«O è così o non è»: lo slogan del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana dop parla chiaro. La certificazione della qualità e il controllo della filiera di produzione dovrebbero essere la loro prima preoccupazione. Ma anche l’etica di chi produce il formaggio a pasta filata più famoso del mondo deve rientrare in rigidi parametri di correttezza e legalità. Per questo, la mattina del 17 luglio, poche ore dopo l’arresto di Giuseppe Mandara, il “re della mozzarella” accusato di associazione a delinquere di stampo camorristico e reati legati alla contraffazione di certificazioni e tutela della salute pubblica, «un consiglio di amministrazione urgente e straordinario ha espulso la ILC Mandara spa dal Consorzio, all’unanimità», racconta a Linkiesta Antonio Lucisano, direttore del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana. Secondo l’accusa, Giuseppe Mandara sarebbe vicino alla cosca dei «La Torre», contigua al clan dei Casalesi. Un contatto che negli anni Ottanta lo aiutò a uscire dalla crisi in cui si trovava la sua azienda e a fondare un impero caseario basato anche sulla mozzarella di bufala.
Direttore, la ILC Mandara spa di Mondragone (il cui 49% delle quote è in mano alla Alival spa di Pistoia) è uno dei più grandi produttori di mozzarella di bufala campana dop con quote di mercato che superano il 20%: 78 mila pezzi al giorno per un totale di 30 milioni l’anno. Sebbene le indagini siano solo all’inizio, le accuse sono gravissime. Se confermate, porterebbero a pensare che buona parte della produzione italiana di mozzarella campana dop è stata gestita da persone vicino alla criminalità organizzata.
Chiariamo subito che il marchio dop non è stato minimante toccato dalle indagini della Dia che hanno portato all’arresto di Giuseppe Mandara. Il quale non produceva solo mozzarella di bufala campana a certificazione dop, ma aveva una produzione di latticini e formaggi assai più vasta. Nella documentazione giudiziaria non compaiono dubbi sul nostro operato. Tuttavia il fatto è eclatante e la risposta ferma del Consorzio sta a significare che si è voluto agire per la tutela del marchio e dei consumatori in maniera dura e determinata. Il consiglio di amministrazione si è riunito subito dopo l’accaduto e in cinque minuti, all’unanimità, abbiamo deciso per l’espulsione. Non possiamo permetterci che la fiducia nel Consorzio venga meno, e abbiamo agito di conseguenza.
Giuseppe Mandara soleva ripetere che «il marchio è tutto». Non si riferiva solo al brand della sua azienda, ma alla denominazione dop garantita dal Consorzio di Tttela. Sentite di essere stati sfruttati dall’imprenditore di Mondragone? Anche per questo avete deciso di costituirvi parte civile?
Mandara non rappresenta il Consorzio e abbiamo altre 120 aziende associate. Tuttavia il danno di immagine che questa vicenda comporta non può essere sottovalutato. Per questo con i nostri legali abbiamo deciso di costituirci parte civile nel processo che si celebrerà. Stiamo stimando i danni per poter chiedere un adeguato risarcimento.
«Sulla legalità abbiamo compiuto un’altra nettissima scelta di campo: Il codice etico. Sarà la nostra carta d’identità, convinti come siamo che, prima ancora di buon prodotto, valgono le persone che lo realizzano. E queste persone devono essere al di sopra di ogni sospetto». Così il 27 giugno presentavate la “carta antimafia” del Consorzio, che ha ricevuto i plausi di Roberto Saviano. In cosa consiste questo codice etico e, prima della sua approvazione, come veniva controllata la legalità della produzione?
Il codice etico non è una imposizione di legge. È un documento nato su base volontaria che il Consorzio ha deciso di adottare per garantire un certa condotta dei suoi associati. È un atto vincolante che ogni anno tutti i nostri soci devono presentare al Consorzio. Si tratta di fornire un certificato antimafia rilasciato dalla Camera di commercio a seguito di controlli specifici. Non solo. Attraverso il codice etico, uno dei pochi in Italia e in Europa di questo genere, i soci si ritengono responsabili di tutta una serie di accorgimenti volti a tutelare il consumatore. Il codice è rigoroso, regola anche il rapporto tra gli allevatori, i produttori, i distributori e il mercato.
Come mai avete aspettato tanto ad approntarlo?
Qualcuno, con malizia, ha pensato che l’approvazione del codice etico sia stata una mossa per tutelare il Consorzio dallo scandalo imminente. Ribadisco che il codice è un atto volontario del Consorzio e non spetta a noi indagare sulle aziende, ma alla magistratura. Quello che è accaduto alla ILC Mandara conferma solo la bontà di quanto è stato fatto nell’ultimo mese e come l’autoregolamentazione del Consorzio possa funzionare in casi gravi come questo.
«Ci mettiamo la faccia perché sappiamo tutto di loro» è un altro dei motti del consorzio. Mi conferma che non sapevate nulla?
Come potevamo? Queste indagini sono condotte dalla Dia, non da un commissariato di carabinieri qualunque. Sono sottoposte al più stretto segreto.
Ci sono rischi per la salute delle persone riguardo al marchio Mandara? Chi garantisce la sicurezza alimentare di quanto è attualmente sul mercato?
Da parte mia, non ho dubbi su quanto finisce sulle tavole dei consumatori. Il Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana ogni hanno viene sottoposto al 25% dei controlli che avvengono su tutto il comparto dop. Significa che un quinto dei controlli sui marchi a denominazione di origine protetta avvengono solo sulle nostre mozzarelle. Mi sento di escludere che ci possano essere dei problemi igienico-sanitari anche sul marchio in questione.
Però tra le accuse a Mandara ci sarebbe anche una partita di ciliegine di mozzarella contaminate da pezzi di ceramica in seguito alla rottura di un macchinario, nel 2008.
Dai dati in nostro possesso quella partita di mozzarella non dovrebbe essere a marchio dop. Posso assicurare che la ditta Mandara possiede uno stabilimento tecnologicamente avanzato. Vengono effettuati migliaia di controlli ogni anno. Non ho dubbi che le mozzarelle siano sicure. Sta di fatto che la Dia ha commissariato l’azienda, ma non ha interrotto la sua produzione.
Il mercato della mozzarella di bufala vale da solo 306 milioni di euro e dà lavoro a migliaia di persone. Questo episodio avrà delle ripercussioni in fatto di occupazione? Che avverrà adesso dell’impero di Mandara?
Questo è un punto critico. Purtroppo, e per fortuna, il mercato in questi casi sa regolarsi da solo. Le sue dinamiche trovano immediate soluzioni a dispetto delle indagini e abbiamo paura che possano mettere a rischio molti posti di lavoro. Siamo preoccupati per chi lavora con la ILC Mandara, il contraccolpo economico si farà sentire. Possiamo solo sperare che, umanamente parlando, le indagini non confermino tutte le accuse. Questo farebbe bene a tutti quelli che lavorano attorno all’azienda di Mondragone. Ma, lo voglio sottolineare, è giusto che chi compie determinati errori, debba pagare.