Dopo quattordicimila morti, la rivolta siriana perde speranza

Dopo quattordicimila morti, la rivolta siriana perde speranza

Almeno 14mila morti, per tre quarti civili, oltre 25mila persone arrestate tra cui almeno 600 minorenni e oltre 300 donne. Decine di migliaia di sfollati, dentro e fuori la Siria, e interi centri abitati letteralmente rasi al suolo. Bambini torturati e usati come scudi umani. Questi i spaventosi fatti della grave crisi in Siria entrata in un vortice di violenze che la vede lentamente scivolare verso uno scenario libanese, uno scenario che potrebbe infiammare tutta la regione.

Iniziata timidamente nel febbraio 2011 con piccoli sit-in nella capitale Damasco e a Aleppo, la protesta pacifica di centinaia di migliaia di siriani si è pian pian trasformata in una vera insurrezione armata, per la violenta repressione delle forze di sicurezza del regime di Bashar al-Assad e delle sue milizie Shebiha “i fantasmi”, che usano la violenza alzandone la spettacolarità deliberatamente per terrorizzare l’opposizione e la popolazione in generale, e fare cosi capire che il prezzo da pagare per la “libertà” sarà elevatissimo.

Questo spiega le immagini cruente che si vedono in televisione e su internet, di corpi bruciati, di massacri casa per casa, di torture, di persone sepolte vive e di cadaveri mutilati. L’ultimo Rapporto Onu del 12 giugno è l’agghiacciante prova della brutalità del regime, accusato di aver torturato bambini anche di soli otto anni, di averli usati come scudi umani durante le incursioni militari contro le postazioni dei ribelli. Molti analisti rimproverano però all’opposizione siriana di aver scatenato anzitempo la guerra, quando cioè non aveva ancora i mezzi militari per vincerla. Opposizione che continua ad essere dilaniata da divisioni, specie intorno alla sua leadership.

Rieletto a maggio a Roma alla guida del Consiglio nazionale siriano (Cns), che raccoglie i principali gruppi anti-regime, il presidente Bourhan Ghalioun, accademico residente in Francia, si è dimesso pochi giorni dopo. I Comitati Locali di Coordinamento – un network di attivisti che opera in Siria – hanno minacciato di abbandonare il Cns, accusandolo di “monopolizzare” il potere, criticando specialmente la gestione di Ghalioun, ritenuta fallimentare nel coordinamento tra le attività in esilio del Consiglio e la battaglia svolta sul terreno dai rivoluzionari.

Ma i problemi per gli oppositori al regime di Damasco, non sono solo interni. La Siria, a livello internazionale non è isolata. Oltre che sul regime degli Ayatollah che in questi mesi ha pompato milioni di dollari nelle disastrate casse del regime, (che perde circa un miliardo di dollari al mese) fornendo a Damasco, oltre che benzina e armi per la sua macchina bellica, anche assistenza tecnica e consulenza militare sulla repressione, Assad può contare su due alleati di spicco nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: Russia e Cina. Con veto alla mano, sono costantemente in guardia su qualunque risoluzione internazionale che possa aprire la strada ad un eventuale intervento armato.

Dopo gli ultimi massacri di civili la posizione della Cina si è fatta più smarcata dal regime. Cosa che non accadrà mai con la Russia, che considera la Siria l’ultimo alleato che le resta in Medio-oriente: la sua caduta sarebbe una vittoria americana. La Siria inoltre confina con due paesi molto delicati; l’Iraq guidato dallo sciita Nouri al-Maliki e il Libano, dove li governo è di fatto controllato dagli Hezbollah. E infatti qualche tempo fa Assad ha fatto scoppiare la violenza a Tripoli in Libano per mandare un messaggio chiaro: «State attenti, se cadiamo noi l’onda d’urto investirà tutta la regione».

Poi ci sono gli altri due vicini di rilievo: Turchia e Israele. Solo la Turchia per ora ha preso una posizione netta contro Assad, ma ha grandi difficoltà a gestire la sua frontiera, a causa del massiccio arrivo di decine di migliaia di profughi sulle sue terre. Quanto a Israele, non è troppo preoccupato di questa situazione di caos tutto sommato controllato. Il regime di Assad è per Gerusalemme meno pericoloso di uno stato islamista. 

Alle continue violenze e repressioni quotidiane, nell’ultimo periodo anche al-Qaeda sembra sia entrata nello scacchiere siriano. Qualcuno l’ha già soprannominata “il terzo attore”, dopo il regime e l’opposizione. Usato sistematicamente dal regime dopo ogni attacco per screditare l’opposizione, il fantasma del jihadismo si sta materializzando con forza. Lo confermano gli ultimi due attentati di maggio, che hanno preso di mira le sedi delle forze di sicurezza e del partito del regime ad Aleppo e a Idlib, richiamando tutti a ciò che potrebbe accadere in Siria nella prossime settimane.

Ormai il fallimento della missione di pace dell’inviato per la Siria di Onu e Lega araba Kofi Annan, e dei osservatori internazionali della missione di controllo Onu in Siria (Unsmis), è sotto gli occhi di tutti.

Gli osservatori Onu sono costretti ad arrivare sui luoghi dei massacri dei civili compiuti dai lealisti e dei Shebiha a pulizie ultimate, e ad ascoltare le testimonianze raccapriccianti dei pochi che per miracolo, sono sfuggiti alle stragi. L’inviato della Bbc Paul Danahar, arrivato l’8 giugno insieme agli osservatori Onu a Mazraate El-Kabir, teatro dell’ultimo massacro in Siria in cui sono morti cento persone, tra cui decine di donne e bambini, per lo più con armi bianche, ha scritto: «C’è ancora odore di carne bruciata, i palazzi sono stati sventarti e dati alle fiamme, ma nella città non vi è alcuna traccia di presenza umana». Se nessuno degli attori coinvolti nella crisi verrà sollecitato dai rispettivi alleati ad accettare una soluzione che porti il Paese fuori dalla guerra, è molto probabile che degli scontri in Siria si parlerà ancora a lungo. Anche il calendario degli eventi internazionali è sfavorevole alla popolazione siriana, presa in ostaggio dalla violenza: nessuna amministrazione statunitense è mai entrata in guerra a pochi mesi dalle presidenziali, previste a novembre 2012.

A tutto questo si aggiunga la grave crisi economica dell’Eurozona, che toglie attenzione ed energie alla già frammentata diplomazia estera Ue. La Francia, poi, è orfana dell’interventismo di Nicolas Sarkozy. Appare chiaro che sarà molto difficile, se non impossibile, una qualsiasi forma di intervento della comunità internazionale, capace di mettere la parola fine al vortice di violenza settaria nel quale il Paese si sta inesorabilmente inabissando.  

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