PARIGI – Quando alle 10 e 10 circa di ieri un uomo armato faceva irruzione nell’agenzia bancaria CIC, nella avenue Camille-Pujol a Tolosa, rivendicando di essere un militante d’Al-Qaeda e prendendo in ostaggio quattro persone, molti hanno temuto un revival della gesta (e dell’epilogo drammatico) di Mohammed Merah. Non fosse per il semplice fatto che la l’agenzia si trova nello stesso quartiere, quello della Côte Pavée, a soltanto 300 metri della rue Sergent-Vigné dove Mohammed Merah era stato abbattuto il 22 Marzo scorso nel corso di un’operazione delle teste di cuoio francesi, il Raid.
I colpi d’arma da fuoco esplosi poi avevano fatto temere il peggio. La vicenda invece si è chiusa senza incidenti e il folle di turno è stato consegnato alla polizia. Questa volta la diagnosi per il nuovo squilibrato è relativamente più semplice di quella di un’autoradicalizzazione salafita atipica” (la definizione è del procuratore di Parigi François Molins). L’autore della presa d’ostaggi nella banca di Tolosa, Sethi Boumaza, 26 anni, a differenza di Merah è conosciuto alle forze di polizia soltanto per violenze minori, dispute familiari. I suoi farfugliamenti psico-religiosi sull’Islam radicale e su Al-Qaeda sono apparsi immediatamente agli investigatori come un pietoso paravento per nascondere un disagio interiore. Insomma: il suo è stato un disperato tentativo di attirare l’attenzione su di sé, servendosi degli usi (e costumi) dell’Islam radicale che tanto va di moda dall’11 Settembre in poi.
La guerra santa di cui è stato protagonista infatti avviene esclusivamente nel suo cervello. Più che le teste di cuoio avrebbe sicuramente fatto meglio un’equipe di camici bianchi. Boumaza soffre infatti di gravi turbe psichiatriche, è stato ricoverato per un periodo nell’ospedale di Merchant e dopo aver seguito una terapia ha deciso bruscamente d’interrompere le sue cure. In realtà non è il primo. Dal 22 Marzo scorso, secondo le stime della Brigata d’Investigazione e d’Intervento e quella dell’anticriminalità di Tolosa, gli emuli di Merah si sono moltiplicati. Telefonate anonime, gesti inconsulti di emarginati, fanatici che dicono di voler “morire come Merah”. E intanto, tanto per alimentare il mito di Merah-eroe salafita morto con le armi in pugno, continua il feuilleton che vuole che quest’ultimo fosse stato manipolato dai servizi segreti francesi e liquidato perché sapeva troppo.
Il 18 Marzo una testimone oculare aveva detto al quotidiano francese La Depêche di aver visto in faccia il killer dei tre militari a Montauban. La testimone esce da una farmacia e incrocia l’assassino che aveva appena sparato ai tre militari. Nonostante la visiera del casco, riesce a vedere per un attimo il suo viso: è corpulento ed ha gli occhi verdi con un tatuaggio sulla guancia sinistra. Non sembra la descrizione di Mohammed Merah.
In un’intervista pubblicata qualche giorno dopo da Paris Match, il padre di Merah, Mohammed Benalel Merah, conferma le informazioni fornite dal quotidiano francese ed afferma dunque che il killer di Montauban non è suo figlio. Ed aggiunge un altro tassello: il passaporto. Subito dopo essere stato abbattuto, s’era parlato sui giornali in Francia di Merah come agente dormiente dei servizi segreti francesi trasformato all’occasione in jihadista in tournée in Siria, Egitto, Afghanistan e addirittura Israele. Merah in realtà possedeva soltanto il passaporto algerino (rinnovato nel 2010, come confermato dal quotidiano algerino Liberté) mentre quello francese era scaduto nel 2008 e non era stato rinnovato.
Con quello, non avrebbe mai potuto recarsi in questi paesi e meno che mai in Israele (ma, si sa, in un complotto che si rispetti Israele c’entra sempre). Insomma dalle informazioni dei servizi segreti che lo volevano salafista atipico autoradicalizzatosi, ai presunti viaggi nei campi di Al-Qaida, fino all’uccisione dei tre soldati, la vicenda di Merah era già di per sè torbida, talmente torbida da aver scatenato complottisti di tutte le risme che in rete hanno visto dietro l’affare Merah prima un complotto di Sarkozy per vincere le elezioni (ma dopo la vittoria di Hollande questa posizione è stata abbandonata), poi un omicidio di stato, poi, ed era prevedibile, la mano del Mossad, d’Israele e del sionismo su scala globale.
