Un tribunale della Repubblica Italiana ha dichiarato, la scorsa settimana, il fallimento di due società, Imco e Sinergia, appartenenti alla famiglia Ligresti, una delle colonne del più buono dei salotti buoni della finanza italiana da qualche decennio. È fallito, insomma, uno degli intimissimi dell’accrocchio di potere e affari che ruota attorno a Mediobanca.
Dopo sette anni, dunque, ci risiamo. Non ci sono più i “furbetti del quartierino”, è vero. Stavolta, i protagonisti dell’affaire sono “blasonati”, per quanto non immacolati. Ma la confusione sotto il cielo è ugualmente grande. E alto il rischio di collisioni fra grandi manovre finanziarie e magistratura milanese. Insomma, le previsioni meteo minacciano un diluvio universale, per citare il titolo di una pièce teatrale che ha raccontato ascesa e caduta del banchiere Gianpiero Fiorani e il degrado del mondo finanziario emerso nell’estate 2005 con lo scandalo Antonveneta. I giochi sono ancora aperti, gli esiti imprevedibili.
Salvatore Ligresti, 80 anni, ingegnere di Paternò che ha fatto fortuna a Milano, lascia debiti accertati per 400 milioni di euro e un buco patrimoniale di 110 milioni. E tanti palazzi che hanno abbruttito il volto di quella che una volta era la capitale morale d’Italia. Con lui le banche sono sempre state molto generose: l’indebitamento dell’intero gruppo supera 2 miliardi. Solo negli ultimi dieci anni, la Mediobanca guidata da Alberto Nagel, del resto, ha sganciato 1,1 miliardi alla Fondiaria Sai. Una cifra monstre che serviva per puntellare, un po’ alla volta, i requisiti patrimoniali della compagnia assicurativa, mentre la famiglia la depauperava. L’Isvap, l’autorità di vigilanza del settore, non ha mai disturbato il manovratore, salvo che negli ultimi tempi, quando il danno ormai era fatto.
Dal fallimento di Imco e Sinergia, decretato dalla giustizia civile su richiesta della Procura di Milano, all’indagine penale per bancarotta il passo potrebbe essere breve. Da qui, tutto può succedere. Nell’agosto 2010, le banche rifinanziavano le due società: già allora, secondo gli inquirenti, erano già borderline. Eppure, negli ultimi tre anni le due fallite hanno incassato 600 milioni di euro da Fondiaria Sai e Milano Assicurazioni, le due compagnie assicurative che i Ligresti controllavano attraverso la holding quotata Premafin. Un turbinio di affari fra amici, tecnicamente “parti correlate”, che hanno impoverito il patrimonio delle compagnie assicurative e, nel caso di FonSai, lo hanno ridotto al di sotto dei requisiti minimi richiesti dalla normativa di settore. Colmo dei colmi, buona parte parte di queste operazioni sono state approvate dal consiglio di amministrazione, con l’astensione dei Ligresti. Lo stuolo di famigli e professionisti a libro paga, cooptati all’uopo in cda, garantivano il rispetto della forma. Il paradosso è che ora si sta studiando il modo di rafforzare i presidi di controllo (consiglieri indipendenti, collegio sindacale, revisori, Isvap) che non si sono attivati. Su tutto ciò gli inquirenti, coordinati dal pm Luigi Orsi, dovranno, giocoforza, mettere il naso.
