Ogni tanto mi sfugge un moto di umana comprensione verso editorialisti, retroscenisti (con la enne o con la emme), notisti parlamentari, forzati del pastone che riempiono di nulla gli articoli o le dirette da Montecitorio.
Immedesimatevi in chi, per procurarsi la pagnotta, ha trascorso decenni ad analizzare le sparate di Berlusconi, a sottilizzare sull’utilizzo finale, a riportare dichiarazioni di Casini o Vendola, ad interpretare le allucinazioni di Tremonti (assolutamente prive di significato nonostante tutti fingano di scorgervi profonde verità), a descrivere eventi epocali come i ministeri a Monza, a contestualizzare patetiche diatribe tra Veltroni e D’Alema, ad incensare Alfano (il nuovo che incespica e si sfracella) a leggersi un pistolotto di Bersani fino a massacrarsi le iridi nel futile intento di afferrarne il senso.
Mettetevi nei panni di soggetti siffatti nel momento in cui si accorgono che un gruppo di persone senza affiliazioni ha pubblicato sui giornali, pagando di tasca propria e mettendoci la faccia, 10 proposte espresse in modo sintetico e chiaro per invertire la corsa verso il baratro. Già il termine proposte provoca un senso di smarrimento nella psiche di chi lavora in un giornale dove pubblicano interviste alla Camusso, moniti di Napolitano e amenità assortite di Umberto Bossi, oppure in una rete televisiva che irradia le serotine dichiarazioni di Gasparri, Bindi, Donadi e Calderoli. Immaginate lo sconcerto di non poter attribuire un’etichetta, di non trovare un occulto mandante politico, di non potersi esibire in una sana marchetta a ghiandole salivali unificate.
Ammetto che il giorno in cui lessi e firmai il Manifesto di Fermare il Declino non prevedevo che avrebbe provocato tali effetti collaterali. Me ne resi pienamente conto solo il 17 agosto quando il mitico Battista affrontò l’argomento sulla prima pagina del Corriere. Qui urge un piccolo inciso a beneficio dei più giovani. Stuoli di vedovi della Democrazia Cristiana rifiutano di elaborare il lutto, per cui appena in qualche anfratto oscuro (a Trento per esempio) si evoca la Cosa Bianca, nonostante non sia quella di provenienza colombiana, i vedovi palesano sintomi da sniffata.
Battista – senza peraltro mai menzionare il contenuto delle proposte di Fermare il Declino – esordiva chiedendosi se fosse concepibile che a capeggiare la “rivoluzione liberale” ci fosse Raffaele Bonanni. Il nome del segretario cislino associato a Fermare il Declino era di per sé un preoccupante sintomo di dissociazione dalla realtà. Ma il delirio era solo all’esordio: il Battista dopo aver lamentato che il “centrismo” (a cui ovviamente Fermare il Declino è completamente estraneo) è montiano a Roma e lombardiano in Sicilia, coagula uno zibaldone di sconvolgente originalità: “Oggi una formazione di centro potrebbe avere un notevole spazio elettorale”; “E’ un’intera porzione della nostra società che stenta oggi ad essere rappresentata”, però, avverte con malcelata gravitas, che “troppe contraddizioni, troppi tatticismi, troppi comportamenti ondivaghi e anche opportunistici [di chi? quando? come?] indeboliscono la promessa di chi vuole proporre agli italiani una ricetta nuova e diversa.” Il tutto incastonato su pregevoli domande di caratura marzulliana: “Ma basta “non” essere di sinistra e “non” essere berlusconiani per apparire un’alternativa credibile?”.
In cuor mio speravo almeno che i nuovi media fossero immuni dalla mummificazione. Invece, simili alla gramigna, i Battista spuntano ovunque. Su Linkiesta – in un pezzo in cui il marzullismo sfocia nella catalanata – si assicura che prendere i voti è più liberale che dare consigli in quanto trattasi di mero “decalogo di buone intenzioni che viene generosamente offerto a chi ne voglia raccogliere le sollecitazioni”, (in altro scritto il decalogo viene descritto come “quattro ideuzze in croce”). A me dispiace sinceramente che nella redazione de Linkiesta qualcuno sbadigli nel leggere di conflitto di interessi, di riforma della giustizia o di riforma fiscale. Capisco che sarebbe più esaltante una promessa sulla cura per il cancro, la stampa di euro ad Arcore, la patrimoniale sui “ricchi”, un saggio di poetica vendoliana e lo scudetto (un evergreen di sicura presa). Ma in tutta coscienza almeno su un punto mi sento di poter tranquillizzare gli scettici: lo “scontatissimo programma” non è in offerta speciale sugli scaffali del supermercato politico. Avremo i nostri limiti, ma nel Manifesto di Fermare il Declino si afferma senza perifrasi “Auspichiamo la creazione di una nuova forza politica – completamente diversa dalle esistenti – che induca un rinnovamento nei contenuti, nelle persone e nel modo di fare politica”. Non è abbastanza chiaro? Vi sembra che si offrano idee (in croce o in linea retta che siano) a chicchessia, oppure è una dichiarazione di impegni molto precisa?
Sarà abbastanza liberale da soddisfare i benaltristi dal fine intelletto? Purtroppo ne dubito. Per cui non rimane che inchinarsi umilmente al ferale giudizio che suggella la scomunica di Fermare il Declino: “I nostri padri fondatori scuotono il capo da lassù e anche noi che non li abbiamo mai eccessivamente amati, non sappiamo loro dar torto”. L’identità di cotali padri non viene menzionata su Linkiesta, ma considerato il background del dotto critico, da ora in poi dovremo tristemente dolerci al pensiero che Oronzo Canà non vive e lotta insieme a noi.
*Chief Economist Fondo d’investimenti dell’Oman