Il paziente è in stato di coma a prognosi riservata. La cura prevede una serie di interventi lunghi e di difficile esecuzione. Il successo, poi, dipende anche dall’assenza di complicanze che sono però alquanto probabili, e su cui i medici nulla possono. Le premesse, insomma, sono tutt’altro che favorevoli per il rilancio – ma sarebbe più realistico parlare di resurrezione – della Banca Monte dei Paschi di Siena.
Le condizioni in cui i nuovi vertici del gruppo senese, il presidente Alessandro Profumo (uno degli ottanta soci de Linkiesta) e l’amministratore delegato Fabrizio Viola, hanno preso in carico “il paziente” dalla gestione Mussari sono oggettivamente disperate. Non solo per la mancanza di patrimonio che, nell’impossibilità di fare ricorso al mercato dei capitali, verrà temporaneamente colmata ricorrendo ai prestiti di Stato (3,4 miliardi di euro di Grilli bond, 1,5 miliardi al netto del rimborso dei precedenti Tremonti bond). Nella tesoreria c’è un buco di liquidità di 30 miliardi, per ora integralmente tamponato ricorrendo alla Bce.
Ma il problema è che il motore gira a vuoto: l’attività bancaria tradizionale non fa utili, anche al netto delle svalutazioni straordinarie dell’avviamento. L’errore fatale dell’ex presidente Giuseppe Mussari, l’acquisto di Antonveneta per 10 miliardi decisa un weekend, è stato aggravato dalla responsabilità di non avere gestito l’integrazione industriale. Nel 2011 il risultato operativo consolidato (540 milioni) sarebbe stato nullo o persino negativo senza il margine netto (2% circa) ottenuto sul molto deprecato portafoglio Btp da 25 miliardi. Da un lato, la crisi del debito governativo ha portato a minusvalenze implicite per le quali l’Eba ha chiesto il famoso “cuscinetto” patrimoniale aggiuntivo di 3,3 miliardi. Dall’altro, appare chiaro che nel 2009-2010 la costruzione di tale posizione in titoli governativi, che ha trasformato Mps in un hedge fund specializzato in carry trade – e su cui Mussari è riuscito a sbagliare anche la copertura in swap –, è servito a rimpiazzare la scomparsa della redditività caratteristica della banca.
Oltre che patrimoniale e di liquidità, la questione è soprattutto industriale. Esacerbata nel caso di Mps, ma non molto diversa, nella natura, per gran parte del sistema bancario italiano. Ancora troppo legato a un modello distributivo e a un’organizzazione del lavoro basati su filiali territoriali superate dalla tecnologia e dal cambiamento delle abitudini della clientela. La crisi, insomma, è strutturale: il paragone con il collasso dell’industria siderurgica italiana nei primi anni ’80 non sembri esagerato.
I nuovi vertici di Mps hanno presentato un piano quadriennale che promette una svolta radicale all’insegna del downsizing, un ridimensionamento che punta al recupero di produttività e redditività (630 milioni al 2015). La parola d’ordine è riduzione: delle dimensioni, dei volumi, delle esigenze di liquidità, dei costi operativi (-565 milioni), della presenza territoriale, del personale, dei dirigenti (il 20% in meno), della retribuzioni (-5% per 12 mesi una tantum). Saranno chiuse 400 filiali e si procederà a dismissioni di controllate e rami aziendali (il polo informatico). La necessità di finanziamento delle attività da cedere (6,3 miliardi per Consum.it e oltre 5 per il leasing) renderà arduo trovare compratori. Il fatto che non ce ne sia stato uno per la “piccola Antonveneta“ (marchio più 250-300 agenzie) la dice lunga. La buona notizia è che ieri è stata conclusa la cessione di Biverbanca per 203 milioni: era stata comprata nel 2007 da Intesa Sanpaolo per 390 milioni.
A fine piano ci si attende un calo del personale di 4.640 unità dai 31.170 del 2011 (-14%). La gestione dell’intervento si annuncia complicata, il timore di contratti di solidarietà e mobilità spinge i sindacati verso lo sciopero. Il raggiungimento dell’obiettivo di incremento della produttività, con un piano che mira a piazzare polizze assicurative dell’azionista e partner Axa – sostituendo quindi margine di interesse (previsto in calo) con le commissioni – è tutto fuorché garantito. Servirà la collaborazione e la rimotivazione del personale, e il clima è tutt’altro che sereno fra le mura di Rocca Salimbeni.
Profumo ha parlato di un piano pensato in condizioni avverse “con il vento a prua”, contrario insomma alla navigazione verso un porto sicuro. La sfida è titanica tanto più per un manager abituato a viaggiare con il vento del mercati in poppa, fino alla brusca frenata imposta dalla crisi del 2007-2008. Ora, è vero che le assunzioni macroeconomiche su cui il piano è formulato mettono in conto recessione e turbolenze varie. Ma va detto anche che ci sono due scommesse piuttosto forti. La prima è che lo spread fra Btp e Bund si riduca progressivamente fino ad toccare a 220 punti nel 2015 (dai 450 di fine 2011). La seconda è che negli anni a venire ci sarà meno bisogno di accantonamenti sui crediti, con un costo del rischio (cioè, l’incidenza % degli accantonamenti sul totale impieghi) in discesa allo 0,77%, una riduzione del flusso di nuove sofferenze e persino un aumento del tasso di copertura delle sofferenze totali. Tutto questo in un contesto di riduzione dei volumi degli impieghi.
Due scommesse così oggi sono un azzardo. O testimoniano per lo meno un ottimismo della volontà utile per iniziare un percorso di ristrutturazione che renderà il boccone Mps meno indigesto per il nuovo socio di riferimento (Axa?). Entro l’orizzonte del piano, andrà trovato un partner che partecipi alla ricapitalizzazione della banca (1 miliardo) e ne prenda il controllo, diluendo al Fondazione Mps al 15% o forse meno. Nel frattempo, di dividendi non se ne vedranno: gli utili che verranno (per il 2012 è probabile una perdita anche per l’ulteriore abbattimento dell’avviamento) saranno accantonati per rimborsare 3 miliardi di Grilli bond entro il 2015. Riuscirci davvero è l’altra grande scommessa forte del piano, salvo che si faccia già conto su una conversione dei prestiti statali che porterebbe il Tesoro nell’azionariato.
Ad ogni modo, con il piano di Profumo e Viola, il Montepaschi ha rotto il ghiaccio: in Italia è cominciata l’era delle grandi, e dolorose, ristrutturazioni bancarie, che porteranno molti a ridurre le dimensioni. Strana nemesi per l’uomo che per primo aveva pensato a modelli di gigantismo bancario che si sono poi mostrati fragilissimi al vento della crisi.
Twitter: @lorenzodilena