Non più solo cervelli in fuga all’estero. Ora anche i profughi della Libia, che in Italia avevano trovato rifugio all’inizio degli anni Settanta, dal nostro Paese vogliono scappare a gambe levate. Colpa delle cartelle esattoriali di Equitalia. È il caso dell’imprenditore Marios Gerakis, che da sei anni vive a Treviglio, in provincia di Bergamo. Tartassato da multe e contravvenzioni per tasse che però ha già pagato, ha deciso lasciare l’Italia e tornare nel suo Paese d’origine. Il ristoratore bergamasco, di origini italo-greche, nel 1970 era stato espulso dalla Libia di Gheddafi con tutta la sua famiglia. Ma se più di trent’anni fa a cacciarlo da Tripoli era stato il Colonnello, ora a mandarlo via da Bergamo ci pensa il colosso di riscossione tributi della Agenzia delle entrate. E lui dice: «Spero che in Libia vincano i moderati e si ristabilisca la pace. Io sono pronto a tornare».
Come racconta anche l’Eco di Bergamo, il quotidiano del luogo, Gerakis si sente preso in giro. Cinquantadue anni, con la moglie gestisce il caffè-ristorante «Al D.» di Treviglio, a sud della città. Nell’ultimo mese, il ristoratore si è visto recapitare nell’ordine: due contravvenzioni vecchie di 15 anni, l’invito a pagare il bollo dell’auto rubata alla moglie 11 anni fa e la richiesta del pagamento dell’Irpef su un’intera proprietà che invece divide a metà con il fratello. «Mi sono arrivate due multe prese con la mia Golf a Firenze nel febbraio 1997», racconta Gerakis, «e che sono sicuro di avere pagato, lievitate ora a 300 euro con interessi e spese varie. Ho affidato la pratica al mio legale, anche se è assurdo che sono costretto a dimostrare di essere in regola per gli errori compiuti da altri».
Ma non è finita qui. La moglie di Gerakis, Simona Gualtieri, ha ricevuto anche una multa per il mancato pagamento del bollo del 2008 del suo fuoristrada. Peccato, però, che la Range Rover della signora fosse stata rubata nel 1997 e il furto fosse stato regolarmente denunciato. «Non è solo Equitalia a mandarmi via dall’Italia», spiega al telefono il signor Gerakis, «è la qualità della vita in generale». E poi, precisa, «io non sono nato in Italia». La famiglia di Marios era di Symi, un’isola del Dodecanneso, in Grecia. Il nonno si spostò poi a Tripoli per lavoro. E qui nacque Marios. Ma il primo settembre del 1970 Gheddafi lanciò un ordine: gli italiani e gli altri stranieri avrebbero dovuto lasciare la Libia entro il 15 ottobre. E così il signor Gerakis arrivò in Italia. Prima in Val D’Aosta, poi a Firenze. E infine a Treviglio, dove, in un palazzo del Seicento, da sei anni gestisce il ristorante «Al D.». Tutti, nella zona, lo conoscono per i suoi cioccolatini alla frutta (ce ne sono 120 tipi), le sue torte e la sua cantina con 350 etichette.
Ma a far rinascere la voglia di tornare in Libia ora ci hanno pensato le cartelle di Equitalia. Nonostante il doppio passaporto italiano e greco, Gerakis desidera tornare a Tripoli e riavere la cittadinanza libica. «Qui in Italia non si vive più bene», dice. Non a caso segue con attenzione l’esito delle prime elezioni libere del dopo Gheddafi. E ammette: «Tifo per i moderati. I libici sono sempre stati tra i più laici del mondo arabo. Forse a noi tripolini potrebbe essere restituita la cittadinanza libica. Sarebbe molto bello. Io sono pronto a partire anche subito».
Mario Gerakis in una foto dal suo profilo Facebook