Dodici film, zero flop. Ma con Brave il record della Pixar è a rischio

Dodici film, zero flop. Ma con Brave il record della Pixar è a rischio

Lunedì scopriremo se la Pixar, per la tredicesima volta, si confermerà unica eccezione alla prima regola dell’industria dello spettacolo: nel lungo termine, l’infallibilità non esiste. Da oggi nei cinema americani è in programmazione Brave, il tredicesimo lungometraggio animato (da noi sarà in sala a settembre con il titolo Ribelle – The Brave). Sapete quanti, tra i dodici film precedenti della Pixar, hanno debuttato al primo posto al box office? Dodici. Zero flop è un record che nessun altro può vantare. Che parlasse di robot pulisci spazzatura, di vecchietti e case volanti, di giocattoli o supereroi, ogni nuovo film Pixar è entrato nella classifica dei 50 cartoni animati più visti di sempre.

Certo, ci sono i segni di un declino. Cars 2 era fiacco e bruttino e per la prima volta non ha avuto alcuna nomination agli Oscar. In più aggiungete i troppi sequel fatti o in cantiere (Toy Story 3, Cars 2, Monsters University in arrivo). Abbastanza per sospettare che il picco creativo raggiunto a metà degli anni Duemila si sia trasformato in una fase di stanchezza o almeno di ordinaria amministrazione. Anche Brave ha ricevuto recensioni interlocutorie. Roger Ebert, il Mereghetti d’America, gli ha dato tre stelle (su quattro) ma ha scritto: “Ai bambini piacerà molto, gli adulti saranno delusi, soprattutto se sperano in un altro film rivoluzionario come Toy Story, Wall-E o Up”.

Ma le altre case di produzione, durante una crisi di idee, fanno bancarotta. La Pixar, con il Cars 2, ha incassato globalmente più di mezzo miliardo di dollari e nella lista dei 50 più visti di sempre è entrato al 16esimo posto. Non è ancora dato saperlo, ma è probabile che anche Brave, con la sua storia molto classica di principessa coraggiosa in un mondo fatato, farà altrettanto.

Tanto si è scritto sul Pixar Touch (titolo del miglior libro sull’argomento, il saggio di David A. Price, in italiano il più interessante è Pixar Inc. di Gianluca Aicardi, pubblicato da Tunuè): l’ambiente di lavoro informale in cui tutti hanno diritto di parola e opinione, il perfezionismo assoluto, l’innovazione tecnologica, l’alchimia originaria tra la visione creativa di John Lasseter e Ed Catmull e quella del mercato di Steve Jobs.

Tutto vero, tutto affascinante. Ma una parte enorme del successo Pixar è nel posto più semplice dove cercarla: questi sono bravi a raccontare storie. Forse i migliori al mondo, presi come soggetto collettivo e industriale (tenendo fuori gli autori).

Negli ultimi due mesi, Emma Coats, una giovane scrittrice Pixar (finora ha solo lavorato a due cortometraggi) ha condotto un interessante esperimento sociale: ha provato a sintetizzare, via Twitter, la formula Pixar così come viene spiegata e trasmessa dai veterani dell’azienda ai novizi come lei. Nessun segreto industriale, ma nei 22 tweet di Emma c’è tutto il sofisticato design di storie che ha permesso alla Pixar di incassare, dal 1995 a oggi, oltre 7 miliardi di dollari con 13 film, con 11 Oscar e 42 nomination (ben 7 per la miglior sceneggiatura).

Il primo tweet è stato (regola numero 1): “Ammiriamo i personaggi più per quanto provano e riprovano, non per i successi che ottengono”. Impossibile non pensare al topo fanatico di gastronomia di Ratatouille, o il pesce pagliaccio in cerca di suo figlio in Alla ricerca di Nemo. In generale, è però difficile vedere in controluce singole sceneggiature Pixar attraverso le regole di Emma.

C’è il blocco delle norme di buon senso narrativo, a metà tra scuola di scrittura creativa e corsi di automotivazione, come (regola numero 2) “Ricorda che quello che è interessante per te come pubblico può essere molto diverso da quello che è interessante per te come scrittore” e (regola numero 3) “Non vedrai il tema della tua storia finché non avrai finito di scriverla, e ora che hai finito, riscrivila” e ancora (regola numero 7) “Porta a termine la tua storia anche se non è perfetta. Non è un mondo ideale questo”, (regola numero 21) “Non fare il figo” e addirittura (regola numero 12): “Sorprendi te stesso”. C’è anche un buon esercizio base (regola numero 20): “Prendi i mattoni di una storia che non ti piace, e trasformala in un film che andresti a vedere”.

Ma ci sono una serie di consigli da cassetta degli attrezzi che ci portano più in profondità nel metodo narrativo Pixar, come (regola numero 6): “In cosa sono bravi i tuoi personaggi, qual è la loro zona di sicurezza? Fagli succedere l’opposto, mettili in difficoltà e vedi come reagiscono” oppure (regola numero 18): “Dà ai tuoi personaggi opinioni forti, se sono troppo passivi e malleabili avvelenano il pubblico”; (regola numero 9) “Se ti sei bloccato, fai una lista delle cose che non potrebbero succedere e la tua mente si sbloccherà”.

Un altro ottimo consiglio (regola numero 7): “Scrivi prima il finale, poi quello che c’è in mezzo, il finale è la parte più difficile”. E poi le due migliori Pixar-regole: (regola numero 19): “Le coincidenze per mettere nei guai i tuoi personaggi sono ottime. Quelle per tirarli fuori dai guai sono barare”; (regola numero 16) “Cosa c’è in ballo? Dacci qualcosa per cui fare il tifo”.

Sono le forme base del raccontare storie: la Poetica di Aristotele al tempo di Toy Story. Come si dice in inglese, questa non è “rocket science”, niente di troppo complicato. In fondo è solo (regola numero 4): “C’era una volta — Ogni giorno — Ma un giorno — E poi — E poi — Finché —” 

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