Ad intorpidire le acque dell’affare Merah ci si è messo anche suo padre Mohamed Benalel Merah, il cui avvocato, Zahia Mokhtari, l’11 Giugno scorso ha voluto sporgere denuncia contro l’unità d’élite francese che ha condotto l’assalto per omicidio colposo con circostanze aggravanti. Suo figlio in realtà si era arreso ed il Raid lo ha liquidato ugualmente perché sapeva troppo”. Le prove del fatto che si era arreso? Nel corso di una conferenza stampa in pompa magna in Algeria, alcune settimane prima, Mokhtari aveva detto di possedere due video, di venti minuti l’uno, registrati poco prima dell’assalto delle forze speciali francesi. In questi ci sarebbe la prova che il killer in realtà voleva arrendersi e chiedeva di essere risparmiato. La notizia è rimbalzata immediatamente sui giornali francesi.
Non solo. Nei due video-testamento Mohammed Merah avrebbe denunciato anche il fatto di essere stato cinicamente manipolato dai servizi segreti francesi. Il giornale arabofono Elchourouk parte all’assalto ed effettua addirittura una trascrizione in arabo del video, che viene poi tradotta in francese dall’AFP. Altre “informazioni” trapelano. Poco prima dell’assalto, Merah avrebbe avuto una conversazione con il suo mentore jihadista e collega Zouheir, che a sua volta era stato incaricato dalla Dgse (servizi segreti francesi) di avviare dei negoziati con Merah per ottenerne la resa. Nel corso di questa conversazione Merah scopre o capisce che quest’ultimo – che lo aveva spinto ed educato ad arruolarsi per fare la jihad in Pakistan, Siria, Iraq – non è un capo jihad ma una talpa al soldo della Dgse. Merah allora si rende conto che tutta la sua “carriera” di jihadista è stata una farsa inscenata dai servizi segreti francesi per permettere a quest’ultimi d’infiltrare le reti terroristiche e di aver indirettamente da lui informazioni di prima mano sull’organizzazione e sulle strutture della jihad.
Merah si sente “manipolato” ed accusa il falso compagno jihadista Zouheir di essere un traditore: «Mi hai mandato in Iraq, Pakistan e Siria per aiutare i musulmani – dice Merah nella trascrizione del presunto video-testamento – alla fine ti sei rivelato un criminale ed un capitano dei servizi segreti francesi. Non posso crederlo. Vai all’inferno traditore. Mi ucciderete senza ragione. Siete voi che mi avete trascinato in questa situazione. Non ti perdonerò mai».
In realtà i due video «a disposizione delle autorità» non si sa da dove provengano e nessuno li ha ancora visti nonostante l’offensiva mediatica di Moktari. L’avvocato francese della famiglia Merah da Parigi, Isabelle Coutant-Peyre, ha però confermato il contenuto dei documenti e l’esistenza dei video. E se lo dicono loro c’è da fidarsi. In realtà basta dare un’occhiata ai curriculum di questi due avvocati per capire in quale solfa mediatica l’affare Merah sia finito, cosa che ha gettato nello sconforto i parenti delle vitime della scuola ebraica Ozar Hatorah.
Zahia Mokhtari è un’oscura avvocatessa algerina, totalmente sconosciuta, che fino a poco prima dell’affare Merah svolgeva il suo mestiere di avvocato senza infamia e senza lode a Baraki, alla periferia d’Algeri. Ora, con tutto questo trambusto di video e conferenze stampa su Merah è riuscita ad attirare l’attenzione su di sé ed uscire finalmente dall’anonimato. In realtà, lamentano dall’Ordine degli avvocati di Algeri, l’unica cosa per cui Zahia Mokhtari era realmente conosciuta fino ad oggi era il suo legame con alcuni membri del Gia algerino, il Gruppo Islamico Armato che dal 1992 ha seminato morte e distruzione in Algeria e Francia.
Il curriculum di Isabelle Coutant-Peyre, collega francese di Zahia Mokhtari, è anch’esso di tutto rispetto. Isabelle Coutant-Peyre è la moglie del venezuelano Ilich Ramirez Sanchez, più noto come Carlos, terrorista condannato alla prigione a vita in Francia per l’omicidio di due poliziotti e di un collaboratore di polizia nel 1975. Ma come mai il padre di Merah si è affidato a simili avvoltoi per difendere la presunta inncoenza di Mohammed? Che forse anche lui voglia farsi pubblicità sulla fine drammatica di suo figlio?
La risposta a questo quesito l’ha data Abdelghani Merah, fratello di Mohammed, in un’intervista al settimanale francese Le Point: «L’attitudine di mio padre è totalmente indecente – ha detto Abdelghani – sembra che cerchi di stabilire le responsabilità per la morte di suo figlio. Ma il primo responsabile di tutto quest’orrore è proprio lui. Dovrebbe interrogarsi sui propri errori, errori che hanno contribuito a fare di suo figlio un mostro pieno di odio». Una cosa è certa: le parole di Abdelghani sono oggi l’unico squarcio di luce nel buio della vita (e della morte) di Mohammed Merah.