Anche se ora a riscaldare l’ambiente è la ridiscesa in campo di Berlusconi, che torna per salvare il PdL, al centro dei problemi rimane un nodo di cui poco si parla e per cui si fa ancora meno: il nord. A prima vista, gli storici partiti che lo hanno rappresentato (o almeno hanno cercato di farlo) sembrano in difficoltà: né Lega né il partito di Berlusconi hanno davvero portato a termine le promesse fatte, lasciandolo a se stesso. Ora, con la crisi dei partiti, i problemi di rappresentanza del nord sembrano anche più acuti. Linkiesta ne ha discusso con Roberto Biorcio, professore associato di Sociologia presso la Facoltà di Sociologia dell’Università degli Studi di Milano Bicocca e tra i primi osservatori del fenomeno leghista. In particolare, focalizzandosi sulla Lega Nord e il suo rapporto con il famoso territorio.
Come sta la Lega, in rapporto al Nord?
La Lega ha perso molto nelle ultime elezioni, un fenomeno che va in parallelo con i sondaggi. Diciamo che siamo tornati a livello pre-2008, anno in cui la Lega riuscì a balzare dal 4% all’8%. Il declino era già cominciato, però e non è solo causato dagli scandali degli ultimi mesi. Si guardi a Milano: le elezioni per il sindaco vedono uscire vincente Pisapia, e la Lega che ha perso il 30% dei voti.
Perché?
All’epoca aveva già cominciato a pagare la sua alleanza con Berlusconi. Ma soprattutto erano crollati i miti fondativi, come Roma Ladrona, l’autonomismo. La Lega era già in affanno, poi sono arrivati gli scandali e Maroni ha saputo approfittarne per affermarsi, ma in questo modo, con il raduno delle scope, ha certificato che “Ladrona” non era solo Roma, e che la Lega non era più diversa dagli altri partiti. Ora sta tentando di rilanciarsi, ma non è una cosa facile.
La nuova Lega, però, sembra già vecchia.
È vero, anche se si trova in una situazione nuova rispetto al passato. Consideriamo che negli anni ’90 la Lega si afferma seguendo due filoni: ponendosi come rappresentante del nord e con la protesta contro i partiti. La seconda è venuta meno, non è più credibile ed è appunto, vecchia.
E poi adesso è stata appaltata a Beppe Grillo.
Esatto, anche se il tema di Grillo è più complicato.
E il primo, invece?
La rappresentanza del nord è stato affiancato dalla lotta agli immigrati, tema che ora, però, non gode di grande fortuna, visto che ci si preoccupa di più per i problemi di carattere economico. Si è comunque sviluppato nell’idea della Padania indipendente, e nell’autonomia. Anche questo, però non è più credibile, o quantomeno efficace: il federalismo è stato messo da parte, ora che la prospettiva è nazionale e ci si preoccupa per il debito pubblico. Come tema non ha la forza.
E ora come fa?
La realtà politica è frazionata. Resiste nelle province, nei piccoli comuni. Ma l’ondata la ha spazzata via dalle grandi città. Ora è una fase di transizione.
Intanto il Nord resta sguarnito.
Eh, sì. Anche il Pdl ha perso moltissimo, pensiamo solo a Parma, dove non ha raggiunto nemmeno il ballottaggio. Nemmeno il centrosinistra è in grado di diventare egemone, al momento ha un suo bacino, ma non la capacità di sfondare.
Cosa si dovrebbe fare per conquistare il nord, per chi lo volesse?
La questione si può vedere da due lati. Uno politico: il Nord soffre di un senso di deficit di rappresentanza almeno da Mani Pulite. Una questione che non è mai stata davvero risolta, e che ora riemerge con potenza. In potenza Beppe Grillo ne approfitta in modo sapiente, garantendo proprio un nuovo modo di pensare alla rappresentanza. Ma anche Pisapia, a Milano, ha giocato molto la sua campagna sull’ascolto e la rappresentanza, sfruttando un bisogno molto sentito. Che però il Pd non riesce a cogliere.
Questo è un lato. L’altro?
È quello socioeconomico. E qui c’è una situazione di stallo. C’è un aumento della disoccupazione e della moria delle piccole e medie imprese che falliscono, e questa è una situazione che al nord si sente molto. In generale proprio il mondo del lavoro soffre la crisi di rappresentanza: per i lavoratori, che vedono una divaricazione tra Pd e sindacati e gli altri partiti. Ma anche per le imprese, che se prima in gran parte ruotavano intorno all’asse Pdl-Lega, con differenziazioni geografiche, ora non sanno più cosa fare. Sono insoddisfatti, sofferenti, una rabbia che alcuni regalano a Grillo, ma senza continuità e solidità. Il nord è in difficoltà.
Ma allora quale speranza c’è, per il nord?
Bella domanda. Il governo, al momento, non ha modo di seguire e dare ascolto alle richieste nazionali, almeno in modo primario, perché deve seguire le logiche della comunità nazionale,cui l’Italia è legata. La speranza, forse, è quella di un’alternativa, che sappia intravedere un modo per uscire dalla crisi, e rilanciare lo sviluppo e la crescita, magari anche tenendo da conto welfare e diritti sociali. Una cosa del tutto diversa dall’idea leghista che ora circola, cioè di un partito regionalista stile bavarese.