Gentile Direttore, le chiedo spazio per precisare – e in alcuni punti rettificare – il pezzo pubblicato il 6 luglio, dal titolo “Torino, un Comune fallito salvato dall’Imu”, a firma Antonio Vanuzzo.
Mi sembra importante evidenziare che nel bilancio previsionale della Città di Torino, il pareggio è stato ottenuto senza penalizzare i servizi di welfare, cultura, istruzione ma agendo su costo del lavoro, spese per utenze, costi della politica e macchina comunale e attuando economie sui contratti di servizio.
Nel corso dell’articolo, poi, contrariamente a quanto emerso sia dal dibattito consigliare, sia dalle evidenze della relazione del collegio dei Revisori dei Conti, non si evince né in quale contesto gli enti locali hanno approvato le loro manovre (taglio drastico dei trasferimenti, abbassamento, per effetto della crisi, della propensione al pagamento delle entrate pubbliche, ecc..) né lo sforzo di consolidamento dei conti della città. Sono state queste le linee guida del bilancio: revisionare e rimodulare l’entrata ordinaria (tributi, fitti attivi, per espressa previsione normativa, come noto, con l’anticipo del federalismo fiscale e l’istituzione dell’imu sperimentale); ridurre l’indebitamento (che non è aumentato); rendere disponibili le entrate da dismissione (in buona parte obbligatorie per legge); stanziare con estrema prudenza le entrate da Titolo terzo (cosiddette extratributarie, ovvero sanzioni, oneri concessori, ecc. ridotte nella misura del 20% circa), precostituire avanzo di amministrazione, sia con ben 45 milioni di minori spese sul 2011, sia con lo stanziamento di specifico fondo rischi, da destinarsi al contenimento del rischio di inesigibilità di residui attivi.
Un’amministrazione che vuole consolidare il sistema di welfare cittadino deve prima di tutto mettere in sicurezza i propri conti, aumentare l’autonomia finanziaria e diminuire le componenti rigide del bilancio per avere, in futuro, la possibilità di progettare per quali obiettivi destinare le risorse, tutto ciò durante una bufera finanziaria nazionale e internazionale evidentissima.
E proprio in questa direzione vanno il netto calo del ricorso alle entrate straordinarie per finanziare la spesa corrente (le pochissime entrate una tantum – 25 milioni – finanziano uscite una tantum) e la riduzione del debito complessivo di Palazzo Civico, a cui contribuiranno il ricavato dalla vendita di quote delle società partecipate e la valorizzazione del patrimonio immobiliare.
A tal proposito è bene anche precisare che l’alienazione di una parte delle quote di società partecipate non è un modo per finanziare la spesa corrente, come segnalato da Linkiesta, ma si tratta di un’operazione che risponde a obiettivi di ristrutturazione del portafoglio azionario, di miglioramento dell’efficienza gestionale delle stesse e, al contempo, di riduzione del debito complessivo della Città. Circa l’anticipazione di tesoreria poi, essa è espressamente prevista dal TUEL, e diversamente da quanto affermato nell’articolo, l’Ente rappresenta senza reticenza dati evidenziati in tutti i documenti pubblici; l’entità delle entrate accertate è sostanzialmente costante negli esercizi e pertanto è costante anche il plafond disponibile quale potenziale anticipazione di tesoreria, risultando infondato quanto riportato nel testo.
Infine, ancora una precisazione sull’effettivo ammontare del debito complessivo per mutui in capo alla Città di Torino: esso è sceso già nel 2011 di 32 milioni, iniziando, quindi, un’inversione di tendenza ormai consolidata, e non è pari a 4,5 miliardi di euro come indicato nell’articolo, ma è di 3,2 miliardi che, con la progressiva estinzione dei mutui e la non accensione di nuovi prestiti, diventerà 3, 1 miliardi il prossimo anno e scenderà di altri 100 milioni di euro nel corso dell’esercizio 2014.
Carla Piro Mander
Capo dell’Ufficio Stampa della Giunta
Città di Torino