Turchia o Cina: di chi sarà la Grecia posteuropea?

Turchia o Cina: di chi sarà la Grecia posteuropea?

ATENE – Non passa giorno che la stampa europea e quella internazionale non si riferiscano alla crisi economica con l’interrogativo se la Grecia si salverà oppure il fallimento incontrollato sarà inevitabile. Per di più se un tale evento si avverasse potrebbe incidere sulle economie dei paesi sud-europei o addirittura provocare una crisi economica mondiale.

Secondo il quotidiano britannico The Guardian , il Grexit come viene soprannominato a Bruxelles, costerebbe 1.000 miliardi di dollari. Ben pochi però si domandano se l’eventuale uscita della Grecia dalla zona euro possa diventare terreno fertile per la conquista economica dei Balcani.

Considerata fino al secolo precedente come la polveriera dell’Europa, la penisola Balcanica potrebbe diventare un arena di antagonismi politici-internazionali per l’acquisizione di sfere di influenza o di grandi scontri di interessi economici. Oggi la Grecia, geograficamente situata nei Balcani, ha una radicata presenza economica in paesi come l’Albania, Bulgaria, Serbia e Romania e in alcuni di questi occupa il secondo posto in attività commerciali, bancarie ed imprenditoriali. L’eventuale fallimento incontrollato della Grecia avrebbe ripercussioni negative sulle economie di tutti questi paesi diventando loro stessi eventuali prede da conquistare da parte dei mercati limitrofi. A questo punto l’interrogativo ora è: chi potrebbe colmare in tutto o in parte un eventuale “vuoto” greco nei Balcani? Sarà un paese comunitario o extracomunitario?

Turchia. Innanzitutto per ragioni geografiche e sociologico-culturali ciò sarebbe molto difficile che avvenisse integralmente. Tuttavia un paese qualificato a subentrare alla Grecia sarebbe la Turchia. Ankara occupa un posto di spicco nella mappa economico-commerciale dei Balcani e cercare di migliorare la sua posizione attuale sarebbe lecito e comprensibile. Oltre ai legami storici con i popoli balcanici dai tempi dell’Impero Ottomano, potrebbe contare sulle popolazioni islamiche che sono forti specialmente in Albania del Nord e in Bosnia-Erzegovina e anche nelle minoranze di origine turca sparse quasi in tutti i paesi balcanici.

La questione che si pone adesso è se la Turchia sarebbe motivata solo da interessi economici oppure anche politici. Ankara, come è noto, ha inaugurato negli ultimi anni una politica estera oscillando fra l’Islam e l’Occidente – chiamato neo-ottomanismo –  che mira a rendere la Turchia una potenza regionale del Mar Mediterraneo orientale con aspirazioni di estendersi fino ai Balcani e nei paesi mediorientali. È ovvio che un ulteriore successo turco nei Balcani rafforzerebbe le tendenze egemoniche del Premier Erdogan e del ministro degli affari esteri Davutoglu rese chiare dalle note controversie con Israele e le minacce verso la Repubblica di Cipro dopo l’accordo firmato da questi paesi per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e di gas naturale in aree del mediterraneo.

In più una presenza turca nei Balcani come effetto di un eventuale ritiro greco offrirebbe “carne ed ossa” al cosiddetto “dorsale islamico” il quale ha come punto di partenza il mondo turco-arabo, e poi trapassa i paesi balcanici del sud e termina nella Bosnia-Erzegovina, un paese di cui l’identità nazionale è basata non tanto sulla lingua e sulla discendenza etnica quanto sulla religione.

Russia. Oltre alla Turchia una seria candidatura per colmare un eventuale ritiro dai Balcani delle ditte elleniche è quello della Russia. Mosca registra già una notevole presenza economica nei Balcani. Specialmente nel settore energetico con investimenti che riguardano gli oleodotti e i gasdotti. Però nonostante i successi economici finora ottenuti sembra che la Russia, visto le note di debolezza nel commercio estero, almeno per ora sia un protagonista secondario nell’area balcanica.

Gasdotti e oleodotti. L’acuirsi della crisi economica potrebbe attirare l’attenzione di Mosca e Ankara anche sui giacimenti petroliferi e gasieri di cui è ricca la Grecia, soprattutto nel mar Ionio e nel mar Egeo. Gli esperti in seguito ad alcune ricognizioni geologiche lungo la coste occidentali stimano un potenziale di 22 miliardi di barili nel Mar Ionio al largo della Grecia occidentale e più di 4 miliardi di barili nel Nord Egeo. Inoltre questi valori potrebbero essere sottostimati visto che il Sud dell’Egeo e il Mare di Creta non sono ancora stati sondati. La Grecia e anche un paese terminale e di transito di importanti oleodotti e gasdotti, alcuni dei quali sono ancora in costruzione.

L’oleodotto Burgas (costa bulgara nel Mar Nero) – Alexandropoli (Grecia nord-orientale) nel Mar Egeo il cui completamento era previsto per il 2010 ma alcune riserve bulgare hanno per ora rallentato il progetto. La costruzione del gas-dotto TGI – I (Turkey, Greece, Italy – Interconnector) che dal Mar Caspio dovrebbe attraversare la Turchia, terminare in Grecia e poi per via sottomarina e raggiugere l’Italia del sud (Puglia) oppure il gasdotto IGB (Interconnector Greece-Bulgaria) che dovrebbe trasportare gas naturale dal mar Caspio (Azerbaigian) all’Europa passando per il suolo greco e bulgaro. Naturalmente la costruzione di questi gasdotti e oleodotti dipende dai risvolti politici e quindi economici dei prossimi mesi. È ovvio che paesi come Russia e Turchia non aspetterebbero altro per acquisire partecipazioni più rilevanti in questi progetti e aver un maggior dominio sul mercato.

Cina. Un altro Paese con capacità di penetrare economicamente la penisola balcanica è la Cina. Gli interessi cinesi nei Balcani potrebbero essere promossi attraverso la Grecia dove Pechino ha già effettuato notevoli investimenti, specialmente nelle infrastrutture portuali del Pireo (terzo porto come traffico marittimo nel Mediterraneo).

L’aspetto più importante della crisi economica greca rimane quello dei rapporti Greco-Turchi. Un angoscioso interrogativo che si pone è se Ankara resisterà alla tentazione di modificare  approfittandosi della presente e futura debolezza economico politica che attraversa la Grecia – lo status quo nel Mar Egeo come è stabilito da convenzioni internazionali e dal diritto internazionale. I più ottimisti vogliono credere che Ankara, senza abbandonare le provocazioni – quasi quotidiane – lo eviterebbe. Un tale comportamento metterebbe in forse l’intera politica estera basata sul neo-ottomanismo il quale predica la pace e la cooperazione con tutti i paesi vicini.

Si crede che un avventura nel Mar Egeo farebbe insospettire i paesi arabi e balcanici che il neo-ottomanismo non è altro che una maschera sotto la quale si nascondono le vere intenzioni della Turchia di dominare il Mediterraneo Orientale e le sue vicinanze. Non c’è da dubitare che uno scontro greco-turco metterebbe a dura prova la coerenza dell’Alleanza Atlantica e l’adesione della Turchia nell’Unione Europea.

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