogni candidato è lì per trovare un lavoro, un lavoro da ottenere in virtù dei propri studi.
All’improvviso ogni candidato si è scoperto raggirato: due ragazze avevano due codici timbrati dalla Commissione addetta al controllo dei codici che non potevano essere là**. Questi codici commentati contengono spiegazioni, decisioni, precedenti. Ovvio: non contengono la soluzione, ma il concorso non è inficiato solo se qualcuno conosce la soluzione. È inficiato ogniqualvolta non vi è uguaglianza in partenza. I 100 metri io li corro anche, contro Bolt, ma a condizione di partire dallo stesso punto. Non ho il diritto ad arrivare primo, ma avrò pure il diritto di partire insieme!
Che io sia un fesso mi è chiaro e me lo dico tutti i giorni, ma essere trattato come un cretino non lo accetto.
Quando ci siamo resi conto che due ragazze avevano due codici commentati timbrati dalla Commissione, la rabbia è arrivata a livelli folli.
Io, personalmente sono impazzito. Ho urlato di tutto contro il presidente della Commissione, convinto la polizia penitenziaria delle nostre ragioni (non hanno mosso un dito contro i candidati), offerto al Presidente della Commissione il mio perdono in cambio delle sue scuse, bloccato chi diceva cose non vere e la buttava in politica, evitato scontri tra i candidati. Evidentemente devo aver fatto qualcosa di eccessivo, perché un poliziotto mi ha chiesto di «allontanarmi dal casino».
In questo delirio, infatti, la Commissione ha ben pensato di chiamare la polizia in tenuta antisommossa. Alle 15 lo scenario era il seguente:
commissione accerchiata da dipendenti, accerchiati da polizia in tenuta antisommossa. I poliziotti e i dipendenti supplicavano il presidente: «annulla, annulla il concorso così non si può fare».
L’Avvocatura esiste da 150 anni e mai un concorso era stato annullato. Il concorso si annulla per irregolarità, per disordini o per tardività: la prova non può finire il giorno successivo, per cui le otto ore previste per l’elaborazione del tema impongono di iniziare prima delle 16. Il Presidente della Commissione – Messineo avvocato che punta(va) a divenire il supremo Avvocato Generale dello Stato – decide di leggere la traccia. La legge male, ma le persone comprendono che o si resiste o ancora una volta il concorso si sarebbe consumato nella piena irregolarità: no buste, codici commentati, polizia, etc.
Tenete presente che a fare il concorso non vi ero solamente io – con le mie presunte idee, sensibilità etc. – vi erano persone più esagitate o meno esagitate, vi erano ragazzi più giovani e magistrati affermati, avvocati e neolaureati. La situazione era delirante, ma cresceva la rassegnazione: una volta dettata la traccia il concorso è partito. Avevamo visto arroganza e imbrogli, ma il tempo era partito!
Qui, qualcuno ha fatto una cosa spettacolare: abbiamo smesso, tutti, di fischiare, muovere banchi, urlare e insultare.
E abbiamo cantato l’inno.
Chiaramente, che fosse l’inno italiano, non c’entra nulla. La cosa importante è che a fronte di tanta arroganza impunita e manifesta, di imbrogli che si ripetono, di tanto merito senza carriera e di tanta carriera senza merito, i candidati abbiano opposto l’inno: la voglia di sentirsi parte di una comunità, di unità, di avere un paese normale è diventato l’arma con cui chi si è affidato allo studio per trovare un lavoro ha cercato di bloccare l’ennesimo concorso farsa.
E infatti, anche se il Presidente della Commissione avesse dettato la traccia, grazie all’inno cantato a squarciagola da 500 persone la dettatura era priva di senso: nessuno ha sentito ciò che il Presidente ha detto. Allora, ha dato ordine di distribuire fotocopie della traccia, ma ne ha date solo 300, per cui si è finiti per fare il concorso tutti insieme: dinnanzi a questo fallimento, anche lui ha dovuto annullare la prova.
Io, in quell’occasione, sapevo che avrei potuto perdere il controllo: sono stato più volte sull’orlo di fare cose di cui mi sarei vergognato: ho pensato seriamente di sputargli in faccia, di saltare addosso a chi aveva introdotto i codici commentati.
L’inno mi ha ripagato di tutto lo schifo. Io sono uno che l’inno lo canta solo per le partite della Nazionale, solo ogni quattro anni insieme ai calciatori. Per quanto possa difendere l’unità del paese, spesso provo i brividi al pensiero che la parola “italiano” possa essere aggettivo della mia persona. Come dicono in tanti, non mi sento italiano.
L’altro giorno, però, l’inno è stato qualcosa di diverso: quel canto è stato la manifestazione che davvero «chi difende tutti difende se stesso». Qualcosa sta cambiando. Se chi l’altro giorno cantava l’inno avrà un giorno un ruolo nella classe dirigente, il futuro – che noi non abbiamo – di questo paese sarà roseo.
Concludo questa lunga lettera con tre pensieri:
Il primo. Sarà la crisi, ma le persone, soprattutto direi i giovani, sono stanchi e nervosi. Stanchi di concorsi truccati e irregolari. Stanchi di dover dire ai propri parenti che si deve ancora studiare, aspettare, pagare. Stanchi di vedersi lontano da tutto, di non riuscire a vedere un percorso o futuro. Non è stanchezza il termine giusto, lo so. C’è rabbia, una rabbia che chi studia, generalmente, non conosce.
Qualcosa è cambiato. Messineo e gli altri, arroganti, che tutti noi conosciamo e vediamo (in dipartimento come in Tribunale) chissà, forse prima o poi pagheranno, ma qui e ora qualcosa è cambiato. Si dice in giro che lo spread ha dimostrato che Berlusconi è un lusso che l’Italia non si poteva permettere; forse è il medesimo spread a trasformare il solito concorso irregolare in un lusso che non ci si può permettere. Forse, sentendo l’inno, mi è sembrato che qualcosa sia cambiato: la domanda di legalità non viene più (solo) da modelli calati dall’alto, ma parte dal nostro quotidiano, dalla realtà che tutti noi viviamo. Chi ha studiato non ha più spazio per indifferenza, rassegnazione o altro. La legalità è diventata un diritto (una pretesa) e non è più soltanto un valore.
Il secondo. Non fermarsi. Affidatevi a chi volete, ma non fermiamoci. Non molliamo. Studiamo di più e meglio, sempre. Non è il sapere il traguardo di chi studia, ma il fare qualcosa.
E, infine, il terzo. Tempo fa una persona che stimo mi ha detto: ma perché da noi – praticanti avvocati costretti ad attendere la lotteria prima di guadagnare, dottorandi succubi di logiche mafiose, lavoratori non pagati etc – non c’è un Bouazizi?»… Io ho una mia risposta, ma la domanda è attuale. Almeno credo.
*Si tenga presente che il codice commentato era (guarda caso) proprio della materia sorteggiata, ed era di una figlia di un Avvocato di Stato, vale a dire di un collega della commissione. La ragazza non è stata espulsa.