A questo punto la Procura si troverà nel cuore di un’operazione cruciale su cui il predetto accrocchio di potere sta giocando la sua sopravvivenza. Costi quel che costi, si vuole condurre in porto la fusione fra la Milano, Fondiaria Sai, la loro controllante Premafin e Unipol, la compagnia assicurativa delle Coop identificata come nuova “stampella” dell’assetto di potere di Mediobanca. L’affare, ancora una volta, viene risolto fra amici fidati. **Le procedure prevedono il parere vincolante di un comitato di amministratori indipendenti? Voilà: lo si infarcisce di amministratori fidati. C’era dentro, fino a ieri anche Roberto Cappelli, il legale di Unicredit, primo creditore della Premafin a cui è legata a patto di sindacato su azioni FonSai. Il voto di Cappelli è stato determinante per arrivare l’approvazione delle delibere (passate con due voti su tre). Dopo un nuovo esame della situazione richiesto dal collegio sindacale su sollecitazione della Consob, il cda di Fondiaria Sai ha confermato nuovamente l’indipendenza di Cappelli, «tenuto anche conto dell’assoluta autonomia e professionalità dimostrata nel concreto esercizio delle sue funzioni», anche se nel 2011 il suo fatturato nei confronti di Unicredit è stato circa il 33% del fatturato complessivo personale e il 10% di quello dello studio Grimaldi e Associati (v. comunicato ufficiale). Nel 2012, invece, «nessuna fatturazione nei confronti di Unicredit è stata effettuata dallo Studio Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners», di cui oggi fa parte Cappelli, che però verso l’istituto di Piazza Cordusio ha in essere undici incarichi su 80 complessivi, per i quali a fine maggio sono maturati «onorari stimati che rappresentano il 19% circa» del totale. Ad ogni modo, Cappelli, che è uno fra gli 80 soci de Linkiesta, ha deciso di lasciare il comitato «per ragioni di opportunità». In previsione di questo esito, che di fatto avrebbe paralizzato il comitato (un consigliere favorevole all’operazione Unipol e uno contrario), nei giorni scorsi l’organismo era stato integrato con altri due amministratori indipendenti. La terapia al disastro Ligresti è della stessa natura del male: si è passati dai consiglieri di fiducia della famiglia a quelli dei creditori della famiglia. Nel frattempo, si è deciso di affidare a un duo di legali, Carbonetti e Casò, la revisione delle regole di governo: il secondo è l’ex presidente del collegio sindacale di Mediobanca**.
Le pressioni delle due principali banche creditrici, Mediobanca e il gruppo Unicredit (esposto per circa 500 milioni), sono molto forti. Non passa giorno che Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Piazza Cordusio, non rilasci una dichiarazione per “spingere” verso la fusione. L’operazione ha un obiettivo più ampio che non il semplice salvataggio di FonSai. La struttura congegnata da Mediobanca punta infatti a trasferire valore dal basso verso l’alto della catena societaria, grazie a un’interpretazione tirata delle norme sul salvataggio di società in crisi avallata dalla Consob. In sostanza, poiché anche la Premafin è tecnicamente in dissesto, si mira a spostare valore dagli azionisti di minoranza ai creditori dell’azionista di maggioranza: ballano circa 200 milioni. È la stessa cifra che serve per far quadrare i conti di Premafin, che a prezzi di mercato ha asset per 120 milioni e un buco patrimoniale di oltre 230 milioni.
Le autorità di vigilanza stanno invece diversificando la loro attività: si sono messi a fornire advisory ai controllati perché una parvenza di forma sia salva. La Consob sempre essersi dimenticata che la sua ragione fondativa è la tutela dei piccoli azionisti (quelli grandi si tutelano da sé) e sta avallando una controversa operazione, in esenzione d’Opa, che viola il principio legale della parità di trattamento degli azionisti. Con l’accorgimento di qualche foglia di fico: la rinuncia alla manleva concessa da Unipol ai Ligresti e agli altri amministratori degli ultimi cinque anni, sennò scatta l’Opa. Scaricata dai suoi storici alleati, la famiglia di costruttori non vuole rinunciare alla manleva. Anche qui, arriva il soccorso Isvap, ispirato da Consob: la minaccia di un commissario ad acta se non si procede subito con un’azione contro i Ligresti. Basta una delibera del collegio sindacale, e non servirà passare dall’assemblea: il rischio che scattino le condizioni per la manleva concessa da Unipol (e quindi l’obbligo di Opa) potrebbe essere superato, anche se sul punto i pareri non sono concordi.
La commissione di Vegas non ha ancora spiegato come e perché, giusto un anno fa, autorizzò un prospetto informativo con cui FonSai raccolse 450 milioni sul mercato. Prospetto che solo pochi mesi dopo si è rivelato ampiamente omissivo: non erano stati contabilizzati debiti verso gli assicurati per circa 800 milioni. Per non correre rischi sull’esito dell’autorizzazione, invece, l’Isvap ha di fatto esautorato gli uffici competenti, centralizzando la procedura al vertice. Certo, non è il ricorso al parere di un consulente esterno, come ai tempi del governatore Fazio e della Bpl di Fiorani: qualcosa l’estate dei furbetti avrà pure insegnato.
Tanta sicurezza da parte dei protagonisti nella corsa verso il traguardo lascia aperto un interrogativo: se stia avvenendo, come sostengono alcuni, su un sentiero concordato con la Procura milanese o, invece, nonostante l’inchiesta della Procura. La scommessa di Piazzetta Cuccia e del suo socio Unicredit è di chiudere tutto prima che arrivi il diluvio.
Twitter: @lorenzodilena
**ultimo aggiornamento venerdì 22 giugno h 14.10