Dopo mesi di voci e informazioni sottaciute, mezzi scoop, annunci trattenuti all’ultimo, il partito di Repubblica, è pronto a non esserci. Sembrava la grande corazzata pronta a scendere in campo, con i famosi pezzi di società civile, inglobando parte del Pd e con un candidato – si fa per dire – forte: Roberto Saviano. Poi, come la frescura di primavera, tutto è evaporato con i primi caldi, portandosi via, di quel progetto, perfino il ricordo. Non se lo chiede nessuno, ce lo siamo chiesti noi: ma che fine ha fatto il partito di Repubblica?
Nelle immaginazioni più fervide, l’idea era di creare un listone civico ma nazionale, con regia dalemiana ma Saviano come leader e testimonial (più intellettuali sparsi), che fosse di impronta laica ma aperto anche ai cattolici moderati. Con l’obiettivo di affiancare il Pd alle elezioni, buttando fuori dai giochi Di Pietro, Vendola e Casini e regalando a De Benedetti una golden share sulla politica italiana. Insomma, una gioiosa macchina da guerra pronta a marciare e travolgere tutti a suon di post-it sulle baionette.
Ma come ogni capita a ogni post-it, la colla è durata poco. Già a giugno l’Unità analizzava con puntiglio tutte le divisioni e le correnti di un partito-movimento-listone che non esisteva neppure. Scalfari la pensava in un modo, Rampini in un altro e Mauro, in un altro ancora. La convivenza si annunciava difficile. I temi caldi erano tanti. Sostegno a Monti? Sì, ma anche no. Politica economica di rigore? No, ma anche sì. E Bersani, che se ne faceva? Meglio D’Alema. Sicuri? E i cattolici, dove li avrebbero messi? Insieme ai laici, purché moderati. E Saviano? Presidente del Consiglio. O ministro della Giustizia. E perché non agli Interni?
«Perché non faccio politica», ha scritto lui, troncando, con un editoriale sull’Espresso, ogni discussione sulla sua candidatura. E a chi era rimasto stupito, ha spiegato che il suo mestiere è un altro. «È quello di scrivere». E a chi era rimasto, allora, ancor più stupito, ha sottolineato che, dopo svariati anni, uscirà un suo nuovo libro. Si chiamerà Cocaina e parlerà di cocaina. Lo pubblicherà Feltrinelli e non Mondadori e lui, comunque, dovrà partire in tour per presentarlo. Resta il tempo per la politica – come ha detto lui – con la “p” minuscola? Sembra di no.
E allora, decapitato del suo capo carismatico, corroso dalle correnti, il sogno del listone si scioglie al sole. A sentire i bene informati, c’era da aspettarselo: l’ingegnere De Benedetti non lo aveva mai visto di buon occhio. Ma non solo: le questioni politiche ed economiche sono diventate ancora più serie e la posizione di Repubblica (dettata sempre da Scalfari) è di sostegno a Monti, anche (e soprattutto) con nuove elezioni in autunno. Per dare continuità all’azione di governo, rassicurare i mercati e i partner stranieri, accontentare Napolitano. Si può anche dire che il mordente di Grillo, adesso, sembra meno forte e che la voglia di imitarlo è passata. E poi è tornato in campo Berlusconi: si potrà contrastare l’emorragia di copie con le vecchie maniere, senza bisogno di inventarsi un intero movimento politico.
Insomma, il partito di Repubblica non c’è più. E soprattutto, a causa delle sfortunate congiunture internazionali ed economiche, non ci sarà mai. È così, ancora una volta, si è confermata una verità antica: tutto il male che è caduto addosso all’Italia, non è venuto soltanto per nuocere.