SIENA – «Il Palio? Ormai non è più come una volta». Un mormorio che si sente, in mezzo ai canti di contrada senesi. Sono in pochi, lo fanno piano, ma si lamentano. Sussurri che si contrappongono al clima di festa di una città che (non si direbbe) sta vivendo, da pochi mesi, uno dei più grandi drammi della sua storia: il crollo di Monte dei Paschi di Siena, la banca antica e legatissima al territorio. Ma quando c’è il Palio si parla di quello, e anche le lamentele restano lì. «Troppe regole», si sente ripetere. Si ricorda con nostalgia il tempo in cui si poteva saltare la staccionata alla fine della corsa, ad esempio, cosa ora proibitissima dal Comune. Oppure altro motivo di riflessione è il fatto che «l’importanza delle contrade è molto diminuita. Adesso si va dietro ai voleri del Bruschelli di turno». Il Bruschelli citato, cioè Luigi Bruschelli, altri non è che Trecciolino, senese di origine e fantino di professione, e spregiudicato re della piazza. Spregiudicato nella corsa, ma soprattutto negli accordi con le contrade (e con gli altri fantini) nei giorni che precedono il Palio. Negli anni è stato definito “il burattinaio”, o “il capitano”. Addirittura, secondo le voci, avrebbe un vero e proprio strapotere, che gestirebbe con un ristretto gruppo di altri fantini. Ma lui le voci le ignora e vince: come nello scorso luglio, dove è arrivato a quota 13 palii. A un passo, uno solo, dal glorioso Aceto.
E se vince, per il fantino in premio ci sono soldi. Anche questo un problema: «Non tutte le contrade si possono permettere i premi per il fantino», spiega Francesco Giusti, segretario comunale della Lega Nord senese. A Siena, per il Palio, gli accordi passano per di lì: sui soldi, che vanno e vengono, e sui compensi stratosferici. Si parla di centinaia di migliaia di euro, o di milioni di vecchie lire, per il fantino che vince. «E le contrade come fanno? Tutte si possono permettere di vincere, in un modo o nell’altro. Con sottoscrizioni a palio vinto. Ma alcune hanno meno mezzi a disposizione». Dipende dalle dimensioni, soprattutto: se le contrade hanno pochi contradaioli, hanno meno denaro a disposizione, dal momento che le casse vengono riempite con sottoscrizioni volontarie. Allora cercano di perdere e, al massimo, cercano di far perdere la contrada rivale. «Si fanno accordi sottobanco, si decidono strategie», spiega. Si va dall’esclusione di cavalli molto forti, “i bomboloni” lamenta Giusti, perché non vengano assegnati agli avversari, fino a intese con altre contrade per andare contro un’altra contrada, togliendo spazio al cavallo durante la corsa, ostacolandolo. Dietro alle tradizioni e ai canti festosi che intonano per le strade e in piazza, c’è un fitto sistema di corruzione. «Il Palio è corrotto, corrottissimo. Ma è questo il suo bello, e anche il suo perché. Non è certo sport», spiega Sergio Profeti, giornalista ed esperto di storie paliesche.
«Un rito», piuttosto, specifica Mario Ascheri, storico, che «affonda le sue radici nel 1200». La più antica attestazione, datata 1214, «racconta di una multa data dal Comune al secondo arrivato perché non si è presentato a ritirare il premio, che era, a spregio, un maiale». Mutatis mutandis, non è cosa poi così lontana dai giorni nostri. E le contrade «erano organizzazioni di mutua assistenza. Ad esempio per l’approvvigionamento dell’acqua, problema storico di Siena». Oppure, «garantivano la dote alle ragazze troppo brutte per trovar marito», scherza Ascheri. Con il sopravanzare del Comune, il loro ruolo politico è diminuito, fino a diventare solo una organizzazione ludica. Anche il Palio ha subito trasformazioni. Era una corsa alla lunga, e non in cerchio. E si corre in piazza del Campo solo dal settecento. Ma la tradizione della corsa e delle contrade è perdurata nel tempo «anche in seguito all’arrivo dei fiorentini. Forse anche a causa del loro dominio: per reazione, i senesi sono rimasti attaccati alla loro indipendenza, quella che era rimasta. Una forma di senesità».
E “senesità” è proprio la parola che gli stessi senesi utilizzano per spiegare il Palio: attaccamento alla contrada, senza però veri e propri litigi tra contrade diverse. «Le storie di famiglie di contrade diverse che durante il Palio non si parlano, sono solo barzellette», dicono tutti. Modi di scherzarci su. «Siamo una città normale, solo che da noi c’è il Palio», racconta una ragazza dell’Istrice. «E per noi è una festa».
