SAN FRANCISCO – Il sindaco di San Francisco, Ed lee, ha da poco presentato la prima ‘finanziaria’ del suo mandato. Quasi quindici miliardi di dollari in due anni, per la prima volta nella storia della città, un budget sopra i sette miliardi nell’anno solare. Un piano economico che solo qualche mese fa sarebbe stato analizzato con enorme preoccupazione, accolto con una ovazione del consiglio comunale, delle parti sociali coinvolte, degli industriali, dei cittadini presenti. Tutto questo grazie al fatto che a livello locale si sta vivendo un boom come non si ricordava dalla fine degli anni Novanta.
Il sindaco si è assunto responsabilità importanti, ha deciso che dovesse esser la città a farsi carico di «tutte quelle incombenze che non sarebbe compito nostro assolvere ma che il governo federale non può più permettersi». È previsto il reintegro dei fondi per Hiv ed Aids, scomparsi appunto dal budget del governo federale, sono stati ripristinati tutti i finanziamenti alla scuola pubblica statali che da settembre spariranno. Così mentre il governatore della California pensa ad un piano che riduca l’anno scolastico di un mese e accorci la settimana lavorativa per l’impiego pubblico, da cinque a quattro giorni, a San Francisco, in controtendenza, si festeggia una nuova era. Tutto questo grazie a una serie di congiunture estremamente favorevoli alla città del Golden Gate, favorevoli ma non certo casuali, né piovute dal cielo. È il frutto di un lavoro incessante degli ultimi anni sia del settore pubblico che di quello privato, finalizzato a rendere la Bay Area di nuovo appetibile, se non indispensabile, per chi vuol investire in California.
In quest’ottica va vista l’assegnazione a San Francisco della finale dell’American’s Cup, avvenimento che sta concentrando enormi capitali in vista dell’appuntamento del 2013 oltre che dare nuovo vigore ai settori turistico ed immobiliare, con la garanzia che al termine dell’evento tutto tornerà alla città. Sempre in questa direzione la decisione dei proprietari dei Golden State Warriors, la squadra di basket della baia, da quarant’anni ad Oakland, di tornare a San Francisco entro il 2017. Costruendo una nuova arena che prevede anche la riqualificazione di una area enorme sul lungomare, dismessa da decenni.
Sono sempre di più le aziende che snobbano la Silicon Valley e hanno aperto o stanno per costruire a San Francisco i loro quartier generale, se si esclude Facebook che si sposta a Palo Alto, Yelp, Linkedin, Twitter, Zynga sono tutti qui e stanno investendo ancora in aree dismesse. E tutto intorno rifioriscono i quartieri, nuove abitazioni, nuovi esercizi commerciali. Nuovi posti di lavoro, +28% nel settore dell’Hi-tech. Addirittura, per la prima volta dal 1972, si è deciso di approvare due progetti di grattacielo che saranno più alti del Pyramid, il più alto della baia, fino ad ora icona della skyline della città. E grazie alla legge che impone che in tutti questi progetti siano coinvolti esclusivamente contractor locali, il tutto si trasforma il liquidità, oneri di urbanizzazione, e, soprattutto, migliaia di posti di lavoro.
Insomma, come titolano ormai un po’ tutti i quotidiani locali, come si sente in televisione, c’è aria di ’99, cioè l’anno del boom delle dotcom. Ma con più fiducia, molta più fiducia e la consapevolezza di essere in grado di non ripeter quegli errori. Se allora la bolla della new economy posava sul nulla ed è inevitabilmente scoppiata, ora i capitali hanno alle spalle solidi investimenti, da old economy. Sono, fanno notare gli analisti, vere aziende, con milioni di clienti e profitti reali. Nonostante il passo falso di Facebook e di Zynga nella quotazione in Borsa, resta alta la fiducia dei grandi capitali e basta passare in rassegna le notizie economiche degli ultimi mesi per vedere che i grandi affari passan tutti da qui, da Instagram, azienda orgogliosamente ‘San Franciscan’ che come tutti sanno è stata acquistata da Facebook, alla recentissima acquisizione da parte di Starbuck’s di La Boulange, catena con base locale che produce e vende al dettaglio pane e dolci freschi, passando per decine di altre operazioni che sommate hanno mobilitato quasi dodici miliardi di dollari in pochi mesi.
Certo, fin qui c’è tanto ottimismo a soffiare sul fuoco, molto più di quanto il contesto che circonda la città possa permettersi, ma che negli ultimi sei mesi tutto qui sia cambiato è visibile, tangibile e per moltissimi versi straordinariamente concreto. Ed era quello di cui tutti da queste parti avevano bisogno dopo uno dei decenni più duri che la recente storia di San Francisco ricordi.
Una curiosità, per chiudere, che dà l’idea di come la comunità cinese e indirettamente la Cina venga tenuta in somma considerazione da questa parte del pacifico. La Transbay Tower, uno dei due progetti di torre cui accennavo, aveva un ‘problemino’. Per diciassette giorni all’anno avrebbe fatto ombra al piccolo parco in cui i dipendenti e i dirigenti della camera di commercio cinese sono soliti fare tai-chi, ogni mattina, all’alba. Progetto prontamente modificato in modo che gli ultimi trenta metri siano del tutto trasparenti e consentano al sole di continuare a scaldare chi, in questo momento, in città, ha più voce in capitolo.