BETLEMME – Guardando la piccola piscina che si affaccia sulle case di Betlemme – oggi utile a rinfrescare le giornate estive dei bimbi arabi – sembra impossibile. Eppure, proprio dentro quel breve specchio d’acqua che copre appena le spalle, per anni si è allenata una nuotatrice olimpica: Sabine Hazboun, diciottenne, la più giovane fra i cinque atleti palestinesi pronti a partecipare ai prossimi giochi di Londra. «Sono dieci metri per diciotto – certifica Issa, il padre di Sabine, indicando la piscina dell’Azione cattolica di Betlemme –, poco più di una pozzanghera, considerati gli standard professionistici. E si immagini che il primo allenatore di Sabine sono stato io, che non so neppure nuotare».
Da quando ha ottenuto l’invito ufficiale per Londra 2012 dal Comitato olimpico internazionale, Sabine Hazboun è diventata l’orgoglio di Betlemme. Anche perché nuotare in Palestina non è affatto semplice. Nei territori occupati non esiste una piscina regolamentare e l’unico impianto serio – una vasca semi-olimpica nel comune di Beit Jala – è rimasto chiuso, sotto manutenzione, per anni. Accanto a Betlemme, a Gerusalemme, i centri sportivi non mancano, ma per varcare il muro costruito da Israele attorno alla città, i palestinesi hanno bisogno di un permesso speciale molto difficile da ottenere. «Così ho imparato a nuotare nella piccola piscina dell’Azione cattolica di Betlemme – spiega Sabine – . All’inizio era un hobby, in acqua mi sentivo bene, a mio agio. Poi ho partecipato alle prime gare giovanili, conquistando ottimi piazzamenti, e ho cominciato ad allenarmi seriamente».
Data l’assenza di strutture, le gare di nuoto che Sabine ha vinto e a cui ha partecipato fin dal 2008 si sono sempre svolte fuori dai confini della Palestina: Roma, Shanghai, Manchester, Doha, Singapore, Beirut, Guangzhou. Anche per questo, quando un anno fa l’Olympic Solidarity Commision le ha offerto una borsa di studio per allenarsi in Spagna, ha accettato senza pensarci. Così, a 17 anni, Sabine si è trasferita a Barcellona, dove da dieci mesi a questa parte, ogni giorno, nuota dentro una piscina regolamentare: «Qui, finalmente, sono riuscita ad allenarmi d’inverno – spiega – dal momento che gli impianti sono anche indoor. Ma soprattutto ho cambiato il metodo di lavoro, che è diventato più curato dal punto di vista tecnico e di approccio psicologico alla gara».
Sabine vuole diventare una nuotatrice professionista ed è consapevole che, per riuscirci, dovrà continuare a vivere lontano da Betlemme, allungando così la lista dei tanti ragazzi arabi, soprattutto cristiani, emigrati dalla Palestina: «Per partecipare anche ai prossimi giochi (magari qualificandomi in acqua e non grazie ad un invito speciale del Comitato Olimpico) non posso fare a meno di buone strutture e allenatori preparati – conferma Sabine –. Devo, insomma, rimanere in Spagna o comunque in occidente. Skype mi aiuterà, come sempre, a sentire meno la mancanza di amici e parenti rimasti a casa». «Nostra figlia sta vivendo il suo sogno e deve proteggerlo fino in fondo – aggiunge Issa, il papà di Sabine –. Tutta la famiglia è orgogliosa di lei, anche se ci manca molto e aspettiamo di riabbracciarla, quando verrà in vacanza qui a Betlemme, dopo le Olimpiadi».
Gli atleti palestinesi che il 27 luglio voleranno a Londra per i giochi sono cinque: due nuotatori, due corridori e un judoka. Quasi per tutti, arrivati alle Olimpiadi grazie agli inviti speciali del Cio, si tratterà di una partecipazione simbolica, senza reali possibilità di battere gli avversari che si allenano da anni in condizioni più agevoli. L’unica eccezione è rappresentata da Maher Abu Rumeileh, judoka ventottenne di Gerusalemme est, che per la prima volta da quando la Palestina partecipa alle Olimpiadi (cioè dai giochi di Atlanta 1996) è riuscito a qualificarsi per meriti sportivi. La sfida più grande, per gli atleti palestinesi, sembra essere proprio questa: trasformare la loro presenza a Londra, attraverso i risultati sul campo, in qualcosa di più concreto di una semplice testimonianza politica.
«Sono orgogliosa di rappresentare il mio Paese – sostiene Sabine – e voglio dimostrare che la Palestina non è solo conflitto e divisione politica, ma anche amore per lo sport; così, cercherò in tutti i modi di migliorare il mio record personale nei 50 metri stile libero». Oggi il primato mondiale appartiene a Britta Steffen, atleta tedesca che ha nuotato in 23 secondi e 73 centesimi. Il record personale di Sabine, invece, è di 29 secondi e 16. Per la giovane nuotatrice di Betlemme accorciare anche di un solo decimo il gap con la migliore del mondo sarebbe un successo. I tifosi palestinesi, invece, si accontenteranno di vedere in tv i propri atleti ai blocchi di partenza e la bandiera in alto, a sventolare, assieme ai colori degli altri Paesi del mondo. A Londra, almeno fino a quando la torcia olimpica resterà accesa, la Palestina non sarà un territorio conteso e occupato, ma solo una nazione in gara come tutte le altre.