L’ingresso alla sede di Monte dei Paschi di Siena, in piazza Salimbeni
Ma ormai, a Siena non c’è molto da festeggiare. Se anche l’atmosfera da Palio resta immutata, per i senesi le vicende della Banca Monte dei Paschi, di “Babbo Monte” come dicono loro, è stata un trauma. Al Palio ci si arriva malconci. La città ora è guidata da Enrico Laudanna, commissario prefettizio che viene da Perugia, dopo che il sindaco Pd Franco Ceccuzzi è stato disarcionato dalla sua stessa maggioranza. Una fronda di otto consiglieri della Margherita lo ha fatto cadere sul bilancio. Ma il problema reale riguardava alcune nomine della banca Mps, poco gradite alla componente cattolica del partito. Con il crollo della banca, è stato travolto tutto il resto. Ora, per riprendersi, la banca ha approvato un piano di tagli (4600 esuberi, 400 filiali chiuse, 100 dirigenti lasciati a casa), e ha previsto nuovi utili per il 2015. Prima di quell’anno, non ci sarà nulla. E così, per Siena, sembra che si chiuda un capitolo. «Lo shock è grande», spiega Francesco Giusti. «Ora i senesi hanno capito quello che noi dicevamo da tempo, ma è troppo tardi. Per Siena non è una semplice crisi: è la fine di una monocoltura». Sarebbe come se Montecarlo perdesse il Casino, spiega. O di più «Siena è tre cose: il Palio, l’Università, e Mps», continua Giusti. Senza la terza, anche le altre due non staranno molto bene.
Per il Palio, la banca, attraverso la Fondazione, finanziava restauri e opere culturali delle contrade, oltre al rinnovo dei costumi per le parate. «Cose fatte a opera d’arte», spiega Mario Ascheri. «I tessuti sono molto pregiati. E la foggia è stata curatissima, con studi su costumi d’epoca. Un lavoro per cui è stato necessario l’aiuto di alcuni sarti di Venezia». La Fondazione ha diluito la sua partecipazione nella bance e con l’aumento di capitale che si prospetta è destinata a perdere il controllo, allentando il legame tra Siena e Mps.
Soprattutto, per la politica cittadina in senso lato, il Palio era una vetrina di grande impatto. E si capisce: è insieme un momento internazionale e al tempo stesso molto cittadino. Non per nulla, come racconta Raffaele Ascheri nel suo Mussari Giuseppe: una biografia non autorizzata, lo stesso ex presidente della Fondazione Montepaschi e poi della banca, avrebbe corso al palio con un suo cavallo, Già del Menhir, che ha vinto il 2 luglio 2008, per l’Istrice, la contrada della moglie di Mussari (che di origine è per metà catanzarese). Il fantino? Era proprio lui: Trecciolino. Anche ora, secondo le voci, ci sarebbe un cavallo riconducibile a Mussari, e sarebbe Magic Tiglio. Anche questo, per l’Assunta, è cavalcato da Trecciolino. Voci, queste, non verificate e non verificabili. Soprattutto, nessuno avrebbe interesse ad andare in giro a dirlo, spiega Giusti. Ora, di Mussari, si preferisce non parlare. Se lo si fa, si abbassa la voce con gravità.
I tavoli per la cena di contrada dell’Istrice
«Il problema vero», spiega Ascheri, «è che l’intera classe dirigente di Siena ha usato, per anni, il Palio come panem et circenses. Ha strumentalizzato una passione vera, genuina delle persone, per narcotizzare la città», cioè, spiega, per distrarre i cittadini dall’andamento della banca. Accuse non dimostrabili, certo. Ma in ogni caso i giochi, nella storia, hanno sempre avuto un risvolto del genere. Anche Ceccuzzi, l’ex sindaco, nonostante le dimissioni, ha continuato a presenziare agli snodi importanti del lungo cerimoniale che porta al Palio. «Un modo per non perdere il colpo», spiega Ascheri. Per non lasciarsi travolgere e, nel caso, ripresentarsi alle elezioni, quando il periodo di commissariamento sarà finito.
Intanto, c’è il Palio, che porta con sé tutti i ragionamenti, le strategie, le tattiche di contrade e cittadini. L’attesa è scandita da provocazioni tra contrade rivali, cerimoniali importanti, battesimi dei cavallli. Ma anche riflessioni tecniche. La migliore posizione per partire? Il terzo posto. Il percorso ha un leggero rientro che impedisce al primo di avere spazio. Il punto vero, però, è intendersi con il cavallo che entra di rincorsa. Parte dietro a tutti gli altri, ma fa cominciare la gara. È il più svantaggiato («anche se qualche volta la Selva ha vinto partendo di rincorsa», ricorda un senese) ma è anche il più cercato di tutti: per corromperlo, certo, e comprare messaggi e segnali.
La vittoria, alla fine della corsa, dove sono cascati sei cavalli, se la aggiudica il Montone, nella persona di Jonatan Bartoletti, detto Scompiglio. La contrada era tra le favorite, anche perché è una tra le più ricche. Il drappellone, o cencio, di questa Assunta, creato dal napoletano Francesco Clemente – come da rituale, il drappellone di luglio spetta a un artista senese, quello di agosto a un forestiero – ha suscitato polemiche («non ci sono cavalli», han detto alcuni, «è fatto con la mano sinistra», hanno confermato altri), è finito nelle mani del Montone, la provocazione era un’altra: è una Madonna con un cappotto. Già, il cappotto, cioè due vittorie di fila nello stesso anno. Quest’anno poteva capitare all’Onda, che ha vinto nel luglio scorso, con Trecciolino. A cavallo, c’era ancora lui. In molti, dal segno del cencio, avevano tratto vaticini.
Ma non è andata così. Ora si pensa solo a quello, ma quando il Palio chiuderà, torneranno ai problemi, più seri, di un sistema crollato. Ma prima festeggeranno questa festa, forse l’ultima di tutta un’epoca.
Piazza del Campo a Siena