All’apparire di due giganti del pensiero del novecento, Hans Jonas e Hannah Arendt, nelle tracce della maturità di quest’anno, qualcuno potrebbe applaudire, o anche solo avere un moto di ammirazione: per la difficoltà e la profondità del loro pensiero, e per il valore dei personaggi considerati e delle loro idee. David Bidussa, storico sociale delle idee, invece, si preoccupa. Eccome. Quelle tracce non lo convincono: il rischio della banalità è altissimo.
«Cominciamo da Hannah Arendt», dice. «È un estratto da cui, leggendolo, si deduce un certo modo di vedere il genocidio: appare come un fatto deciso da alcune persone che, riunite insieme, scelgono di perpetrare lo sterminio, e la cosa poi si realizza come conseguenza quasi burocratico-amministrativa». Ma non è così? «Di fatto sì, ma c’è un punto importante – che la traccia non rileva – che non può venire trascurato». Cioè? «Messa così sembra la decisione di persone che si trovano, una sera, quasi per un happy hour, e decidano la cosa. E questa si realizzi». In realtà, spiega, «quel momento, che c’è stato, è solo l’attimo finale di un processo, la decisione vera era avvenuta prima». E dove? «In una società complessa e complicata, nella quale si vede sparire il vicino, e il coinquilino senza che la cosa costituisca un problema». È qui, spiega, che si decide il genocidio. «Nell’attimo in cui la cosa non è un problema, né per chi lo fa, né per i vicini». E allora viene il dubbio: «può un ragazzo pensare, nelle sue riflessioni, queste cose?». In linea teorica sì, ma dipende anche dal tipo di istruzione ricevuta, e dal percorso che gli hanno fatto seguire negli ultimi due anni di superiori.
«Occorre capire che i fatti della storia non riguardano più soltanto quello che avviene, ma anche la sensibilità, i sentimenti delle epoche che li accompagnano. Occorre preoccuparsi di capire cosa succede nella sensibilità collettiva, di massa». E tutto questo,«nella traccia, non c’è». Sarebbe opportuno, aggiunge, «scandagliare l’habitat umano. Faccio un esempio». Prego «La notte dei Cristalli, il 9 novembre 1938, è avvenuta in seguito all’uccisione di un diplomatico tedesco. Le rappresaglie, le violenze erano sotto gli occhi di tutti, ma nessuno ha detto nulla, nessuno ha fatto nulla. È lì che è nato il genocidio». E da qui il rischio che la traccia banalizzi tutto, «o anche di più. La traccia messa così, lascia pensare altro: che un gruppo di persone si sia riunito, una sera, e abbia deciso il genocidio, proprio come è successo alle Twin Towers. Ecco: il genocidio e l’Undici Settembre non sono la stessa cosa».
Su Jonas, la traccia sembra «aprire a una dimensione altruistica. Si discute, cioè, sul proprio agire anche tenendo conto di ciò che è altro da sé. Una scommessa sugli altri, e su quelli che verranno dopo», perché, per il futuro, «si deve tenere conto delle conseguenze delle proprie azioni, anche quelle non più immediate, e anche dei limiti che ci si può dare». Implica una «responsabilità che si dilunga, oltre il proprio tempo». In questo senso, «si può leggere l’incrocio tra le due figure, tra Jonas e Arendt». Ma il rischio, in questo caso, qual è? «Che lo studente trasformi questi concetti, che non sono moralistici, in un’omelia». E, proprio, «non abbiamo bisogno di predicozzi». Soprattutto parlando di Jonas. Insomma, «il rischio della banalità è enorme». Cose che possono succedere se nel somministrare le tracce non si tiene conto «della cultura media degli studenti», che, secondo Bidussa, se non è guidata, «può portare a letture superficiali».
Chi ha dato le tracce «non ha valutato questo rischio», continua, «mentre quello che servirebbe è dare spunti di riflessione reali, che stimolino il pensiero degli studenti». Ad esempio? «Una frase dei Peanuts andrebbe bene: costringe a superare anche l’idea del contesto, considerato minore, del fumetto», provoca. E aiuterebbe a non cadere nella banalità, portandosi dietro anche i grossi nomi del pensiero del novecento.