Oggi si apre a Copenhagen il meeting del Cept – la Conferenza europea delle Amministrazioni delle Poste e delle Telecomunicazioni – che sarà dedicato al futuro della governance di Internet. Eventi simili si stanno succedendo senza sosta in tutto il mondo, e continueranno almeno fino a dicembre, quando si terrà a Dubai la Conferenza mondiale sulle Telecomunicazioni (Wcit) e le varie proposte avanzate verranno finalmente passate al vaglio. Il tema più scottante, tra i tanti che animano il dibattito, è certamente la proposta di assoggettare la rete a un più stringente controllo governativo, possibilmente attraverso il filtro delle Nazioni Unite. Come ho già menzionato in una lettera apparsa sul Financial Times del 31 Agosto, si tratta di una questione di importanza epocale. E vi è chi già grida allo scandalo, annunciando che se alcune delle proposte avanzate dovessero prevalere, si assisterebbe alla fine della “rete delle reti” come strumento di libertà di espressione e democrazia.
Sin dal 1988, Internet è governata da organizzazioni private come l’Icann, che ne gestisce alcune risorse cruciali come i nomi di dominio, sotto la giurisdizione spesso benevola (ma mai disattenta) del governo statunitense. Di recente, però, alcune iniziative dell’Icann – tra cui la controversa decisione di approvare un’estensione di dominio specifica per i siti pornografici (.xxx) – hanno generato apprensione tra i governi di tutto il mondo. Anche quelli – come gli Usa e la Ue – che sostengono con forza la necessità di proteggere e promuovere il modello pluralista e multi-stakeholder incarnato da Icann.
Vi è però chi coltiva propositi più radicali. In particolare l’India, il Brasile e il Sud Africa hanno proposto la creazione di un comitato ad hoc in seno all’Onu, con il mandato di supervisionare l’attività dell’Icann e di altri organismi non governativi che definiscono gli standard della rete (IETF) o discutono di temi di policy senza poteri né velleità di regolazione (IGF). Al contrario, la Cina e la Russia si sono fatte promotrici di un codice di condotta internazionale sulla sicurezza dell’informazione, anch’esso su base puramente volontaria – proposta che secondo molti nasconde un malcelato tentativo di portare Internet sotto il controllo delle organizzazioni internazionali, preservando a un tempo la possibilità di opt-out per i paesi che non volessero assoggettarsi a regole comuni.
Conciliare pretese e proposte tanto incompatibili sarà impresa più che ardua. Da un lato, è assai difficile immaginare un comitato Onu che gestisca in modo efficace ed efficiente le risorse e le regole della rete. La regolazione privata, da questo punto di vista, possiede caratteristiche di flessibilità e competenza che un’organizzazione internazionale, per quanto coadiuvata da esperti, non può eguagliare. Allo stesso tempo, la rete di Internet è divenuta nel tempo un formidabile alleato dei processi democratici e della libertà di espressione, spesso proprio contro la volontà dei governi (si pensi alla primavera araba, ma anche ai numerosi casi di censura in Russia, Cina e molti altri paesi). Inefficienze e rischi per il pluralismo e la libertà di espressione sarebbero dunque rischi concreti, da non sottovalutare in sede di dibattito.
«Why fix what isn’t broken», ci si chiede: perché provare a correggere un meccanismo che funziona? Affermare che Internet sia priva di sbavature è probabilmente eccessivo. Alla rete non manca di certo qualche crepa: ad esempio, l’espansione dei top level domain decisa dalla Icann sta generando notevole confusione tra gli operatori, che temono riflessi negativi sulla protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Ma non è tutto: la privacy e la sicurezza sono sempre più compromesse. La censura è pratica quotidiana di molti governi, senza che vi sia rimedio per le vittime del bavaglio. A ben guardare, non vi è però alcuna alternativa praticabile al modello multi-stakeholder che ha governato Internet in tutti questi anni, almeno per quanto riguarda la definizione dei regolamenti tecnici che sorreggono l’immensa rete globale. Tuttavia nulla vieta di immaginare un Icann più trasparente e dotato di un Government Advisory Committee più forte e rappresentativo. A tale transizione dovrebbe però accompagnarsi anche una maggiore cooperazione tra governi in molti altri ambiti, quali il pluralismo dei mezzi di comunicazione, la protezione dei diritti fondamentali in rete, e la cyber-security. Il primo di questi campi potrebbe essere affidato all’Unesco, piuttosto che all’ennesimo nuovo comitato. Il secondo tema è invece assai più affine a quello dei diritti umani: come affermato dalla Corte di giustizia Ue nel recente caso Sabam, le misure tese a filtrare e monitorare il traffico della rete possono configurare una violazione dei diritti fondamentali. Quanto alla sicurezza informatica, la soluzione da preferirsi sarebbe il varo di una partnership pubblico-privato su scala globale, finalizzata a incrementare la disponibilità di dati, la cooperazione tra governi e una maggiore fiducia reciproca, al fine di consentire una risposta più efficace alle minacce provenienti da criminali della rete sempre più organizzati e indecifrabili.
Che siano trasparenza e accountability, dunque, le parole chiave della riforma della governance di Internet. Una governance che può essere meglio distribuita anche dal punto di vista geografico, senza con ciò intaccare la libertà e la neutralità della rete. Un assetto più bilanciato – ma sempre orientato ai principi end-to-end che hanno reso la rete libera da ogni forma di condizionamento – porterebbe anche a smascherare senza indugio quei governi che celano le loro velleità di censura dietro fantasiosi scenari di nuova governance globale. Internet ha dimostrato di essere un patrimonio inestimabile per il progresso economico e sociale dell’umanità, specialmente in quei paesi che oggi si ergono a paladini del suo assoggettamento a poteri politici. È dunque quanto mai essenziale che gli sforzi della conferenza Wcit di dicembre si concentrino sulla necessità di lievi modifiche a una struttura di governance imperfetta quanto intoccabile nei suoi presupposti essenziali: questo, non altro, dovrà essere il nodo del dibattito quando Governi, istituzioni internazionali e aziende si incontreranno a Dubai per decidere il futuro della rete.
*docente presso l’Università Luiss di Roma e Direttore Affari Regolamentari al Ceps