Per dire di come la politica in Italia non sia (più) una cosa seria, basta pensare alle cose nuove. Il duello sta tutto lì, tra i vecchi partiti che rimangono faticosamente aggrappati a brandelli di gloriosa storia passata (e a un’idea di Paese che sembra lontanissima nel tempo), e il nuovo che avanza, a cui importa principalmente di spazzare il vecchio e poi si vedrà. Beppe Grillo ne è la sintesi felice, ma anche movimenti intellettualmente più ponderati – pur di richiamare l’attenzione dell’elettore – prendono le mosse da una cesura netta col passato.
L’ultimo in ordine tempo è il movimento di Oscar Giannino, che con raro sprezzo del ridicolo, nel suo manifesto invita «cittadini, associazioni, corpi intermedi (?), rappresentanze del lavoro e dell’impresa…a costruire quel soggetto politico che 151 anni di storia unitaria ci hanno sinora negato e di cui abbiamo urgente bisogno». Insomma, dopo un secolo e mezzo di niente, eccoci pronti per Davide Giacalone (uno dei sostenitori che abbiamo scovato tra le adesioni a questa nuova formazione politica).
Dovreste dare uno sguardo al programma da Oscar che Giannino ha la bontà di proporci. Sono dieci punti distintivi e motivati in cui ritrovarsi per ripartire come Paese. «Cambiare la politica, fermare il declino, tornare a crescere», così il titolo. Segue – appunto – il decalogo da quinta elementare che comprende le questioni che si ripetono ossessivamente da anni: ridurre il debito, ridurre la spesa pubblica (di almeno sei punti), ridurre la pressione fiscale, liberalizzazioni, sostenere il consumo dei cittadini (farci spendere), conflitto di interessi (ancora?), riforma della giustizia (ancora?), far crescere il lavoro per giovani e donne (e giovani donne no?), «ridare a scuola e università il ruolo, perso da tempo» (ma intanto dare un occhio alla grammatica perché quella virgola è sbagliata), e infine il federalismo.
C’è – diffuso – un elemento di estrema semplificazione che muove le mosse di questa nuova politica, come avvalorare la tesi secondo cui il cittadino non sarebbe (più) in grado di assorbire temi e sollecitazioni di un certo spessore, ma venisse semplicemente identificato come ricettore finale di input elementari, basici, di zero complessità narrativa. Cioè a dire: noi, problemi non te ne poniamo, te li vogliamo «solo» risolvere. In questo atteggiamento, molto radicato nelle formazioni politiche di recente formazione, si avverte una scarsa considerazione per la complessità civica del nostro ruolo di elettori, e una fortissima attitudine alla banalizzazione. In questo senso, se avrete il buon cuore di mettere a confronto questo striminzito «manifesto» di Oscar Giannino con il programma originario di «Forza Italia», in cui, per esempio, si poteva cogliere il tentativo concreto (e poi fallito miseramente) di coniugare mercato e solidarietà, capirete che questi ultimi vent’anni sono serviti unicamente a involgarire e inaridire problemi, concetti, idee.
Un ultimo, ragguardevole, aspetto, sempre nel segno della disperazione politica, è proprio la volatilità delle idee, ovverosia la fragilità delle volontà personali e anche di quelle più collettive. Come ben raccontato dal nostro Alessandro Da Rold, i migliori cervelli di Italia Futura, stanchi delle incertezze del presunto leader Montezemolo, si sarebbero piegati (se non spezzati) al nuovo manifesto di Giannino, ritrovandone evidentemente quello spirito originario che fece nascere il movimento di Lcdm. È davvero strabiliante, almeno per chi ha della politica un’idea ancora luminosa, la disinvoltura con cui ci si riconosce in un altro tempietto delle idee e su quello convergere allegramente, buttando a mare le fatiche precedenti. I nostri padri fondatori scuotono il capo da lassù e anche noi che non li abbiamo mai eccessivamente amati, non sappiamo loro dar torto.