PECHINO– 802 persone arrestate per traffico di bambini in 15 province; 181 bambini ritrovati. Le cifre del traffico di infanti in Cina sono da capogiro. Solo l’anno scorso le autorità ne hanno ritrovati 8mila, scoprendo “prezzi di mercato” che variano dai 30mila yuan (quasi 4mila euro) per una bambina agli 80mila (oltre 10mila euro) per un maschietto. Conseguenza di povertà, politica del figlio unico, mancanza di una corretta giurisdizione sulle adozioni e una civiltà rurale ancora troppo legata alla supremazia dell’erede maschio. Le autorità continuano a celebrare a reti unificate il successo dell’operazione, ma i 181 bambini ritrovati sono solo la punta di un iceberg fatto di rapimenti e traffico di esseri umani.
Non esistono precise statistiche ufficiali, ma è lo stesso governo cinese a dichiarare che il problema esiste almeno dagli anni Ottanta e che sono quasi 10mila all’anno i bambini rapiti. Il Dipartimento di Dtato americano pensa che la cifra sia approssimativamente il doppio, mentre alcune associazioni e gruppi di studio indipendenti parlano addirittura di 50mila bambini “scomparsi”; oltre quattromila ogni mese per intendersi. Stime difficili da ricostruire, perché l’Ufficio per la pubblica sicurezza riporta solo i casi sotto la sua giurisdizione, ovvero quelli in cui c’è la prova del reato. E non è sempre facile provare che un bambino sia stato rapito e non sia piuttosto disperso, scappato via seguendo una farfalla o un pallone, e finito chissà dove. E le persone scomparse non sono conteggiate nelle statistiche ufficiali.
Il traffico
Sono bambini che difficilmente rivedranno i genitori. A differenza di quanto succede da noi, nella maggior parte dei casi saranno venduti. Spesso con la complicità delle autorità e grazie a una rete, attiva su tutto l’immenso territorio della Repubblica popolare, che intreccia malaffare, corruzione, crimine, povertà, diseguaglianze economiche e sociali e li cementa attraverso sentimenti forti e contrastanti come la disperazione e la speranza. Secondo quanto dichiarato dalle forze dell’ordine e riportato dall’agenzia di stampa Xinhua, la rete di trafficanti appena scoperta agiva grazie alla complicità di due funzionari che segnalavano a famiglie benestanti la possibilità di acquistare bambini da donne indigenti.
I punti di “raccolta e smistamento” erano specifiche cliniche dove medici conniventi verificavano la salute fisica di mamme e feti, nel caso di genitori “consenzienti”, e dei bambini rapiti anche in luoghi molto distanti. Sempre secondo quanto riporta Xinhua la polizia sarebbe venuta a conoscenza del prezzario delle operazioni: dai sei agli ottomila yuan per i trafficanti (800-1000 euro), dai duemila ai cinquemila yuan per gli intermediari (250-650 euro) e dai 30mila agli 80mila yuan per i bambini (4.000-10.000 euro).
Sulle cifre, è difficile trovare uno standard. Xue Xinran, giornalista, autrice di numerosi libri (di cui editi in Italia: La metà dimenticata, 2002; Le figlie perdute della Cina, 2011; Le testimoni silenziose, 2012) e fondatrice dell’organizzazione di beneficenza The Mother Bridge of Love che si impegna a costruire un ponte che aiuti i bambini cinesi adottati in Occidente a riconciliarsi con la loro cultura di origine, ha dedicato tutta la sua vita alle problematiche legate alle donne, alle madri e ai bambini adottati. Ci racconta che, cinque anni fa, quando ha condotto la sua ultima ricerca su campo, «un bambino valeva tra i 20mila e i 50mila yuan. Sicuramente oggi i prezzi sono aumentanti, ma sono convinta che nelle campagne si possa ancora pensare di acquistare un figlio per poche migliaia di yuan, tanto più se è una femmina».
