La marcia dei minatori che spaventa la Spagna

La marcia dei minatori che spaventa la Spagna

Tenemos ovarios, tenemos huevos, somos las mujeres de los mineros. La protesta dei minatori spagnoli non è una questione di genere o di sesso: martedì le mogli hanno occupato Madrid, bloccando il traffico, scandendo slogan ed arrivando ad interrompere i lavori del Senato; venerdì 22 giugno i loro mariti iniziano la terza ‘marcha negra‘ nella storia della Spagna.

Saranno in 180 a camminare per 19 giorni alla volta della capitale divisi in blocchi. C’è chi parte da Mieres in Asturia, chi da Villablino e Bembibre, entrambe nella provincia di Leon, e chi da Andorra, Teruel. Nomi poco noti, ma epicentri da giorni incandescenti di una crisi che riguarda un settore, quello del carbone, destinato comunque a morte certa. Ma una cosa è morire lentamente, accompagnati da piani di fuoriuscita, un’altra di colpo, sotto la scure dei tagli anti-crisi.

La marcha negra corona vari giorni di manifestazioni, occupazioni delle miniere, scontri e marce. Sul piede di guerra è scesa quella che in Spagna, fin dalla fine del XIX secolo, si considera l’avanguardia della classe operaia. E poco importa che il proletariato si sia da allora trasformato in forme più precarie e atomizzate: i minatori fanno ancora paura, per la loro capacità di organizzazione e di resistenza.

Oggi un gruppo ha preso a sediate e uova il sindaco di Ponferrada, provincia di Leon, il popolare Carlos Lopez Riesco. Un’azione tra le tante che ormai dal 23 maggio stanno segnando la vita quotidiana delle regioni minerarie delle Asturie e di Castilla Leon, dov’è in corso una sorta di guerriglia per il posto di lavoro.

Sciopero a oltranza, occupazione delle miniere, marce, blocco di strade statali e di tratti della ferrovia con barricate fatte di pneumatici incendiati e assi di legno: i minatori hanno conquistato la cronaca dell’attualità spagnola con una protesta a tratti violenta, comunque durissima. La polizia li affronta con gas lacrimogeni e pallottole di gomma? Loro rispondono con bulloni e lanciarazzi artigianali.

La ragione di questa ribellione non è più, come nell’ultima marcha negra, giusto 50 anni fa sotto Franco, la richiesta di miglioramenti salariali e di condizioni di lavoro più degne. Oggi si combatte per la sopravvivenza a cortissimo termine. La Ue aveva fissato per il 2018 la fine delle sovvenzioni al carbone spagnolo, un lasso sufficiente per lanciare piani di uscita e prepensionamenti, tanto più in un’Europa dove le deroghe sono all’ordine del giorno.

La crisi economica ha invece accelerato i tempi e il governo del premier popolare Mariano Rajoy, che ama definirsi amico dei minatori, ha deciso il 22 maggio maggio di inserire nella finanziaria 2012 un taglio del 63% degli aiuti al settore. Una sforbiciata che per l’attività estrattiva equivale alla morte per collasso, accusano in coro sindacati, lavoratori e imprenditori. L’Europa ha dato del tempo e ora il governo, spinto dall’Europa lo toglie.

«Tutto il nostro paese lavora con il carbone, se ci tolgono la miniera ci tolgono il paese», affermava martedì a El Pais Pilar Ortiz, di Ariño, provincia di Teruel. Suo marito lavora da 16 anni estraendo il minerale. Attualmente sono 7.900 i minatori spagnoli, ripartiti tra 47 zone di sfruttamento che producono 8,5 milioni di tonnellate di carbone. Erano 52.910 nel 1985, anno dell’ingresso di Madrid nell’allora Cee, ed estraevano 20 milioni di tonnellate. Da allora c’è stata un’erosione continua, figlia proprio dell’adesione all’Europa ma anche del cambiamento di paradigma energetico.

L’estrazione del carbone peraltro non è mai stata redditizia in Spagna. Non era un affare all’inizio del XX Secolo, quando quello britannico costava meno della metà, e lo è ancora meno ora, che oltre a vivere di sussidi distrae finanziamenti da fonti meno inquinanti e più redditizie energeticamente. Già nel 1935 l’economista Roman Perpiñà Grau puntava il dito sugli effetti perversi dell’iper-protezionismo delle miniere sui settori più competitivi del paese.

Sono passati oltre 70 anni e il problema è diventato prettamente sociale. La Spagna, forte del suo record continentale di disoccupati, può permettersi di mandare a casa un numero limitato ma concentrato geograficamente di persone? I minatori difendono la continuità della loro attività proprio per ragioni territoriali e sociali, vista l’impossibilità in quelle zone di trovare altre fonti di lavoro. Nelle stesse regioni si teme una escalation di tensione, dopo tre settimane di continui blocchi e manifestazioni.

L’avanguardia continua a protestare, ma rischia di perdere l’appoggio di una popolazione comunque, complessivamente, colpita dalla crisi. La via d’uscita è un emendamento alla finanziaria, proposto dal Psoe, per eliminare i tagli al settore. La marcha negra è appesa a un voto.

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