Per battere Obama, Romney punta sull’elettore polacco

Per battere Obama, Romney punta sull’elettore polacco

Com’è finita la Polonia nella guerra tra Obama e Romney? E perché la prossima settimana, in piena campagna per le presidenziali, lo sfidante repubblicano trascorrerà due giorni tra Danzica e Varsavia? Miracoli della politica americana. O meglio, effetti collaterali della strategia elettorale. Specie se questa, come da manuale, consiste nel modellare il profilo del candidato sulle difficoltà dell’avversario e nel conquistare punti di gradimento ovunque sia possibile. Anche oltreoceano. Perfino oltre l’Oder e il Neisse.

Secondo un sondaggio effettuato a giugno dal Pew Center, il 50% dei polacchi ha un’opinione negativa di Obama, il dato più basso d’Europa (in Germania è apprezzato dall’87% della popolazione, in Francia dall’86%, in Gran Bretagna dall’80%), e da queste parti – caso unico nel Vecchio Continente – la sua elezione non ha avuto alcun impatto positivo sull’immagine degli Stati Uniti che, in quasi quattro anni di mandato, è migliorata di un misero punto percentuale (in Francia ha guadagnato 27 punti, in Spagna 25, in Italia e in Germania 21).

A giocare contro Barack – oltre al proverbiale debole per il partito repubblicano che accomuna tutti gli stati post-sovietici – alcune gaffes clamorose e un atteggiamento nei confronti della Russia, il nemico nazionale numero uno, giudicato da Varsavia ai limiti dell’appeasement.

«Obama ha abbandonato i nostri alleati polacchi», ha tuonato Romney martedì scorso, poco prima di imbarcarsi per un viaggio internazionale di sei giorni che, dopo averlo portato senza troppo successo a Londra, nelle prossime ore farà tappa in Israele e Polonia. Il fine dichiarato è mostrare al mondo un leader pronto a incarnare l’eccezionalismo americano. Ma, come diceva Tip O’Neill, “All politics is local” e questa escursione poco convenzionale potrebbe sedurre l’elettorato di origine ebraica e polacca che risiede negli stati ondivaghi del Midwest, lì dove probabilmente si decideranno le presidenziali.

Certo Londra, abitata da facoltosi espatriati americani pronti a mettere mano al libretto degli assegni, e Israele, con il fascino che esercita sugli evangelici del Gop, rappresentano destinazioni apparentemente più logiche.

Obama, però, in questi anni s’è impegnato alacremente per alienarsi le simpatie tanto del governo quanto dei cittadini polacchi. I primi dissapori risalgono al settembre del 2009, quando il neoeletto presidente declina un invito a partecipare alla commemorazione per i 70 anni dall’invasione tedesca della penisola di Westerplatte con cui si aprì la seconda guerra mondiale. Nella foto ufficiale, accanto alla cancelliera Merkel e al primo ministro Putin, appare al suo posto il consigliere per la sicurezza nazionale, James Jones. Due settimane più tardi la Casa Bianca cancella dal progetto di scudo missilistico (EIS) l’istallazione prevista in Polonia e il fondatore di Solidarność Lech Walesa si dichiara «profondamente deluso dalla nuova amministrazione americana […] che guarda solo ai propri interessi». Le incomprensioni tra i due premi Nobel si aggravano.

Nel maggio del 2011 Walesa, che probabilmente avrebbe preferito un bilaterale, si rifiuta di partecipare a un incontro presieduto da Obama che in quei giorni è in visita in Polonia. Una scortesia che Barack gli corrisponde esattamente un anno dopo, quando non lo invita alla Casa Bianca in occasione della consegna postuma della medal of freedom all’eroe della resistenza, Jan Karski.

Le relazioni tra Washington e Varsavia toccano il punto più basso nella primavera del 2012. Il 26 marzo Obama è protagonista di un controverso fuori onda con il presidente russo uscente Medvedev durante il quale, in vista del secondo mandato, promette maggiore flessibilità proprio sulla questione dello scudo missilistico. Poche ore dopo il popolare tabloid polacco Fakt si chiede se Obama stesse «barattando la Polonia» e Mitt Romney – tradendo una visione geopolitica vagamente rétro – coglie l’opportunità per bollare la Russia come «il principale nemico degli Stati Uniti».

Infine il lapsus più imbarazzante. A maggio – mentre sta tessendo le lodi di Karski – il presidente americano definisce i lager aperti in Polonia dai nazisti «campi di concentramento polacchi». La reazione di Varsavia è rabbiosa. Il ministro degli esteri, Radek Sikorski, taccia Obama di «ignoranza e incompetenza» e la Casa Bianca è costretta a scusarsi per quello che considera «un semplice refuso». Inevitabile che, in un clima da era glaciale, Romney provi adesso a sfruttare gli errori dell’avversario. «Mitt ribadirà con forza gli storici legami esistenti tra i due Paesi», ha spiegato alla vigilia Ian Brzezinski, suo consulente per la politica estera.

Lunedì lo sfidante repubblicano atterrerà a Danzica dove sarà accolto, con gli onori riservati ad un capo di stato, da Lech Walesa e dal primo ministro Donald Tusk. Quindi si traferirà nella capitale per incontrare il presidente Bronisław Komorowski e qui, presso la Biblioteca dell’Università di Varsavia, pronuncerà un discorso in cui, pur senza nominare Obama, solleticherà l’orgoglio polacco ed elogerà i successi economici del Paese che oggi vanta un’invidiabile crescita del 3.5%. Il galateo della politica americana proibisce ai candidati di criticare la Casa Bianca quando si è all’estero – «politics stops at the water’s edge», recita la massima – ma trovarsi nel posto giusto al momento giusto può essere più efficace delle parole. Per conquistare l’opinione pubblica straniera. E convincere l’elettorato etnico di casa propria.

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