Cosa hanno in comune Iran e Sudafrica? Che rispetto a Pechino 2008 hanno moltiplicato per 5 il numero di medaglie vinte a Londra 2012. E non sono neppure state le stelle – questo titolo andrebbe probabilmente assegnato a Qatar e Porto Rico (quest’ultimo, neanche una nazione) che sono passate da zero medaglie a due, oppure a Uganda e Grenada che da zero tituli sono passate a un oro olimpico ciascuna, e per di più in gare prestigiose come la maratona e i 400 metri, rispettivamente.
I modelli di previsione sul numero di medaglie danno grande importanza al peso economico dei Paesi, oltre che alla demografia, al successo nelle edizioni precedenti dei Giochi e al fatto di ospitarli. Quest’anno si sono cimentati nella prova Emily Williams della London Business School, sviluppando un modello di Andrew Bernard della Tuck School of Business di Dartmouth, e Daniel Johnson del Colorado College, insieme a Goldman Sachs, che ha aggiunto anche un indicatore che misura la qualità delle istituzioni di ciascun paese, e PWC.
Vista in questa prospettiva, la classifica cambia. Gli Stati Uniti sono andati leggermente al di sotto delle attese, la Cina le ha di pochissimo oltrepassate. I veri vincitori sarebbero Giappone (+10 rispetto al consenso), Russia e Regno Unito (+9), mentre gli scostamenti negativi maggiori li hanno fatti registrare Australia (-7) e Francia (-5). Tra i grandi Paesi, gli unici ad essersi comportati esattamente come previsto sono paradossalmente quelli dipinti come meno prevedibili – Italia e Spagna!
A conferma che la relazione tra successi olimpici e performance economica è complessa, le economie che meglio hanno resistito alla crisi finanziaria globale – che tra l’altro scoppiò appena tre settimane dopo la fine delle Olimpiadi di Pechino – hanno invece perso medaglie (-13 la Cina, -11 l’Australia). Ovviamente il Regno Unito, da ospite, ha registrato la progressione più impressionante (+18), malgrado sia di nuovo in recessione, ma il secondo migliore risultato (+13) è da ascrivere al Giappone, che con la crisi convive ormai da anni. Quantomeno in Europa le formiche sono andate meglio che le cicale: i FOAG (Finlandia, Olanda, Austria e Germania) hanno incrementato il bottino da 64 a 67, mentre i PIIGS sono passati da 55 a 53 (e i PIGS da 27 a 25 dato che l’Italia ha replicato i successi di Pechino). Ma che dire dell’Ungheria, che ha vinto 5 medaglie più del previsto malgrado sia aiutata dal Fondo monetario internazionale?
Risultati simili se guardiamo a gruppi di Paesi. Grazie alla Cina, gli emergenti avevano superato i Paesi industrializzati a Pechino, ma questa volta il verdetto è opposto. E questo grazie alla Vecchia e alla Nuova Europa, dato che invece l’America settentrionale ha perso medaglie per strada. Malgrado l’exploit del Sudafrica, l’Africa sub-sahariana ha perso terreno, e stessa sorte per i Caraibi. In questi due casi saranno probabilmente felici i neo-con: hanno fatto male sia Cuba sia lo Zimbabwe, che non ha potuto contare sulla straordinaria nuotatrice Kirsty Coventry. In compenso l’Iran, senza molta primavera, ha trascinato la regione Medio Oriente & Nord Africa; e il Venezuela, con l’inatteso oro nella scherma del sergente chavista Rubén Limardo, ha contribuito alla buona performance dell’America Latina.
Come ha segnalato Giuseppe Baiocchi, due fattori sono fondamentali nel permettere il successo olimpico: il contributo della scuola e soprattutto delle università nel promuovere la pratica di base e la presenza delle società sportive diffuse sul territorio nell’accompagnare la pratica agonistica. In Italia la formazione sportiva a livello popolare lascia alquanto a desiderare, in compenso ci sono eccellenze riconoscuite, in primis la scuola jesina nella scherma. Guardiamo allora come si è comportata la Corea del Sud, un Paese che ci assomiglia (con meno abitanti – certo – ma più che la Spagna con cui spesso in passato l’Italia si è confrontata.
