Si fa un gran parlare di spending review, ma in realtà l’unica vera esperienza di revisione della spesa è quella del settore sanitario (come sostiene anche la Corte dei Conti). Oggi però dietro lo slogan della spending review si cela una nuova manovra estiva, fatta di tagli lineari che rischia di ricompattare le resistenze dei settori forti e vanificare i risultati fin qui raggiunti.
Per la sanità la spending review è un’esperienza concreta
Gli ultimi dati pubblicati sulla Rge hanno evidenziato a preconsuntivo una spesa sanitaria per il 2011 pari a 112 miliardi di euro, in riduzione di 312 milioni rispetto al consuntivo 2010 e con un disavanzo in progressiva riduzione. (1) La contrazione di spesa ci riporta nel 1993, quando per la prima volta si verificò lo stesso fenomeno: stabilizzazione della spesa nominale e forte riduzione di quella reale, dovuta alla contrazione del finanziamento fino a tutto il 1995, cui fece seguito la creazione di disavanzi sommersi poi ripianati dallo Stato. Oggi il contesto è completamente diverso: aspettative di esplosione di disavanzi e conseguenti bail out governativi non sono ipotizzabili perché il settore sanitario ha cambiato totalmente il quadro e le regole di riferimento.
I buoni risultati della finanza sanitaria sono reali e ascrivibili alla politica ormai consolidata di stretto monitoraggio sugli obiettivi programmatici, fondamentale per la sostenibilità finanziaria del sistema sanitario pubblico del nostro Paese.
La sanità ha già fatto quindi molto nella direzione della spending review (anche se molto resta ancora da fare, soprattutto in specifiche aree di spesa): le regole sulla disciplina di bilancio costringono il livello locale a ripianare qualsiasi sforamento, obbligando il settore ad accelerare la sua ristrutturazione, anche con una forte invasione dell’autonomia nelle regioni commissariate. Difatti le azioni programmatiche di governance del Ssn (Sistema sanitario nazionale) sono riuscite a contenere la crescita della spesa corrente sanitaria al di sotto di quella corrente primaria della Pubblica amministrazione (+15 per cento contro +18 per cento nel periodo 2005-2011), e il contributo pagato dal Mezzogiorno in quest’opera selettiva di ristrutturazione è stato rilevante.
A guardare gli effetti sulla spesa programmatica della nuova manovra estiva si ha l’impressione, che l’obiettivo torni a essere quello di stabilizzare la spesa in valori nominali, come nella prima metà degli Novanta.
Le due manovre estive tra i dubbi sulle ultime previsioni di spesa
Ma veniamo ai giorni nostri. La tabella 1 indica le previsioni di un anno di finanza sanitaria cumulando gli effetti del Dl 98 del 2011 e del Dl 95 del 2012 appena approvato dal Consiglio dei ministri.
La manovra estiva dello scorso anno (Dl 98/11) in vista della ridefinizione del nuovo patto della salute (previsto entro la fine di aprile e oramai saltato al prossimo ottobre) aveva rinviato al 2013-2014 la manovra sulla sanità con nuove economie di spesa rispettivamente pari a 2,5 miliardi e 5 miliardi nel biennio in questione. I preconsuntivi del 2011 fanno rifare tutti i conti. Rispetto alle previsioni di spesa già inclusive di tutte le manovre a regime, il bilancio sanitario chiude infatti con un meno 2,9 miliardi, immediatamente messo a regime nei nuovi tendenziali del Def 2012, scontando quasi 3 miliardi nel 2012, che si trasformano in quasi 5 miliardi nel 2013, per arrivare magicamente a quasi 6 nel 2014. E tutto ciò a legislazione vigente, senza alcuna nuova manovra correttiva.
In questo scenario si inserisce la manovra estiva della spending review (Dl 95/12), che cumula per la sanità ulteriori economie di spesa pari a 900 milioni per il 2012, 1,8 miliardi per il 2013, e 2 miliardi per il 2014. E così la spesa sanitaria programmatica si stabilizza in valori nominali e si contrae notevolmente rispetto al Pil. Un dubbio ci assale: il prezzo pagato dalla spesa per il welfare non sta diventando troppo elevato? Non si dovrebbe invece sfruttare l’occasione per continuare il processo di revisione strutturale della spesa allocando i nuovi risparmi verso quelle forme di assistenza che devono essere potenziate (a partire dall’assistenza distrettuale)?
Le misure adottate sotto lo slogan della spending review
Il decreto 95/2012 non contiene vere e proprie novità, per lo più incrementa i tagli o anticipa gli interventi su voci già aggredite con la manovra estiva del 2011. Per la farmaceutica territoriale aumenta gli sconti a carico farmacisti (dall’1,82 al 3,65 per cento) e dell’industria (dall’1,83 al 6,5 per cento limitatamente al 2012) e si riduce il tetto di spesa (dal 13,3 all’11,5 per cento). Per la farmaceutica ospedaliera il tetto passa dal 2,4 al 3,2 per cento e il payback dell’industria dal 35 al 50 per cento dello sfondamento. Sui beni e sevizi, si va dalla riduzione del 5 per cento dei corrispettivi legati ai contratti per forniture, alla rimodulazione dei tetti sui dispositivi medici (4,9 per cento per il 2013 e 4,8 per cento per il 2014). La riduzione dei posti letto a 3,7 per 1000 abitanti e la riduzione del tasso di ospedalizzazione a 160 per 1000 abitanti, al di là delle attese hanno effetti marginali sulla spesa (20 milioni per il 2013, 50 per il 2014).
Infine, qualche spicciolo lo si ricava dagli erogatori privati accreditati, introducendo un tetto alla remunerazione di funzioni non tariffabili che non può eccedere il 30 per cento delle risorse complessivamente assegnate, e programmando la ridefinizione di volumi e tariffe per le prestazioni di specialistica ambulatoriale e ospedaliera. La direzione degli interventi è in gran parte condivisibile, ma la cura programmata appare inappropriata.
È una tradizionale manovra di riduzione della spesa che impone gli stessi interventi in modo indistinto a tutte le Regioni, penalizzando quelle più avanzate e creando un alibi per quelle meno mature tecnicamente e politicamente. Non interviene sulla qualità della spesa, rischiando di spostare semplicemente i costi dal bilancio pubblico alle tasche dei cittadini, in particolare dei più fragili. È estremamente impegnativa per le Regioni e le aziende sanitarie che la devono attuare, da cui il rischio di resistenze anche nei confronti di quegli interventi che al contrario potrebbero essere effettivamente perseguiti.
La logica della semplice riduzione dei tetti di spesa rischia di tagliare allo stesso modo ciò che serve (e costa poco) e ciò che non serve (e costa molto), rinunciando così a innovare sulla base delle più recenti evidenze scientifiche internazionali secondo le quali molto può essere fatto aggredendo le inappropriatezze e l’inefficacia di molti trattamenti ancora ampiamente diffusi in tutti i paesi sviluppati. Un farmaco terapeuticamente superato (ma ancora presente nel prontuario farmaceutico nazionale) o un dispositivo medico obsoleto (non ancora depennato dal nomenclatore nazionale) devono essere eliminati dall’offerta pubblica, non semplicemente contenuti nel prezzo. In sintesi una manovra pesantissima, che mette a rischio la tenuta del sistema e rinuncia a essere innovativa.
(1) Il dato è al netto degli ammortamenti non sterilizzati, introdotti nella costruzione dei conti a partire dal 2011.