Ragioni culturali
Cultura asiatica, tradizione agricola, politiche fiscali e legge del figlio unico contribuiscono secondo la giornalista a formare il numero spaventoso di bambini scomparsi. Le vittime sono quasi sempre famiglie povere. Contadini che non possono permettersi di crescere i propri figli o che vogliono a tutti i costi un figlio maschio e non possono permettersi di rischiare di generare una femmina, oppure famiglie che non sanno come denunciare la scomparsa dei figli, non hanno tempo a disposizione per cercarli o non sono semplicemente in grado di farlo. Alcuni dei bambini vengono addirittura venduti attraverso gli orfanotrofi, a volte anche all’estero.
Come ci spiega Xue Xinran da quando negli anni Novanta è stata introdotta la legislazione sulle adozioni internazionali, gli orfanotrofi hanno scoperto una nuova strada per fare affari: le famiglie adottive sono disposte a pagare dai tre ai cinquemila euro a bambino. Così, agli orfanotrofi arriva una piccola percentuale. «Il traffico di essere umani – ci spiega – è sempre esistito. Si compravano i bambini maschi per ragioni familiari o per rimpiazzare la nascita di una bambina. Oppure, se non ci si poteva permettere una moglie, si comprava una bambina. Ma solo quando gli orfanotrofi si aprirono alle adozioni internazionali, questo divenne un vero e proprio business. Ogni anno scompaiono più di trentamila bambini registrati. E, spesso, vengono venduti agli orfanotrofi».
Le indagini ufficiali
Per la polizia, indagare i casi di rapimento non è facile. Innanzitutto quasi sempre si perde tempo nel momento decisivo delle indagini: le prime 24 ore. Se al momento della denuncia infatti non c’è nessuna prova lampante, la polizia deve lasciare trascorrere un giorno prima di poter accettare la denuncia. Una volta messa in moto la macchina poi, bisogna poi tener conto che indagini di questo tipo, prevedono un notevole sforzo organizzativo, una collaborazione tra enti di diverse prefetture e, non ultimo, sistemi e tecnologie avanzate. Non sono pochi i casi che vengono dimenticati negli archivi delle stazioni di polizia quando sono ancora in una fase embrionale: una denuncia firmata, timbrata e protocollata lentamente sommersa da altre carte.
Ricerche auto-organizzate
Molti genitori accettano il destino e rimangono ad aspettare una telefonata della polizia che con ogni probabilità non arriverà mai. Ma oggi sempre più persone cercano di reagire e uniscono le proprie forze nella ricerca. Alcuni vanno in giro ad appendere foto giganti con descrizione dei loro bambini oppure distribuiscono volantini con foto e informazioni dei figlioli scomparsi o ancora affittano camioncini che tappezzano con foto giganti e commoventi di quei figli che, forse, non rivedranno più. Ma spesso si scontrano con il muro di silenzio delle autorità. Così in molti si riuniscono su forum online, dove collezionano fotografie e dati sui bambini scomparsi, si scambiano informazioni, si ridanno vicendevolmente coraggio.
«Internet è una rivoluzione culturale per la Cina. Il governo, i funzionari locali, non vogliono nemmeno parlare di questo problema. Sono le persone che devono cercare la maniera per esprimersi. E internet è diventata la piattaforma dove si affrontano i problemi. Così poiché quello dei bambini scomparsi è diventato un problema gigante, internet è divenuto il luogo giusto per parlarne e per aiutasi».
Siti come Baobeihuijia, letteralmente “tesoro torna a casa”, raccolgono informazioni, fotografie e dati di decine di migliaia di bambini scomparsi, ci sono genitori che vogliono ritrovare i propri figli e adulti che hanno preso la decisione di ritrovare la propria famiglia di origine. E migliaia di utenti che caricano informazioni e dati su bambini abbandonati, nella speranza che qualcuno riconosca in loro l’oggetto della propria ricerca.
Nella sezione in cui i genitori caricano le foto dei bimbi dispersi, l’ultima è Yanli, una bambina nata il 12 luglio del 1981 e “dispersa” il 28 novembre del 1985 nei giardini di Luoyang. Non aveva ancora compiuto cinque anni ed era alta un metro. Vestiva con una camicetta e dei pantaloncini azzurri, le scarpe di feltro, con i fiori rossi. È la numero 51.568. Un numero che fa paura, un’ulteriore riprova di quello che ci dice Xinran: «I bambini scomparsi sono destinati a diventare parte della storia cinese».