«È un risultato straordinario». Nella sala stampa della Camera dei deputati – per l’occasione deserta di parlamentari e giornalisti – Maria Di Prato non riesce a nascondere la soddisfazione. La campagna referendaria sulle indennità parlamentari è andata meglio delle più ottimistiche attese. Il segretario del piccolo partito di Unione Popolare regge in mano un cartello: «1.305.639 firme raccolte». Un milione trecentomila italiani che hanno sottoscritto i quesiti «per tagliare gli stipendi d’oro dei parlamentari». Un successo. Anche perché per convocare la consultazione popolare ne sarebbero bastate meno della metà.
«…E adesso che la rivoluzione gentile cominci!» recita lo slogan. L’obiettivo è quello di ridurre la retribuzione dei parlamentari italiani. Al centro dell’iniziativa c’è la legge 1261 del 1965, che determina l’indennità spettante ai membri del Parlamento. Se il referendum fosse approvato, deputati e senatori dovrebbero rinunciare alla “diaria”. I circa 3.500 euro mensili che ognuno riceve per sostenere le spese di soggiorno a Roma («compresi i circa 200 che nella Capitale già risiedono» spiega polemica Di Prato). Una scelta ponderata: chiedere il taglio delle indennità parlamentari sarebbe stato troppo rischioso. È la stessa Costituzione a prevedere l’esistenza degli stipendi dei nostri rappresentanti. Probabile, insomma, la bocciatura della Consulta. «E così abbiamo preferito andare sul sicuro» spiegava il segretario di Unione Popolare a Linkiesta qualche tempo fa.
Non potendo sforbiciare gli stipendi, l’Unione Popolare propone di azzerare almeno la diaria. Meglio di niente. «La nostra è un’iniziativa che si fonda sul principio dell’equità. In un momento di crisi devono essere i nostri parlamentari, quelli che guidano il Paese, i primi a fare sacrifici. E invece fino a questo momento la classe politica non ha diminuito di un euro i propri privilegi».
Nel Paese il tema deve essere effettivamente condiviso. Il risultato della raccolta firme è incredibile. Specie considerando che è stato raggiunto senza il sostegno di alcun partito e senza troppi fondi a disposizione. Il segreto dell’iniziativa? Il sostegno dei Comuni. A inizio campagna i dirigenti di Unione Popolare hanno spedito i moduli per la raccolta firme alle ottomila amministrazioni italiane. Grazie anche al tam tam in rete, la stragrande maggioranza delle firme è stata raccolta proprio negli uffici anagrafe (oltre ai circa mille banchetti sparsi nelle principali piazze della Penisola). «Tanti funzionari comunali si sono stupiti – racconta il vicecoordinatore nazionale di Unione Popolare Nunzia Eleuteri – mi hanno detto che era la prima volta in tanti anni di servizio che vedevano la gente fare la fila per firmare un’iniziativa referendaria».
Ma la conferenza stampa alla Camera serve anche per chiarire alcune questioni nate negli ultimi giorni. La prima è relativa ai rimborsi elettorali. «Vorrei specificare già da ora che Unione Popolare rinuncia ai rimborsi – spiega Di Prato – La legge dice che saranno corrisposti solo in caso di effettiva celebrazione dei referendum e solo se il quorum sarà raggiunto. Ma fin da subito assicuriamo tutti che rispediremo al mittente ogni rimborso».
La seconda polemica è legata alla reale possibilità di celebrare il referendum. Una “bufala”, secondo alcuni osservatori. Perché gli organizzatori non avrebbero rispettato la procedura prevista dalla legge. Maria Di Prato se la prende con tutti quelli che hanno definito “inutile” la raccolta firme. Contro «gli attacchi al limite della diffamazione arrivati dai grillini. Mentre dal Movimento 5 Stelle ci saremmo aspettati un aiuto». Il referendum potrà essere effettivamente celebrato? Unione Popolare è convinta di sì. «Le firme sono valide, certificate dal notaio, e le consegneremo a gennaio». Non solo. Per mettere a tacere le critiche, il movimento ha chiesto il parere di undici costituzionalisti. Tra gli esperti figurano Andrea Morrone dell’Università di Bologna, Paola Bilancia dell’Università di Milano, Stelio Mangiameli della Luiss, Lorenza Violini della Statale. In sala stampa viene distribuito il documento dei costituzionalisti.
In poche pagine gli undici esperti spiegano perché la raccolta firme di Unione Popolare è ammissibile. La legge prevede che le firme non possano essere depositate nei mesi di ottobre, novembre e dicembre (che servono alla Corte di Cassazione per l’istruttoria) e neppure nell’anno anteriore alla data di scadenza della Camera (in questo caso il 2012) e nei sei mesi successivi alla data del decreto di convocazione dei comizi. Eppure «una simile distinzione – spiegano i costituzionalisti – non viene né effettuata né utilizzata per la raccolta delle firme». Queste devono essere solo depositate entro tre mesi dalla data della vidimazione dei fogli, come prevede l’articolo 28 della legge sui referendum n.352 del 1970.
«La raccolta firme non è limitata soltanto al periodo di tre mesi dalla “prima” data di vidimazione dei fogli – spiegano i costituzionalisti – Infatti il comitato promotore può sempre richiedere agli uffici competenti la vidimazione di altri fogli. Ciò significa che la raccolta delle firme dura tre mesi per ognuno dei fogli vidimati». Senza considerare che «nei periodi in cui è vietato il deposito delle firme, i fogli vidimati e firmati non perdono l’efficacia e possono essere depositati soltanto al momento in cui ritorna di nuovo in vita il periodo nel quale è ammesso il deposito. Vale a dire dal 1° gennaio al 30 settembre di ogni anno, purché quest’anno non sia quello anteriore alla data di scadenza delle Camere».
Tecnicismi. Così sintetizzati dagli undici esperti: «In conclusione, durante il periodo di sospensione le firme possono essere raccolte e le stesse possono essere utilizzate solo quando sarà cessato il periodo di sospensione e riprenderà il procedimento di accertamento dell’ammissibilità del referendum presso la Corte di Cassazione e cioè dal 1° gennaio in poi». Sintetizzando, ecco l’iter. A gennaio le firme raccolte dall’Unione Popolare saranno consegnate in Cassazione. Entro l’autunno del prossimo anno sarà la Suprema Corte a valutare il numero e la legittimità delle sottoscrizioni. Poi la parola passerà alla Corte Costituzionale, che nel gennaio 2014 valuterà i quesiti. In tempo per convocare il referendum nella primavera successiva.
Ma l’impegno di Unione Popolare non è finito. A settembre potrebbe riprendere la raccolta firme. «Un modo per tenere alta l’attenzione su questa iniziativa». E presto potrebbe essere depositato un altro quesito. «È il nostro prossimo obiettivo – spiega Nunzia Eleuteri – Dopo aver tagliato la diaria ai parlamentari, vogliamo ridurre lo stipendio dei consiglieri regionali».
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