In più la Corea eccelle proprio nelle discipline che sono il fiore all’occhiello dell’olimpismo italiano, come la scherma, il tiro, l’arco e le arti più o meno marziali. Ogni tanto vincono gli azzurri – la povera Nam Hyun Hee si ricorderà per tutta la vita di Valentina Vezzali, che dopo averle “soffiato” l’oro a Pechino ha fatto lo stesso con il bronzo a Londra, dove la coreana aveva perso il semifinale con Elisa Di Francisca, in tutti e tre i casi per una sola stoccata! – in altri invece sono gli atleti del Mattino Calmo ad avere la meglio – questa volta ne hanno fatto le spese tra gli altri Andrea Baldini nella petite finale del fioretto, oltre che le pallavoliste nei quarti.
I campioni di Seoul sono espressione di un movimento privato, nel senso che sono pochi quelli inquadrati in corpi statali e militari. La Nam per esempio appartiene a un club locale, dopo aver passato molto tempo proprio in Italia. I chaebols sono coinvolti, e non potrebbe essere diversamente dato che presiedere le federazioni sportive coreane e se possibile internazionali è diventato simbolo di grande prestigio. Il gruppo di costruzioni Hanwha, per esempio, ha creato la squadra di tiro Galleria nel 2001 e ha sostenuto campioni come Kang Cho-hyun (argento a Sydney) e il campione olimpico 2012 Jin Jong-oh. Il presidente di Hanwha Group, Kim Seung-youn, è anche a capo della Korea Shooting Federation, che ha ricevuto 7 milioni di dollari in contributi. Fa eccezione il Federico Pellegrini locale, Park Tae-hwan, che dopo l’oro nei 200 stile libero del 2008 si è dovuto “accontentare” del secondo posto, replicato però sulla distanza doppia. Park è inquadrato tutto l’anno nella federazione.
Chi vince viene poi premiato, anche se non tanto come in Italia. Il Ministero della Cultura, Sport e Turismo offre 43 mila euro per l’oro, quasi 21.500 per l’argento e 8.600 per il bronzo. In più la Korea Sports Promotion Foundation assegna una pensione a vita di 700 euro per l’oro. E gli sponsor sono anch’essi generosi: Yang Hak-seon, di umilissime origini prima di essere il primo ginnasta coreano con l’oro olimpico, riceverà 360 mila euro dal presidente di LG (Koo Bon-moo) e 65 mila dal Shinhan Financial Group, mentre la famiglia ha un appartamento e ramen (le tagliatelle asiatiche) per tutta la vita da altre società che non lo sponsorizzano neppure. Ulteriore benefit, l’esenzione dal servizio militare, che probabilmente è servita più che l’orgoglio nazionalisco per far correre più velocemente i Taegeuk Warriors nella finale per il terzo posto contro il Giappone – la scelta della stella dell’Arsenal, Park Chu-young, di trasferirsi a Montecarlo per rinviare la leva (di 21-24 mesi a seconda dell’arma) aveva fatto sollevare molte sopracciglia.
Il Libro bianco del Ministero della Cultura rivela anche come Seoul abbia aiutato la Corea del Nord, almeno dal 2007 al 2010 durante la cosiddetta “Sunshine Policy”, mandando tecnici e promuovendo periodi di allenamento in comune. Uno dei campioni del Nord è stato Om Yun Chol, che pesa 56 chili e ne ha sollevati 168 – tre volte il proprio peso – a Londra. In questo caso sono tutti militari – un altro campione del sollevamento pesi è Kim Un Guk, dell’April 25 Sports Club il cui nome viene dalla data in cui venne fondato l’esercito nord-coreano. L’allenatrice di Yang, Lee Kyung-hee, è un’esule nord-coreana.
La Corea esporta anche allenatori, soprattutto nell’arco, dove 12 delle 40 nazioni partecipanti hanno beneficiato di questo talento. Tra cui l’Italia: pioniere di una nuova tecnica che portò la Corea del Sud a vincere l’oro a Seoul, Dong-Eun Suk ha condotto i tricolori al successo sia ad Atene sia a Londra. Ha ricevuto i complimenti della nuova giunta di centro-sinistra di San Donato, dove vive dal 2010. E chissà come avrebbe reagito al successo di un extra-comunitario la precedente maggioranza che comprendeva la Lega.